“Siamo arrivati”, dice Manuel Puc, 54 anni, indicando la foresta. Il suo volto s’illumina quando vede la montagnola, una collinetta di vegetazione selvaggia da cui scendono radici enormi che abbracciano la terra. La più grande riserva della biosfera, dopo l’Amazzonia, nel continente americano è piena di cumuli di terra come questo.
Per arrivarci bisogna andare fino a Bacalar, nello stato messicano del Quintana Roo, e poi addentrarsi per un’ora nel cuore della riserva di Calakmul fino a Nuevo Jerusalén, nel sud della penisola dello Yucatán. Si cammina per altri trenta minuti (dieci, se è Puc a fare strada) nella foresta che circonda il villaggio. Puc ci guida lungo la strada fangosa: è appena passata la prima tempesta tropicale del 2020 e le rane gracidano nella melma.
“Benvenuti nella casa dei miei nonni”, dice spostando le due enormi pietre che coprono la montagnola di terra. Puc si china, infila una gamba, poi l’altra, e avanza con cautela nel cratere che si apre nella terra. Una volta dentro, prosegue per un corridoio stretto e lungo dieci metri e si ferma, poi continua in un altro fino ad arrivare davanti a una porta che illumina con il suo telefono. Un groviglio nero di pipistrelli comincia a sbandare all’impazzata, rivelando una parete levigata con dettagli maya intagliati più di mille anni fa.
Sulla parete ora si vede un’altra porta che conduce a una stanza di sei metri quadrati. Più avanti ce n’è un’altra e poi un’altra ancora. Così, di seguito, compaiono sette stanze e corridoi perfettamente conservati, con il caratteristico arco maya, un triangolo che finisce in un trapezio. L’oscurità e il caldo umido sono soffocanti.
Questo maestoso edificio di origine maya sorge nella foresta e, per la sua vicinanza al sito archeologico di Calakmul, potrebbe essere stato costruito tra il 600 e il 900 dC, durante il tardo classico.
“Probabilmente erano case di nobili”, dice Puc. “Guarda queste incisioni. Ci sono anche gli agganci per appendere un’amaca”, aggiunge illuminando una traversa fissata nella pietra.
Gli studenti di archeologia di mezzo mondo pagherebbero una fortuna per passare qualche minuto con la mia guida. Manuel Puc è alto 1 metro e 60, ha una corporatura robusta e la fronte ampia. Si muove tra gli scavi come se fosse nel salotto di casa. Mi spiega che i resti archeologici non hanno un nome e non sono mai stati studiati da nessun esperto. Non sono mai stati visitati da una persona con un diploma. Neanche un turista. Nessuno ha visto questa struttura da quando, qualche anno fa, smuovendo alcune pietre sul sentiero che porta ai campi di mais gli abitanti del posto l’hanno scoperta.
Ovviamente gli abitanti hanno subito avvisato del ritrovamento l’istituto nazionale di antropologia e storia (Inah), ma dall’altro capo del telefono qualcuno gli ha detto che la cosa migliore era lasciare tutto com’era. Loro, però, non gli hanno dato ascolto. Hanno pulito tutto, hanno restituito dignità a quel luogo, lo hanno tenuto segreto e nessuno ha più chiesto niente del ritrovamento. Manuel Puc non regala molti sorrisi, ma “la casa dei nonni” lo mette di buon umore. Quando esce si affretta a coprire l’ingresso, “perché se lo vede il presidente López Obrador ci costruisce una stazione”, dice prendendo la pietra più grande.
Nuevo Jerusalén è una comunità di trecento famiglie a sessanta chilometri dalla stazione che sorgerà a Bacalar. La maggior parte degli abitanti è contraria al treno, anche perché, tra le altre cose, le ha rubato la parola maya. Per una piccola comunità come questa, opporsi al treno significa molto di più che non volere un’opera pubblica. Vuol dire contrastare il progetto principale del governo del presidente Andrés Manuel López Obrador, una ferrovia di 1.525 chilometri che percorrerà da un capo all’altro la penisola dello Yucatán. Un megaprogetto su cui il presidente ha puntato tutto e con cui vuole rivitalizzare il sudest del Messico. Sarà un treno moderno che circolerà a 160 chilometri orari trasportando merci e passeggeri, abitanti della regione e turisti. Nei piani del governo, dovrebbe attirare tre milioni di stranieri.
Il progetto ufficiale prevede una divisione in tre tratti (Golfo, Caraibi e foresta) e diciotto fermate in cinque stati: Campeche, Chiapas, Tabasco, Quintana Roo e Yucatán. Il tratto del Golfo, lungo 653 chilometri, passerà da zone molto eleganti come Mérida, Valladolid o Izamal, e da altre profondamente deprimenti, come Escárcega o Tenosique, un luogo di passaggio obbligato per i migranti dell’America Centrale diretti negli Stati Uniti. Il tratto caraibico, lungo 446 chilometri, andrà dalla paradisiaca laguna di Bacalar fino alla frenetica città di Cancún. Infine il tratto della foresta, lungo 426 chilometri, attraverserà la riserva della biosfera e prevede una stazione proprio davanti ai resti archeologici maya di Calakmul, patrimonio dell’umanità. Se tutto va secondo i piani del presidente, l’opera sarà finita nel 2023, un anno prima della scadenza del suo mandato.
Fiore all’occhiello
Puc è preoccupato per la “casa dei nonni”, ma soprattutto per quella dei suoi figli, per le risorse naturali e la foresta in cui sono cresciuti. “L’arrivo della ferrovia è un’aggressione e una mancanza di rispetto. Continuano a dirci quello di cui abbiamo bisogno senza chiederci cosa vogliamo o come immaginiamo il nostro futuro. Ci rubano la parola maya per darla al treno, rendono frivole la nostra cultura e la nostra identità”, afferma. “Ripetono che si creeranno posti di lavoro, ma che lavoro sarà? Ci faranno costruire i binari e gli alberghi, e dopo due o tre anni saremo di nuovo disoccupati. Nei cantieri ci pagano un salario da fame che serve a tenerci nella stessa condizione per generazioni. Se mi offrissero un lavoro, che lavoro sarebbe? Un posto da cameriere o da dirigente? Finiamo sempre per pulire i bagni degli altri”, dice dandosi la risposta da solo. “Perché dobbiamo essere sempre i camerieri dei turisti? Vogliamo essere ingegneri o medici. Forse non vogliamo un treno, ma buone università e un ospedale attrezzato. Comunque, è un progetto che avremmo dovuto discutere insieme”, dice seduto su una sedia da cui vede solo alberi di ceiba, mango e mogano.
Puc è già salito sul suo treno maya, 35 anni fa. Da adolescente, come molti altri ragazzi della regione, andò a Cancún e sulla riviera maya. Si guadagnava da vivere nei bar eleganti dei grandi alberghi costruendo ombrelloni di palma, un mestiere che aveva imparato dal padre. All’epoca, a parte lui e le lavoratrici domestiche, non c’era niente di maya in quei luoghi. Dieci anni dopo, quando è tornato nel suo villaggio, la proporzione era invertita. Solo pochissimi abitanti dello stato di Tabasco non si chiamano Ek, Poot, Puc, Cox, Kan, Och o Káan, nomi maya.
“Cos’è il progresso? Cancún?”, chiede Puc. “La criminalità organizzata, la violenza, il narcotraffico? Io non voglio milioni di turisti né il livello di violenza di altre zone del paese”, dice.
Da tempo il tasso di criminalità a Nuevo Jerusalén è sempre lo stesso: due casi all’anno. Nel 2019 una persona ubriaca ha dato in escandescenze a Natale e poi Tomás, il matto del villaggio, ha rubato una gallina a una signora. Fino all’arrivo del treno, a Nuevo Jerusalén la preoccupazione più grande erano le inondazioni e capire per tempo se il momoto cinguettava perché aveva fame o perché stava per piovere.
Il treno Maya è il progetto prediletto di López Obrador, il fiore all’occhiello di un’amministrazione che ha bloccato la costruzione dell’aeroporto di Città del Messico, ma vuole comunque lasciare il segno. Un treno che non è stato fermato neanche dalla crisi economica. Per fugare ogni dubbio, a metà maggio López Obrador ha ribadito che può anche “piovere, tuonare o tirare vento”, ma il treno resta la priorità. Né il covid-19 né il crollo del pil di dieci punti percentuali né la diminuzione del prezzo del petrolio né la svalutazione, ha detto, freneranno un investimento da 150 miliardi di pesos (poco meno di 6 miliardi di euro).
Il bilancio dell’aeroporto della capitale, il progetto voluto dall’ex presidente Enrique Peña Nieto e bloccato da López Obrador, equivaleva a due treni, quasi 12 miliardi di euro. La sua cancellazione ha comportato indennizzi per quasi tre miliardi. Nella logica del presidente, i nove miliardi di euro risparmiati andavano convogliati nella costruzione del treno Maya e della raffineria di Dos Bocas, l’altra grande opera pubblica del governo che sarà costruita sempre nel Tabasco, lo stato dove lui è nato 64 anni fa.
Da quando Obrador ha annunciato la costruzione del treno e ha proposto un referendum nella regione, subito dopo aver vinto le elezioni nel 2018, molti hanno espresso delle perplessità. Due anni dopo, sullo Yucatán sono piovuti milioni di pesos per fargli cambiare idea, con una strategia su tre fronti: programmi sociali, un’intensa campagna “d’informazione” (con propaganda e operatori sul campo) e la presenza del presidente nella regione. Il 2 giugno 2020, quando il Messico ha superato per la prima volta i mille morti al giorno per covid-19, López Obrador ha inaugurato i cantieri a Cancún. Contro lo tsunami di consenso ufficiale, le voci di chi si oppone al treno vanno cercate nella foresta. Le loro rimostranze parlano della terra, del mais, della mancanza di acqua, delle api o della dignità. Altre volte la conversazione gira intorno al termine “sviluppo”. Chi nella foresta vede una montagnola qualsiasi e chi ci vede la casa dei suoi nonni la pensa in modi diversi.
Entusiasmo
L’idea di una ferrovia che attraversa la regione non è nuova. Gli ex presidenti Ernesto Zedillo (1994-2000) ed Enrique Peña Nieto (2012-2018) avevano accennato alla costruzione di un “treno peninsulare”. Il governo dello stato aveva parlato di un “treno proiettile dello Yucatán”, ma solo López Obrador ha osato chiamarlo Maya, dice Anastasio Oliveros, un apicoltore di Conhuas, una comunità di Calakmul. Da alveari come i suoi nello Yucatán esce uno dei nettari più puri del mondo (il Messico è il terzo produttore mondiale di miele). Per produrre un chilo di miele, le api compiono 200mila voli dall’alveare al fiore e viceversa, e Oliveros ha paura che un treno ad alta velocità stordirà le api e inciderà sul radar che le aiuta a tornare all’alveare.
Secondo lui, la produzione di miele è scesa notevolmente nell’ultimo anno e il futuro di 11mila apicoltori dello Yucatán è a rischio a causa del disboscamento, dell’uso di semi transgenici, degli agenti chimici che inquinano i favi e ora anche del treno, che assesterà un duro colpo allo stile di vita di molte comunità native. “Dicono che potremo vendere meglio i nostri prodotti, ma i vagoni del treno andranno alle grandi aziende, come Cemex e Walmart, e agli allevamenti intensivi. Davvero pensi che potrò permettermi di trasportare con il treno il mio miele o il mio mais?”, dice.
“E il miele rende bene?”.
“Come no, benissimo”, risponde senza aggiungere altro.
Le voci di chi si oppone al progetto vanno cercate nella foresta
Le galline scorrazzano per terra e l’acqua filtra dalle pareti di legno, bagnando la piramide di pannocchie di mais nella stanza. La risposta dell’apicoltore resta sospesa in aria.
Il rapporto dei maya dello Yucatán con lo stato messicano è sempre stato complesso. Fino all’arrivo degli spagnoli i maya occupavano queste terre. Non erano la civiltà onnipotente di un tempo, ma vivevano in Chiapas, in Guatemala, nel Belize e nello Yucatán. Furono sottomessi agli spagnoli per secoli e il rigido sistema di classi si mantenne dopo l’indipendenza dalla Spagna nel 1821. La classe dirigente dello Yucatán, immersa nei dibattiti sull’opportunità di rendersi indipendenti dal Messico o unirsi al modello federale, fu colta di sorpresa dalla rivolta maya del 1847, nota come la guerra delle caste. I nativi, stanchi dei continui soprusi, si ribellarono. Migliaia di persone si unirono ai cacicchi, i capi indigeni, e in pochi giorni conquistarono più di duecento villaggi passando a filo di machete 250mila spagnoli, creoli, meticci, neri e qualsiasi persona non fosse maya.
Il governo dello Yucatán, trincerato nella bianca Mérida, si offrì di diventare parte degli Stati Uniti, della Giamaica e della Spagna in cambio di un aiuto militare. Alla fine il Messico accorse in suo aiuto e inglobò lo Yucatán nel paese. Ma le città di Chetumal, Bacalar e Carrillo Puerto restarono per altri cinquant’anni nelle mani degli indigeni finché il generale e presidente messicano Porfirio Díaz firmò la pace nel 1901. Oggi nella penisola ci sono cinque santuari maya retti simbolicamente da un leader spirituale e da un leader militare: ricordano che un tempo devastarono tutto ciò che trovarono sulla loro strada.
Ma i maya non sono gli unici abitanti dello Yucatán. Non è neanche possibile sapere quale sia la loro posizione rispetto al treno: secondo l’istituto statistico messicano, nel 2010 i maya erano un terzo della popolazione dello stato, il 16 per cento del Quintana Roo e l’11 per cento del Campeche. Nella penisola convergono persone di ogni tipo grazie a migliaia di “coloni”, come li definisce López Obrador, arrivati negli anni sessanta e settanta dal Chiapas o dal Tabasco in cerca di terreni fertili a basso prezzo.
Faustino García, 70 anni, è il presidente della comunità rurale di Silvituc, che si trova tra le future stazioni di Escárcega e Xpujil, due moderni edifici di vetro con aree verdi e zone di ristorazione per i viaggiatori, come ha potuto vedere El País negli uffici centrali della ferrovia a Città del Messico. Seduto su una panchina di legno davanti casa, García è un buon esempio di abitante delle migliaia di villaggi da cui passerà il treno. È il presidente di una comunità rurale in cui l’unico futuro per i giovani è cercare di entrare negli Stati Uniti. Suo figlio lo ha fatto 15 anni fa e da allora non l’ha più rivisto. Alla sua età, García non immaginava che un treno lo avrebbe “entusiasmato tanto”, dice muovendo le mani sporche di terra.
A casa di García ogni mese arrivano gli aiuti di sei programmi sociali: 5mila pesos (circa 200 euro) dal programma Sembrando vida, due pensioni da 1.800 pesos (71 euro), un altro sussidio dello stesso valore per la moglie malata di poliomielite e 1.500 pesos (circa 60 euro) per ogni nipote. Il sindaco aveva sempre votato per il Partito rivoluzionario istituzionale (Pri), ma ha cambiato opinione quando tre anni fa ha potuto consegnare personalmente a López Obrador una lettera perché aveva un problema con l’assicurazione agraria.
Finora l’unico dato ufficiale per conoscere il sostegno popolare al treno è il risultato del referendum organizzato dal governo nel dicembre del 2019, secondo cui il 92 per cento della popolazione vuole la ferrovia. Queste percentuali sono facilmente verificabili, anche se il metodo è poco scientifico: basta chiedere a tutti quelli che s’incontrano. Tassisti, studenti, allevatori, apicultori, contadini, albergatori, venditori ambulanti e sindaci.
In questo sondaggio lungo 1.500 chilometri, otto persone su dieci si sono dette entusiaste dell’arrivo del treno. “Finalmente potrò visitare Cancún”, afferma Yesenia Luna, 40 anni, addetta alle pulizie negli alberghi di Palenque. “Porterà i turisti”, dice Esteban Pérez, un operaio di 34 anni di Campeche. “Ridarà vita a tutta la regione”, dice Juan García, un venditore ambulante di Escárcega. “Salirò di nuovo su un treno”, annuncia Natividad Goisanchez, 63 anni, un allevatore di Xpujil. “Arriverà più gente e gireranno più soldi”, sostiene Ana María, che lavora in un albergo a Mérida. È anche vero che otto persone su dieci non hanno mai visto un’urna per votare e non hanno idea del tragitto che farà il treno, dell’impatto né delle dimensioni dell’opera. Non hanno neanche saputo indicare dove sarà la stazione che, stando ai piani del progetto, sarà costruita accanto alle loro case.
Al referendum di dicembre hanno partecipato quasi 100mila persone: il 2,8 per cento degli aventi diritto. Anche se la cifra raggiunge il minimo richiesto per un referendum di questo tipo, le Nazioni Unite hanno contestato il fatto che le uniche “informazioni” fornite erano sull’impatto positivo dell’opera, che hanno votato solo sindaci e delegati, e che le traduzioni nelle lingue native erano piene di errori.
L’esercito in azione
A cento chilometri dalla casa di Faustino García si trova Xpujil, un villaggio con alcuni alberghi per i turisti che visitano i resti archeologici di Calakmul, una meraviglia dell’architettura maya con più di seimila edifici di cui solo pochi hanno visto la luce. La città fu costruita nel periodo tardo classico (tra il 600 e il 900 dC), quando l’impero si estendeva su cinque paesi centroamericani. Alcuni anni fa López Obrador fece un viaggio a Calakmul con la moglie, Beatriz Gutiérrez Müller. Il presidente fu così colpito dalla bellezza del luogo che decise che tutti dovevano conoscere “la New York dei maya”. Ora che è al governo può far costruire la stazione numero 18 accanto alla zona archeologica. Non è solo quel viaggio a legare López Obrador a questo posto: la fermata sorgerà vicino a Constitución, il villaggio dove vive lo zio e in cui è sepolto il nonno.
Il treno a doppio binario circolerà tra le torri dell’alta tensione e l’asfalto
Il tragitto che unisce Palenque-Escárcega-Calakmul a Bacalar è una strada di asfalto in perfetto stato che attraversa la riserva. Più di settant’anni di governo del Partito rivoluzionario istituzionale hanno reso il Messico un amante delle grandi infrastrutture. Qualsiasi nuovo esecutivo sa che tutto si gioca in questo settore. Il tratto è disseminato di cartelli che chiedono ai conducenti di guidare con prudenza per la presenza di tigri, tapiri o scimmie. Nei cartelli in legno ci sono i loghi dei governi precedenti e una lunga lista di organizzazioni per la difesa dell’ambiente. Parallelamente alla strada, a circa cinquanta metri dalla carreggiata, corrono i tralicci dell’elettricità. La ferrovia a doppio binario correrà tra le torri dell’alta tensione e l’asfalto.
I duecento chilometri e più di questo tragitto interamente da costruire saranno affidati all’esercito, che ha un ruolo fondamentale nel progetto. Le forze armate si occuperanno anche della costruzione del tratto che attraversa la foresta e di quello che unisce Bacalar e Tulum. Il presidente messicano si fida tanto dei militari che saranno loro a fare da mediatori nelle contese tra Fonatur, il fondo nazionale per lo sviluppo del turismo, responsabile del progetto, e le aziende concessionarie delle autostrade.
Una delle polemiche intorno all’opera riguarda l’assenza di uno studio sull’impatto ambientale della ferrovia, che attraverserà le riserve di Kin e Balam Kú nello stato di Campeche, il parco nazionale di Palenque in Chiapas, le aree protette del canyon di Usumacinta, i mangrovieti di Nichupté e le riserve di Sian Ka’an nel Quintana Roo, e la riserva della biosfera di Calakmul. Il treno passerà anche attraverso città protette dall’Unesco come Mérida, Valladolid o Campeche, il “villaggio magico” di Bacalar o centinaia di cenotes, grotte con acqua dolce.
“È ovvio che abbiamo fatto uno studio d’impatto ambientale”, afferma Rogelio Jiménez Pons, direttore del Fonatur. “Qualcuno pensava che non l’avremmo fatto? Il punto è che per capire quale sarà l’impatto dell’opera, prima dobbiamo progettarla”, spiega nel suo ufficio di Città del Messico. Alcuni giorni prima dell’intervista, il 7 giugno, Fonatur aveva affermato in un comunicato stampa che non serviva un rapporto sull’impatto ambientale del progetto, perché non è un’opera nuova, ma solo la “ristrutturazione” di linee già esistenti. Molti, indignati, avevano reagito chiedendo anche uno studio sull’impatto sociale del treno, che prevede 1.525 chilometri di binari, diciotto stazioni e sette “poli di sviluppo” – un concetto ambiguo in cui rientra di tutto, da uno stabilimento industriale a una centrale nucleare – e che punta all’accorpamento o alla creazione di nuovi comuni per accogliere migliaia di lavoratori. In seguito alla polemica, poco dopo l’inizio dei lavori, Fonatur ci ha ripensato e ha annunciato che uno studio ambientale c’è e si può consultare nei suoi uffici nello Yucatán.
“E come si costruisce un nuovo villaggio?”.
“Palenque è un buon esempio”, dice Pons parlando del comune dove si trova la tenuta di López Obrador e dove, secondo i piani, sarà costruita la stazione numero 1.
La località è una macchia urbana nella foresta che negli ultimi decenni è cresciuta caoticamente all’ombra degli allevamenti e dei resti maya. Il responsabile del progetto pensa che bisogna “mettere ordine”. Allora prende una mappa e dice: “Nascerà qui”. Poggia il dito su una zona colorata di verde fuori dal centro urbano, dove sarà costruita una stazione all’avanguardia in plexiglas con dei tetti triangolari a forma di stele preispanica. Intorno ci saranno un centro commerciale e case in legno di bambù.
“Qual è la nostra strategia per coinvolgere la popolazione? Trasferiremo il comune nella stazione”, afferma. “E a quel punto il centro saremo noi”.
Un modello paternalista
A più di mille chilometri dalla capitale, l’apicoltore Oliveros guarda la pioggia e si dondola con le gambe accavallate sull’amaca mentre parla dell’argomento che infiamma la sua comunità. I suoi alveari si trovano accanto alle piramidi di Calakmul. “Non puoi criticare López Obrador né parlare male di lui perché tutti ti guardano come se fossi una persona che si oppone al progresso”, dice riferendosi ad alcuni abitanti di Conhuas. “Ma io penso che abbiamo diritto alla luce, all’acqua potabile o a una buona istruzione, senza dover per forza accettare il treno”.
“La ferrovia è solo la punta dell’iceberg di un progetto molto più grande”, afferma il poeta maya Pedro Uc a Buctzotz, un altro paese dello Yucatán. Si riferisce agli alberghi, alle fabbriche, ai depositi di granaglie, ai magazzini di cemento, ai mattatoi e ai centri commerciali che sorgeranno vicino al treno. L’accordo commerciale tra il governo messicano e le aziende private per finanziare il progetto consiste nel fatto che queste pagheranno l’infrastruttura in cambio del diritto di sfruttamento di tutte le attività che nasceranno intorno alla stazione.
Davanti alla biblioteca di casa sua, a mezz’ora dalla futura stazione numero 6 del treno, Pedro Uc spiega di essere contrario al treno e accusa il governo di manipolare la popolazione con i programmi sociali. Lo scorso dicembre, il poeta che parla di fiori e di uccelli in náhuatl ha ricevuto una minaccia di morte sul cellulare. Ha fatto installare un allarme a casa e oggi è sottoposto alle stesse misure di protezione degli attivisti che difendono i diritti umani.
Un altro apicoltore maya, Manuel Pech, dice di uscire incredulo da tutte le riunioni informative. “Mi dicono che il treno sarà un bene per tutti e che mi daranno un lavoro, ma io un lavoro ce l’ho già”, dice come se volesse scusarsi. I suoi alveari sono in una comunità vicina a Mérida, dove sorgerà la stazione progettata dall’architetto messicano Enrique Norten.
Una piccola comunità in mezzo alla foresta, che si oppone al discorso ufficiale del governo, si è fatta conoscere in Germania. Vicino alla stazione numero 16 di Bacalar, l’incantevole villaggio di Nuevo Bécal, nel centro della riserva, ha ottenuto a maggio il primo certificato comunitario del Messico assegnato dal Forest stewardship council, un’ong che ha creato un sistema di certificazione forestale riconosciuto a livello internazionale. L’attestato premia la comunità per come gestisce i suoi 52mila ettari di bosco creando posti di lavoro. Nessun responsabile del progetto della ferrovia, però, è mai andato a Nuevo Bécal per sapere come ci sono riusciti.
Prima di sedersi sull’amaca a guardare la pioggia, Anastasio Oliveros si toglie i vestiti da lavoro, una tenuta poco sofisticata che consiste in tre camicie, tre giacche e tre paia di pantaloni indossati gli uni sopra gli altri, e un casco con una rete di protezione. Mentre si sfila pazientemente un capo alla volta, parla di Sembrando vida, il programma sociale del governo: rimboschire la foresta con alberi da frutto e da legname in cambio dell’equivalente di circa 212 euro a contadino. Molti abitanti del suo villaggio hanno aderito al programma.
“Stanno danneggiando l’ambiente. Ti fanno togliere un tipo di vegetazione per metterne un altro”, dice Oliveros. “Vogliono tutti gli alberi in linea”.
“Su internet?”, chiedo.
“No, allineati”.
La sua spiegazione spontanea sintetizza un modello paternalista progettato negli uffici della capitale.◆fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati