Prima il prezzo dell’olio d’oliva, poi il caffè e il cioccolato. E ora, con l’estate alle porte, ecco che diventano più costosi pure i gelati. Il problema è l’olio di cocco, un ingrediente fondamentale dei gelati industriali. Il suo prezzo è salito alle stelle sul mercato all’ingrosso, toccando ogni mese nuovi livelli record dall’inizio del 2025. E quel che è peggio, sono probabili ulteriori aumenti. Il cattivo tempo ha ridotto la produzione di cocco nel sudest asiatico proprio mentre aumenta la domanda di olio di cocco, provocando una strozzatura del mercato.
Quant’è grave la situazione? A maggio il prezzo all’ingrosso per l’olio di cocco delle Filippine fissato a Rotterdam, nei Paesi Bassi, un valore di riferimento per il settore, è salito sopra i 2.700 dollari alla tonnellata, quasi il doppio rispetto a un anno fa e circa il 200 per cento in più rispetto alla media segnata nel periodo 2000-2020. Il precedente record risaliva al 2011 ed era di circa 2.300 dollari.
Le cause dietro questa corsa dei prezzi aprono una finestra sul mondo interconnesso delle materie prime, in cui fattori apparentemente senza relazione tra loro finiscono per collidere. Il cocktail è esplosivo: condizioni meteorologiche negative, politiche sui biocarburanti, strategie adottate dalle grandi aziende agroalimentari per mantenere alti i loro margini di profitto, tendenze cosmetiche dominate dagli influencer.
Nel settore alimentare l’olio di cocco è molto richiesto perché, grazie al suo elevato punto di fusione, contribuisce a mantenere i gelati solidi più a lungo a temperatura ambiente e, cosa fondamentale, riesce a farlo senza alterarne il gusto o la consistenza. Una caratteristica ancora più importante per il gelato rivestito di cioccolato o di cialda. Se guardate la lista degli ingredienti che si trovano in un Magnum, il prodotto della Unilever, vedrete che l’olio di cocco ha un posto di primo piano. Inoltre i gelati senza latte (o vegani) non esisterebbero senza questo grasso. Il settore non è di poco conto: nel 2024 ha fatturato quasi ottanta miliardi di dollari in tutto il mondo.
La palma da cocco vive sulle coste basse e sabbiose, dove riceve molto sole e piogge regolari. Dal luglio 2023 al giugno 2024, però, le cose non sono andate così, perché il fenomeno meteorologico El Niño, che provoca il riscaldamento delle acque di superficie dell’oceano Pacifico, ha disturbato i modelli delle precipitazioni nel sudest asiatico. Anziché fresco e umido, il clima è stato caldo e secco. Poiché la produzione della noce di cocco richiede un anno, la resa delle palme stressate nel 2024 è molto inferiore alla norma.
L’attenzione è concentrata sulle Filippine, che producono il 45 per cento dell’olio di cocco di tutto il mondo. Poi ci sono l’Indonesia, con il 28 per cento, e l’India con il 13 per cento. Il resto proviene da una decina di altri paesi delle aree tropicali, tra cui il Vietnam, il Bangladesh, lo Sri Lanka, il Messico e la Costa d’Avorio. A causa del clima sfavorevole, nel 2024-2025 la produzione scenderà a 3,6 milioni di tonnellate, il 10 per cento in meno rispetto alla stagione precedente. Si prevede che i raccolti continueranno a essere bassi anche nella stagione 2025-2026.
Nel peggior momento possibile
Al di fuori di pochi settori industriali e di un pugno di paesi produttori, dell’olio di cocco non si accorge quasi nessuno, perché rappresenta una fetta minuscola del consumo globale di olio commestibile. Nel 2024 non ha superato il 2 per cento del totale. L’olio di palma e l’olio di soia coprono insieme il 65 per cento del mercato, mentre l’olio di semi di girasole e l’olio di semi di colza insieme arrivano al 24 per cento. Di per sé il declino della produzione non è stato forte abbastanza da scatenare una corsa dei prezzi. Tuttavia i politici hanno scelto di spronare la domanda nel peggior momento possibile. E l’aumento non ha niente a che fare con il cibo, ma con un altro angolino del mercato della noce di cocco: i biocarburanti.
Nelle Filippine il governo ha imposto di miscelare alcuni diesel con esteri metilici del cocco, un derivato grasso dell’olio di cocco. In un primo momento l’impatto delle politiche “cocco invece del diesel” è stato limitato, con una quota di miscelazione dell’1 per cento nel 2007 e del 2 per cento a partire dal 2009. Tutto è cambiato l’anno scorso, quando Manila ha portato l’obiettivo al 3 per cento e ha annunciato un aumento al 4 per cento entro la fine del 2025 e un altro del 5 per cento entro la fine del 2026.
Ogni aumento di un punto percentuale significa dirottare novecento milioni di noci di cocco verso il mercato dei carburanti. Se il governo filippino andrà avanti con il suo piano, il paese userà 4,5 miliardi di noci di cocco per generare i cinquecento milioni di litri di esteri metilici del cocco necessari a raggiungere gli obiettivi fissati per la fine del 2026. Si tratta di quasi un terzo del suo raccolto annuale. Le Filippine non sono l’unico grande produttore di noci di cocco che vuole usarle per le sue forniture di diesel: lo sta facendo anche la Papua Nuova Guinea.
Nel 2024, però, altri due fattori hanno spinto in alto il consumo di olio di cocco. Il primo riguarda l’industria dolciaria, alle prese con i prezzi del cacao alle stelle. In alcune ricette a base di cioccolato diminuisce la quantità di cacao aumentando un po’ quella di olio di cocco che, nonostante gli attuali prezzi record, è meno costoso del cacao, ancora più caro. Il secondo fattore riguarda gli influencer. Su TikTok e Instagram l’olio di cocco è spesso descritto come più salutare, un’affermazione in realtà piuttosto dubbia. Ed ecco che nel mercato dei saponi e dei cosmetici quest’olio gioca un ruolo sempre più rilevante. La sua crescente popolarità come alternativa salutare e più ecologica all’olio di palma fa sì che anche la domanda per usi industriali sia in costante aumento.
Nel corso del tempo i prezzi in crescita incoraggiano la coltura, facendo aumentare l’offerta. Questo però pone dei problemi. Innanzitutto, le politiche sulla deforestazione limitano la quantità di terreno che può essere destinata a nuove produzioni di noci di cocco, soprattutto in Indonesia; inoltre, ci vorranno anni prima che i nuovi alberi e i loro frutti possano maturare. La buona notizia è che nelle Filippine il meteo è tornato alla normalità, e quindi di qui a un anno sul mercato dovrebbe arrivare una quantità maggiore di noci di cocco. La cattiva notizia è che la concorrenza tra i gelati e il diesel non farà che aumentare l’anno prossimo. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1617 di Internazionale, a pagina 108. Compra questo numero | Abbonati