Taj riceve in regalo un registratore a cassette con il quale passa ore a incidere la sua voce e a risentirla, premendo continuamente i tasti rec, stop, rewind e play. Taj è un bambino molto vivace e allegro. Vive nello Utah con la sua famiglia mormone statunitense, composta da un padre designer, una madre casalinga e due sorelle. Durante il natale del 1979 in una delle sue registrazioni incide un discorso in una lingua diversa, a bassa voce, quasi sussurrato. Anni dopo, ritrovando quelle cassette incise quando era bambino, scoprirà che quei pochi minuti erano la confessione di un segreto che gli era stato proibito di dire e che nel tempo avrebbe dimenticato, così come avrebbe dimenticato la lingua nella quale aveva parlato in quel nastro. Cominciando un viaggio tra i propri ricordi, gli amici e i familiari, Taj scopre che la famiglia nella quale era cresciuto non era quella vera. Scopre che era nato nel sud dell’India, che era stato rapito, dichiarato illegalmente orfano e finito vittima di un traffico di minori. Nonostante il tono paternalista della giornalista che racconta la storia e l’impostazione ingessata della narrazione, il viaggio in dieci puntate di Taj prende ritmo e diventa un’avvincente discesa nell’importanza della memoria e nell’identità, guidata dalle affascinanti registrazioni fatte quando era bambino.

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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati