Uno studente che ha appena cominciato l’ultimo anno di università ha passato quasi tutta la sua carriera accademica nell’ombra – o nell’abbraccio – dell’intelligenza artificiale generativa. ChatGpt è stato lanciato nel novembre 2022, quando quello studente era ancora una matricola. Come presidente di dipartimento alla Washington university di St. Louis, in Missouri, ho visto con i miei occhi il caos che ha scatenato nel campus. Gli studenti non sapevano bene cos’era capace di fare l’ia né qual era il modo appropriato di usarla. I docenti sono stati colti di sorpresa dall’efficacia con cui ChatGpt riusciva a scrivere elaborati e fare i compiti. Ci sembrava che l’università stesse per essere trasformata.

Ma nessuno pensava che sarebbe successo così in fretta. Tre anni dopo, la trasformazione dell’ia è praticamente completa. Nella primavera del 2024, quasi due terzi degli studenti di Harvard usavano questa tecnologia almeno una volta alla settimana. In un sondaggio condotto a dicembre nel Regno Unito , il 92 per cento degli universitari ha dichiarato di usare l’ia in qualche modo. Il 40 per cento era sicuro che “i contenuti creati dall’ia generativa otterrebbero un buon voto nella mia disciplina”, e quasi uno su cinque ammetteva di aver usato l’ia per gli elaborati scritti. Quest’anno i numeri sono destinati a salire.

“Non riesco a immaginare che qualcuno oggi non la usi”, commenta Vasilis Theoharakis, che insegna marketing strategico alla Cranfield school of management, nel Regno Unito, che ha fatto delle ricerche sull’ia nelle sue classi. “La tecnologia non è più una curiosità o un modo per imbrogliare: è un’abitudine onnipresente nelle università come i cibi pronti o i social media”. Nel semestre appena cominciato, questa nuova realtà sarà incontestabile. L’istruzione superiore è cambiata per sempre nello spazio di un ciclo di studi.

“Può fare praticamente tutto”, dice Harrison Lieber, che studia economia e informatica alla Washington university di St. Louis. Per i ragazzi come lui, le tante questioni morali legate all’ia – se si basa sullo sfruttamento, se è antintellettuale o danneggia l’ambiente – passano in secondo piano rispetto alla sua utilità. Per lui è soprattutto una questione pragmatica: gli studenti non vogliono imbrogliare, e sicuramente non vogliono sminuire il valore di un’istruzione che può costare a loro o alle loro famiglie una piccola fortuna. Ma se hai sette elaborati da consegnare in cinque giorni, e l’ia può renderti il lavoro dieci volte più rapido al costo di una pizza, cosa dovresti fare?

Nella primavera del 2023 ho parlato con uno studente perché il suo saggio era stato segnalato da uno dei rilevatori di ia (quasi sempre inattendibili) di cui le università si sono dotate per frenare l’ondata di plagi. Mi ha detto di aver sottoposto il suo testo a un software per la correzione grammaticale e di aver chiesto a ChatGpt di migliorare alcune frasi, e che lo aveva fatto per avere più tempo da dedicare ad altre attività, come il basket o la palestra.

La pandemia ha dimostrato che le università possono cambiare in fretta

In quel primo, esplosivo anno di ia, un atteggiamento come il suo poteva essere comune: se il computer mi aiuta con il lavoro, avrò più tempo per fare altro. È un’attrattiva che resta forte anche nel 2025, ma ora le motivazioni degli utenti si sono diversificate. Per Lieber il fascino dell’ia sta più nei risultati che nell’efficienza. Come la maggior parte degli iscritti alle università d’élite, si è sempre impegnato al massimo. “Se un corso non ha un impatto tangibile sulla mia possibilità di trovare un buon lavoro”, spiega, allora “non vale la pena di perderci molto tempo”. Questo approccio all’istruzione, unito alle prospettive “tetre” sull’occupazione dopo la laurea, giustifica un’attenzione sempre più feroce ai risultati.

Da’Juantay Wynter, un altro studente che sta cominciando l’ultimo anno, mi racconta che scrive sempre i suoi saggi da solo, ma non si fa problemi a usare ChatGpt per riassumere i libri da leggere, soprattutto quando ha fretta. E questo gli succede molto spesso. Wynter si sta specializzando in scienze della formazione e in studi sulla cultura americana; è stato anche presidente dell’Association of black students, oltre a far parte di un sindacato studentesco e di vari comitati. Questi impegni a volte gli sembrano più importanti dei corsi. “Voglio davvero sviluppare le mie competenze e le mie capacità intellettuali all’università”, dice. Anche se sa che l’ia non lo aiuta davvero a imparare, ha sempre un pensiero in testa: “Be’, l’ia può farlo in cinque secondi”.

Comprimere il tempo

Un altro studente, Omar Abdelmoity, fa parte dell’Academic integrity board dell’università, l’organismo che giudica i casi di plagio, con o senza l’ia. In quasi tutti gli episodi che ha esaminato, gli studenti in realtà avrebbero avuto il tempo di scrivere l’elaborato in questione, ma erano stressati o preoccupati da altro, e hanno usato l’ia perché funziona ed è disponibile. Inoltre le aspettative sono sempre più alte. Per chi vuole entrare a medicina, come lui, perfino avere un’ottima media e buoni punteggi al test di ammissione può sembrare insufficiente. Che sia vero o no, gli studenti hanno interiorizzato il messaggio che è meglio accumulare risultati ed esperienze: per esempio, aggiungere ore di tirocinio, pubblicare articoli di ricerca, guidare associazioni. Quindi cercano modi per “comprimere il tempo” e fare di più, dice Abdelmoity. E questo in un’università privata d’élite, continua, dove la pressione è grande ma anche i privilegi lo sono. In un ateneo pubblico è più probabile che uno studente debba anche lavorare e prendersi cura della famiglia. E queste necessità quotidiane potrebbero incoraggiare ulteriormente il ricorso all’ia.

Alla fine, dice Abdelmoity, i comitati sull’integrità accademica non possono fare più di tanto. Per gli studenti che hanno accesso all’intelligenza artificiale, l’istruzione è quello che decidi di farne.

Il dominio dell’ia sull’istruzione superiore è ormai quasi completo, ma molti insegnanti non ne sono ancora consapevoli. Non è che non capiscano la natura della minaccia per la didattica in aula. Ma parlando con i miei colleghi mi sono convinto che in generale i docenti non riescono a cogliere l’urgenza del problema. Molti sembrano ignari di quanto l’ia sia diventata normale per gli studenti. Per loro, l’anno appena cominciato potrebbe avere in serbo una dolorosa rivelazione.

Alcuni professori con cui ho parlato hanno adottato misure di autodifesa: stanno abbandonando le esercitazioni online e da svolgere a casa, nella speranza di preservare la “purezza” dei loro corsi. Kerri Tobin, che insegna scienze della formazione alla Louisiana state university, ora chiede molto più spesso agli studenti di scrivere in classe e a mano, un approccio che ho sentito molte volte quest’estate. Anche la prova in aula è tornata in auge. E Abdelmoity riferisce che al corso di scienze naturali che segue la valutazione è già stata ricalibrata, dando meno peso ai compiti a casa e più importanza ai test. Questi aggiustamenti potrebbero essere utili, ma rischiano anche di allontanare gli studenti. Essere costretti a scrivere saggi a mano potrebbe far sembrare l’università ancora più antiquata e meno in sintonia con la realtà.

Altri credono che gli appelli morali possano ancora essere efficaci. Annabel Rothschild, assistente di informatica al Bard college di New York, sostiene che le regole e i divieti sono stati meno efficaci degli appelli individuali alla responsabilità. Rothschild è preoccupata soprattutto per l’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale, come il consumo di elettricità e acqua, e spiega che i ragazzi hanno reagito bene alle discussioni su questo tema. Il fatto che sia un’esperta di tecnologia rende più credibile il suo messaggio.

Gli studenti che oggi frequentano l’ultimo anno sono entrati all’università alla fine della pandemia di covid, una crisi che sembrava dovesse trasformare l’istruzione superiore. Il passaggio alle lezioni su Zoom ha rivelato quanto fosse superata la tradizionale lezione frontale, e ha dimostrato che in condizioni di emergenza le università sanno cambiare rapidamente. Ma il covid ha portato pochi cambiamenti duraturi. Alcuni degli studenti con cui ho parlato hanno detto che anche la risposta all’ia è stata debole. Si chiedono perché gli insegnanti non facciano di più per adattare i loro metodi di insegnamento alle nuove tecnologie , e magari migliorare l’esperienza di apprendimento.

Lieber sostiene di voler imparare a costruire argomentazioni e comunicare idee complesse. Ma si chiede anche perché non si valutino queste competenze attraverso la discussione in aula (che è difficile da falsificare), invece di ricorrere a elaborati scritti o ricerche (che possono essere svolti con l’ia). “Gli studenti vanno a un corso basato sul confronto, e l’80 per cento della classe non partecipa al dibattito”, dice.

La verità è che molti insegnanti vorrebbero cambiare qualcosa, ma semplicemente non possono. Molti di noi vorrebbero valutare gli studenti in base alla loro partecipazione in classe, ma hanno paura che questi giudizi siano ritenuti arbitrari e iniqui, e che studenti e genitori possano protestare. Quando i docenti tengono conto della partecipazione in classe preferiscono essere prudenti: tendono a valutare gli studenti in base alla presenza o al numero di interventi, più che la qualità di ciò che dicono.

In questo modo evitano il rischio di conflitti legati alla necessità di tener conto della salute mentale o delle opinioni politiche degli studenti, oppure a questioni burocratiche. Ma rende anche più facile l’invasione dell’ia. Se quello che uno studente dice di persona non può essere valutato in modo rigoroso, allora ciò che digita al computer – magari con l’aiuto dell’automazione – conterà ancora di più.

Sotto attacco

Come i suoi coetanei, Lieber ha conosciuto brevemente la vita universitaria prima di ChatGpt. Eppure già all’inizio del primo anno provava una sensazione di estraneità durante certi corsi. “Mi ritrovavo a pensare: ‘Che diavolo ci faccio qui, seduto a guardare questo tipo che da trent’anni ripete la stessa lezione?’”. Sapeva già la risposta: era lì per sovvenzionare la ricerca di quel professore. Nelle università statunitensi, insegnare è un’attività secondaria, a volte perfino trascurata da docenti che vogliono dedicare più tempo possibile a scrivere progetti per ottenere fondi, dirigere laboratori e pubblicare articoli accademici. L’esperienza in aula era in crisi anche prima dell’ia.

Entusiasmo cinese

◆ Mentre in occidente la diffusione dell’intelligenza artificiale nel mondo dell’istruzione è spesso considerata un problema da gestire, in Cina è vista soprattutto come un’opportunità, scrive Caiwei Chen sulla Mit Technology Review. Le nuove linee guida del ministero dell’istruzione cinese incoraggiano lo sviluppo della padronanza di questi strumenti, e l’amministrazione di Pechino ha reso obbligatorio l’insegnamento dell’ia in tutti gli istituti della città a partire dalla scuola primaria. Quasi tutte le migliori università cinesi hanno aggiunto corsi di formazione generale interdisciplinari, programmi di laurea e moduli di alfabetizzazione all’ia nell’ultimo anno. La stessa differenza di atteggiamento si riflette nell’opinione pubblica: un rapportodell’università di Stanford ha rilevato che la Cina è il paese dove lo sviluppo dell’ia è visto più favorevolmente. Circa l’80 per cento degli intervistati cinesi si è detto entusiasta di queste tecnologie, contro solo il 35 per cento negli Stati Uniti e il 38 per cento nel Regno Unito. ◆


Ora gli stessi professori devono affrontare le tentazioni dell’intelligenza artificiale, che può permettere anche a loro di lavorare di più e più velocemente. Ho sentito colleghi che ammettono di usare l’ia per scrivere lettere di raccomandazione e programmi didattici. Altri chiaramente la usano per redigere i loro articoli scientifici. E molti altri ancora discutono volentieri dei modi apparentemente corretti di usare la tecnologia, per esempio simulando interazioni con autori del passato, o proponendo corsi di intelligenza artificiale applicata.

Ma gli studenti sembrano desiderare un tipo più profondo d’innovazione. Non cercano stratagemmi, come lezioni in cui si usa l’ia solo per far apparire più attuali argomenti noiosi. Ragazzi come Lieber, che considera la sua formazione universitaria un trampolino di lancio per la carriera, chiedono qualcosa di più. Invece di sostenere esami o scrivere elaborati in aula, vogliono più apprendimento basato su progetti, con esercitazioni che “imitano il mondo reale”, come dice Lieber.

Ma per immaginare corsi di questo tipo, che resistono alle scorciatoie dell’ia, gli insegnanti dovrebbero impegnarsi in un lavoro nuovo e dispendioso in termini di tempo. E questo impegno arriva nel momento peggiore possibile. Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca le università sono sistematicamente sotto attacco. I finanziamenti per la ricerca sono stati tagliati o bloccati. I laboratori hanno licenziato personale. I programmi di dottorato hanno ridotto le ammissioni. I progetti di ricerca sono stati sospesi. L’“esperienza universitaria” a cui gli statunitensi aspirano da generazioni potrebbe presto scomparire.

Queste tensioni rendono l’istruzione superiore ancora più vulnerabile all’ia. Gli insegnanti devono far fronte a più richieste di quante si aspettassero e con meno strumenti per soddisfarle. Il modo migliore – e forse l’unico – per impedire che l’intelligenza artificiale prenda il controllo delle università sarebbe riprogettare l’insegnamento in aula.

Ma chi ha il tempo? I professori si trovano ad affrontare la stessa sfida dei loro studenti: l’istruzione universitaria sarà ciò che anche loro decidono di farne. Prima o poi, tutti nei campus dovranno mettersi al lavoro. ◆ gc

Ian Bogost insegna informatica, ingegneria e arti visive alla Washington university di St. Louis, in Missouri.

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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati