Quando riflettiamo sul tempo, di solito pensiamo a periodi di molti secondi, come i minuti, i giorni e gli anni. A parte gli atleti di alto livello, per cui differenze misurate in decimi, centesimi e forse anche millesimi di secondo possono far vincere o perdere un oro olimpico, pochi credono che valga la pena considerare unità di tempo più brevi di un secondo.

Ma se provassimo a immaginare cosa succede nel mondo a intervalli di tempo sempre più brevi? E se avessimo uno strumento per ingrandire il tempo nel modo in cui i microscopi ottici, elettronici e a effetto tunnel consentono di concentrarsi su dimensioni spaziali sempre più piccole, perfino su scala atomica?

Benvenuti nel mondo di un ristretto numero di scienziati, alcuni dei quali hanno ricevuto il premio Nobel, che vivono nella corsia scientifica più veloce che esista: il regno degli attosecondi. Sfruttando l’evoluzione della scienza e della tecnologia laser, hanno rivolto la loro attenzione al comportamento di molecole, atomi ed elettroni di durate temporali sempre più piccole: dai milionesimi (micro) ai miliardesimi (nano) ai millesimi di miliardesimi (pico) ai milionesimi di miliardesimi (femto) ai miliardesimi di miliardesimi (atto) di secondo.

È nella sala temporale degli attosecondi che gran parte dei processi chimici e fisici avvengono e possono essere studiati. È lì che la luce e gli elettroni svolgono molte delle rapidissime interazioni attraverso cui si ridistribuisce l’energia che devono dare e prendere. È un regno temporale che costituisce la scena di molti fenomeni chimici: cose come il passaggio degli elettroni dagli stati di eccitazione ad alta energia a quelli a bassa energia e la trasformazione delle molecole da reagenti a prodotti.

In quegli istanti un anello chimico può aprirsi, un elettrone può volare via lasciando dietro di sé uno ione a carica positiva e un fotone può schizzare via trasportando informazioni spettroscopiche che aiutano gli scienziati a capire cosa è successo. Questi processi microscopici contribuiscono a tutto, dalla fotosintesi nelle foglie alle basi fotofisiche della visione e alla formazione e rottura di legami che sono alla base dell’industria chimica.

Per chi studia questi fenomeni anche un microsecondo o un nanosecondo può sembrare un tempo terribilmente lungo. Quando puoi osservare molecole e reazioni in attosecondi, “un altro spazio enorme si apre davanti a te”, dice Stephen Leone, chimico fisico dell’università della California a Berkeley. Usando impulsi abbastanza brevi, dice, si può cominciare a osservare i movimenti degli elettroni alla base della rottura o della formazione di un legame chimico.

Un attosecondo scritto in cifre appare così: 0,000000000000000001 s. È un miliardesimo di miliardesimo di secondo. Un fatto curioso che gli appassionati di attosecondi a volte citano è che ci sono tanti attosecondi in un secondo quanti sono i secondi passati dal big bang a oggi. Un altro dato da far girare la testa: in un attosecondo la luce, che si muove all’inimmaginabile velocità di circa 300mila chilometri al secondo, percorre lo spazio di un singolo atomo.

Per studiare gli attosecondi si comincia con un laser che emette impulsi misurabili in femtosecondi. Poi, per ottenere impulsi dalla lunghezza d’onda ancora più corta, si usa una tecnica chiamata generazione di armoniche di ordine elevato (Hhg), che ha fatto vincere ad alcuni dei suoi sviluppatori il premio Nobel per la fisica nel 2023.

Leone ha usato questa tecnica nei cosiddetti studi a eccitazione e verifica (pump and probe). In primo luogo, lui e il suo team diffondono un gas, per esempio atomi di kripton o molecole di metano, sul percorso di un impulso laser, i cui fotoni interagiscono con gli elettroni delle particelle del campione. Quindi dirigono altri impulsi laser sul campione con tempi di ritardo diversi dopo l’impulso iniziale, misurando i segnali elettromagnetici o gli elettroni che si producono. Il monitoraggio preciso all’attosecondo di questi segnali equivale a un filmato in stop motion di elettroni, atomi o molecole.

Scelte istantanee

Queste tecniche hanno permesso di osservare con un dettaglio senza precedenti eventi impercettibili ma importantissimi, che possono bloccare reazioni o spingere le molecole a cambiare forma. Tra questi ci sono “incroci di curve” e “intersezioni coniche”, termini che riflettono le rappresentazioni matematiche e geometriche delle “scelte” comportamentali che gli elettroni devono fare negli atomi e nelle molecole. Un elettrone trattiene abbastanza energia da causare la rottura di un legame? O sfoga quell’energia all’interno della molecola più delicatamente per suscitare, per esempio, una vibrazione tra gli atomi legati, o trasformare la forma della molecola da un isomero all’altro?

Queste scelte segrete e istantanee degli elettroni lasciano tracce in tutta la nostra biologia e potrebbero avere applicazioni pratiche, come riparare cromosomi danneggiati, rilevare malattie da indizi chimici nella miscela molecolare del nostro sangue o usare impulsi laser per produrre molecole mai viste. “Prima non capivamo nessuno di questi dettagli, ma ora è diventato tutto molto più chiaro”, dice Leone. Ci indicano come suscitare gli specifici movimenti elettronici necessari per rompere un legame o per causare una reazione desiderata, aggiunge.

Nei laboratori silenziosi e bui dove si svolgono questi esperimenti c’è un’atmosfera ultraterrena. Di solito al centro c’è un tavolo antivibrazioni la cui superficie è più stabile di qualunque altro luogo sulla Terra. Su di essa sono stati disposti accuratamente degli Stonehenge in miniatura di lenti e cristalli che deviano, dividono e ricombinano i raggi laser, comprimono o espandono gli impulsi luminosi e ritardano il momento in cui raggiungono i campioni e i rivelatori.

All’inizio di questo percorso sono introdotti gli impulsi laser ultracorti, e alla fine si trovano gli atomi e le molecole del campione, che provengono da ugelli collegati a serbatoi di gas o da cristalli riscaldati. Molti di questi esperimenti devono avvenire in camere a vuoto fantascientifiche, in modo che le molecole d’aria non assorbano i preziosi segnali elettronici o luminosi prima che arrivino a rivelatori e spettrometri.

“È una macchina molto complicata per fotografare alcuni degli eventi più brevi che gli esseri umani sono in grado di produrre”, afferma il chimico teorico Daniel Keefer del Max Planck institute for polymer research di Magonza, in Germania. Keefer calcola l’energia degli impulsi laser e le condizioni più adatte per gli studi, e aiuta i ricercatori a dedurre il comportamento elettronico delle molecole nascoste nei dati spettroscopici raccolti in laboratorio. Per quanto elementari possano essere questi studi, alcuni dei fenomeni che ha esaminato sono rilevanti per tutti noi quanto mantenere intatti e funzionanti i nostri geni.

Per esempio, la combinazione tra impulsi laser ultraveloci e osservazione spettroscopica ha permesso a lui e ai suoi colleghi di capire meglio come alcune delle molecole più famose della biologia, l’rna e il dna, riescono a dissipare l’energia dei fotoni ultravioletti abbastanza rapidamente da impedire che danneggi i geni. “Questo meccanismo previene i potenziale danni fotochimici negli organismi esposti alla luce solare”, dice Keefer.

Armonie ultraviolette

Per generare impulsi laser lunghi pochi attosecondi, per prima cosa gli scienziati espongono un gas di atomi a un laser a infrarossi. Il raggio dà un piccolo calcio a ogni atomo accanto al quale passa, scuotendo gli elettroni in sincronia con le sue onde. Questo spinge gli elettroni a emettere nuove onde luminose. Ma lo fanno con degli ipertoni, come una corda di chitarra che vibra non solo a una frequenza fondamentale, ma anche a una gamma di vibrazioni a frequenza più alta, chiamate armoniche. Nel caso della luce laser a infrarossi, in un intervallo di attosecondi gli ipertoni hanno frequenze molto più alte, che corrispondono alle lunghezze d’onda dei raggi ultravioletti o addirittura dei raggi X.

Se si concentra in impulsi brevissimi, l’energia può arrivare a livelli astronomici

Quando viene impacchettata in impulsi supercorti, la luce di queste lunghezze d’onda può trasportare energia sufficiente da spostare gli elettroni all’interno della molecola. Questo influisce sul modo in cui la molecola reagirà. Oppure gli impulsi laser possono costringere gli elettroni a uscire completamente di scena, che è uno dei modi in cui gli atomi e le molecole diventano ionizzati.

John Gillaspy, ricercatore del National institute of standards and technology, è interessato a capire cosa è possibile ottenere impacchettando più energia in impulsi sempre più brevi. In questo modo la potenza dell’impulso può amplificarsi, raggiungendo per un istante livelli astronomici. È simile al modo in cui una lente d’ingrandimento può concentrare un innocuo fascio di luce solare delle dimensioni di un palmo in un puntino talmente caldo da incendiare un pezzo di carta.

Concentrando abbastanza potenza laser in un impulso sufficientemente breve, dice, si potrebbe accedere al vuoto quantistico, cioè allo stato di energia più basso possibile che lo spazio possa avere. Il vuoto quantistico è stato misurato solo indirettamente e presenta diverse stranezze. Per esempio, il “nulla” di quel vuoto in realtà sembra contenere enormi quantità di coppie “virtuali” di particelle di materia e antimateria che appaiono e scompaiono in intervalli anche più brevi degli attosecondi.

Se si riuscisse a ottenere un’intensità laser abbastanza forte, si potrebbero separare, rilevare e misurare le componenti di quelle coppie transitorie di particelle virtuali prima che si annichiliscano a vicenda e scompaiano di nuovo. “Se ci riuscissimo potremmo fare scoperte fondamentali”, dice Gillaspy, anche se per ora questa possibilità è molto lontana.

L’ora più oscura

Jun Ye, fisico del centro di ricerca Jila, in Colorado, sta usando la fisica degli attosecondi per perseguire un altro obiettivo: sfruttare l’Hhg per studiare la misteriosa sostanza cosmica nota come materia oscura. Pur non avendo mai rilevato direttamente la materia oscura nell’ambiente o in laboratorio, gli scienziati ipotizzano la sua esistenza per spiegare la distribuzione e il movimento della materia su scala galattica. Senza la materia oscura e le sue influenze gravitazionali, l’universo avrebbe un aspetto e un comportamento molto diversi. Se questa teoria fosse vera, una conseguenza interessante sarebbe che la materia oscura – qualunque cosa sia – dovrebbe essere abbondantemente presente intorno a noi qui sulla Terra e quindi, in linea di principio, essere rilevabile in laboratorio.

Ye spera di sfruttare la fisica dell’Hhg per sviluppare una tecnica di misurazione dell’energia, chiamata spettroscopia nucleare, capace di cogliere minimi spostamenti di energia nei nuclei degli atomi. In questo contesto, è la moltitudine di lunghezze d’onda della luce che l’Hhg produce naturalmente a rendere la spettroscopia nucleare così rivelatrice. Questo, dice Ye, potrebbe consentire di monitorare minuscole variazioni degli atomi di materia normale che potrebbero essere causate da interazioni con la materia oscura. Al centro del suo piano c’è un nuovo tipo di orologio nucleare sviluppato insieme ai suoi colleghi, che misura il tempo usando le oscillazioni dei nuclei di torio-229 invece di quelle degli elettroni sui cui si basano normalmente gli orologi atomici.

“Se la materia oscura interagisce con quella normale, potenzialmente interagirà con i neutroni e protoni dei nuclei atomici in modo diverso che con gli elettroni”, dice Ye. E se è così, il confronto dei dati spettroscopici dei due tipi di orologi potrebbe finalmente svelare l’influenza della materia oscura su quella normale.

“Le scoperte possono nascere quando i fisici e i chimici rimangono affascinati da qualcosa di nuovo, come i fenomeni che avvengono in attosecondi”, dice Gillaspy. “Non possiamo nemmeno immaginare che tipo di possibilità si apriranno”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1622 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati