Se un mercoledì sera doveste trovarvi a rispondere alle chiamate che arrivano all’ufficio informazioni James E. Foy dell’università di Auburn, in Alabama, potrebbe capitarvi una domanda come questa: “Se muoio in sala operatoria e i medici mi dichiarano legalmente morto, ma poi torno in vita, quali sarebbero le conseguenze giuridiche? Tecnicamente non esisterei più? Dovrebbe intervenire un giudice per dichiararmi ‘non più morto’?”.
Poco dopo il telefono squillerebbe ancora e qualcuno potrebbe chiedervi: “Chi è la persona più famosa del mondo?”. Domanda successiva: “Come faccio a prendere il supersiero in Call of Duty?”. All’ultima chiamata prima della fine del turno, intorno alle undici, la persona all’altro capo del telefono potrebbe farvi una pernacchia e poi riagganciare.
Ho passato due giorni e due notti ad ascoltare le chiamate al servizio di assistenza Foy, dove i telefoni squillano dal 1953, quando il rettore James E. Foy lo avviò per aiutare sia gli studenti sia la gente del posto. Da allora i ragazzi che gestiscono il servizio hanno risposto a ogni genere di domanda, o almeno ci hanno provato.
Oggi la postazione ha un aspetto diverso rispetto a settant’anni fa. Tanto per cominciare, è stata spostata in una struttura moderna. La vecchia Foy hall esiste ancora, ma ospita alcuni piccoli uffici dedicati all’assistenza per gli studenti. I tetti sono bassi e lo spazio avrebbe bisogno di una ristrutturazione. Un tempo sulla scrivania dei volontari c’erano pile di libri: enciclopedie, dizionari, testi di citazioni, elenchi telefonici, l’Almanacco dell’agricoltore, il Guinness dei primati e il prezioso galateo di Emily Post. Oggi quei volumi sono stati sostituiti da tre computer blu e arancione, i colori dell’università. Il numero di telefono, invece, è rimasto lo stesso: (334) 844-4244.
Una giornata di chiamate al Foy somiglia molto alla cronologia di ricerca di un utente medio sul web: per cosa viene prescritta la cefuroxima? Qual è il costo medio di un ettaro di terra in Texas? Qual è l’immobile più economico in New Jersey? A quanto ammonta il patrimonio di Elon Musk? Qual è il numero di telefono del servizio clienti di Costco? Quanto costa un biglietto per il Super bowl? Che pianta è il crescione? Cosa provoca lo strano odore che sento? Gli AirPods 2 sono impermeabili? Cosa faccio se trovo un serpente in casa? Quali sono tutti i nomi usati per i genitali femminili? (gli studenti del Foy non rispondono a domande come questa, ma ciò non significa che gli utenti evitino di farle).
Circa 13 milioni di persone negli Stati Uniti e 2,6 miliardi in tutto il mondo non usano internet, perché non ne hanno la possibilità, perché non vogliono farlo, perché costa troppo o perché la loro religione glielo impedisce. Alcuni hanno accesso alla rete ma temono di non saperla usare nel modo giusto. Per queste persone gli studenti di Auburn sono internet. E sono fortunate, perché i ragazzi sono estremamente comprensivi e non giudicano gli interlocutori dalle loro domande.
La voce di Beluah
Il manuale operativo del servizio assistenza è composto da dieci fogli A4 con istruzioni su come registrare le attività di inizio e fine giornata e su come scambiarsi i turni. La formazione per gli studenti è minima. Le regole sono semplici: cercate di essere più educati che potete, riagganciate se la domanda è offensiva, non rispondete a domande che sembrano parte di un compito a casa. Se qualcuno vi minaccia, riagganciate e digitate *57 (questo aiuta la polizia a rintracciare la chiamata) prima di informare il vostro supervisore.
Durante il giorno i telefoni squillano dalle dieci alle quindici volte ogni ora. A chiamare sono soprattutto persone comuni, ma ogni tanto telefonano anche gli studenti di Auburn per avere informazioni sui biglietti per una partita di basket o per chiedere di controllare se c’è una giacca marrone nel cesto degli oggetti smarriti. Alla fine del pomeriggio, quando le lezioni finiscono e il sole tramonta, le grandi finestre che filtrano la luce del sole si trasformano in specchi. A quel punto le chiamate diminuiscono, così i volontari hanno il tempo di studiare. È uno dei vantaggi di questo lavoro. Alle nove di sera nella postazione c’è un silenzio quasi assoluto. È in quei momenti che chiamano persone come Beluah.
Beluah ha molti animali domestici e una passione per i rettili. A quanto pare attira anche gli animali selvatici: ha una volpe nel cortile e un serpente che gira per casa. C’è anche un ragno che vive sulle sue tende. Beluah ha chiamato più di una volta per chiedere il numero di un disinfestatore. Mediamente le conversazioni durano meno di due minuti, ma quelle con Beluah superano spesso i quindici. Gli studenti non sanno chi sia davvero. Di solito riescono a farsi un’idea dall’accento di chi chiama, ma quello di Beluah non è del sud e nemmeno del nordest (l’area da dove provengono le sue chiamate).
A Kamran Kimber, brillante studente di economia al terzo anno, piace molto parlare con Beluah: “Mi sembra… chi è l’attrice che recita in White Lotus?”. Si ferma a pensare. “Jennifer Coolidge, ecco. Dalla voce sembra lei”.
Una telefonata dopo l’altra, gli studenti scoprono qualcosa in più sulle persone che chiamano abitualmente. Fare domande agli utenti non è espressamente vietato, ma siamo pur sempre in Alabama e molti degli studenti che rispondono alle chiamate sono nati e cresciuti qui o vengono da altri stati del sud. Anche quando a chiamare sono i ragazzi ubriachi dopo le feste delle confraternite, i volontari tendono a non riagganciare a meno che sentano qualcosa di inappropriato. Dopo tutto anche un ubriaco può avere una domanda legittima. Gli studenti del Foy sono estremamente cordiali e tendenzialmente si fanno gli affari loro.
Con poche informazioni in mano, sono portati a fantasticare sull’identità delle persone con cui parlano, trasformando in indizi la voce, l’accento, il prefisso telefonico e le domande. Fino a qualche anno fa c’era un’anziana che chiamava ogni sera da una casa di riposo. All’epoca Matt Sheorn studiava a Auburn e gli capitava spesso di parlare con lei. Oggi non riesce a ricordare le domande, ma la immaginava seduta da sola nella casa di riposo ed era felice di parlarle per tutto il tempo che desiderava. “È inevitabile immaginare l’aspetto di queste persone e il posto da dove chiamano”, spiega Sheorn. “Quella donna se ne stava tutte le sere sulla sedia a dondolo e prendeva il telefono per chiamare il Foy? Di giorno pensava alle domande che ci avrebbe fatto?”.
Anche se non sanno molto della vita delle persone che chiamano più spesso, gli studenti sentono la loro mancanza quando smettono di chiamare. Ho chiesto quando è stata l’ultima volta che hanno parlato con Beluah, ma nessuno ricordava una conversazione recente. “Spero davvero che stia bene”, ha detto uno di loro con l’aria preoccupata.
Nel confessionale
Braxton Stacey è uno studente di ingegneria all’ultimo anno. Viene da Muscle Shoals, una piccola città dell’Alabama lungo il fiume Tennessee, al confine con il Mississippi e il Tennessee. Ha un piacevole accento del sud, tipico di chi viene da una zona di frontiera.
Stacey è il supervisore delle attività del servizio di assistenza, cioè si occupa di gestire le sale riunioni del centro studentesco e chiude a chiave le porte la sera. A volte sostituisce uno dei tre volontari, ma prima di essere promosso passava le giornate a rispondere al telefono.
“Una sera mi ha chiamato una signora anziana”, mi ha raccontato. “Abbiamo conversato per circa un’ora. In realtà non faceva molte domande. Mi ha detto, e non so quanto sia vero, che di recente una sua amica era morta, e che mi aveva chiamato solo per chiacchierare un po’. Ho pensato che fosse giusto lasciarla parlare. Io non ho detto granché. Semplicemente aveva bisogno di compagnia”. La donna ha raccontato a Stacey dei suoi nipoti e delle riparazioni che stava facendo alla sua vecchia casa. Chiamate come questa sono più rare rispetto a quelle di chi fa domande precise, per esempio sul prezzo di una sedia a dondolo o sulle previsioni meteorologiche per il fine settimana a Elkins Park, in Pennsylvania. In ogni caso tutte le persone che chiamano ricevono la stessa attenzione.
Durante le ore che ho trascorso con i ragazzi del servizio informazioni il telefono ha squillato senza sosta. Una persona ha chiamato per conoscere il patrimonio dell’imprenditore David Lichtenstein. Un’altra, che aveva la voce di un bambino, voleva sapere quanto è lontano Plutone dalla Terra. Le domande erano estremamente varie e ognuna, a suo modo, unica.
Cora è convinta che le chiamate che le arrivano siano solo quelle a cui è destinata a rispondere. Non crede alle coincidenze
“Non siete curiosi di sapere perché si rivolgono a voi?”, ho chiesto agli studenti. A volte sì, mi hanno risposto, ma poi pensano che in fondo non sono affari loro. Capita però che chi chiama più spesso senta la necessità di spiegare perché, per esempio dicendo che vive in aree remote o non può permettersi una connessione a internet. In ogni caso per gli studenti il motivo delle chiamate non è importante. Il loro lavoro è aiutare la gente.
Nella prima serata che ho trascorso al loro fianco, un ragazza è venuta ad accogliermi. Era Cora Baldwin, studente all’ultimo anno di ingegneria informatica. Aveva una voce gentile, forse un po’ nervosa, come se avesse paura di dare fastidio. Mi ha fatto fare un giro e mi ha presentato tutti i volontari. “Non so bene come dovrei prendermi cura di te”, mi ha detto, “ma voglio farti sentire benvenuta. Cosa vuoi fare?”.
Gli studenti mi hanno permesso di osservare e ascoltare le loro conversazioni telefoniche. Ho sentito molti “sì, signora” e “no, signora”. Capiscono quando una persona vuole mantenere un tono formale: più l’accento del sud è marcato e più è consigliabile rivolgersi all’interlocutore con una certa cortesia linguistica.
Poche ore dopo tra le scrivanie regnava il silenzio. Il centro Foy stava per chiudere e probabilmente non sarebbero arrivate altre chiamate. Dondolando sulle sedie girevoli, ragazze e ragazzi mi hanno raccontato le storie delle loro chiamate preferite, che nella maggior parte dei casi non avevano mai condiviso con nessuno. L’atmosfera era vagamente confessionale, come succede spesso nelle conversazioni tra studenti a tarda notte. Cora è convinta che le chiamate che le arrivano siano solo quelle a cui è destinata a rispondere. Non crede alle coincidenze.
Ho chiesto se volessero raccontare una conversazione che non erano mai riusciti a togliersi dalla testa. Uno studente mi ha detto di aver passato un’ora al telefono per aiutare una persona a pianificare un viaggio dall’Arizona al Canada. Un altro ha raccontato che un ragazzo lo aveva chiamato dicendo che si annoiava, ma era chiaro che si sentiva molto solo. È stata una lunga telefonata.
Riprogrammarsi
Poi è arrivato il momento di Cora: due anni fa, mentre faceva il turno di giorno, ha risposto a una chiamata di un uomo anziano che aveva preparato una lista di celebrità e voleva sapere la data di nascita di ognuna. “Mentre leggevo le date lui diceva cose come ‘mm, ok, ha senso’”. L’uomo le aveva detto che si può capire molto di una persona conoscendo solo la sua data di nascita. Avevano parlato degli studi di Cora e della carriera che sognava. La ragazza aveva pensato di parlare con un’altra persona sola che aveva bisogno di qualcuno con cui chiacchierare: “Ma poi mi ha chiesto quando era il mio compleanno, e appena lo ha saputo ha detto subito ‘no, tu non vuoi fare l’ingegnere informatica. Vorresti lavorare per aiutare le persone’”.
Aveva ragione, anche se Cora prima di quel momento non lo aveva mai ammesso a se stessa. “Mi sono sempre sentita vicina alle persone in difficoltà”, mi ha spiegato. “Mi piacerebbe creare un centro per le ragazze costrette a scappare di casa. Sono cresciuta in una piccola città in cui le persone in difficoltà non hanno accesso a servizi d’assistenza e non provano nemmeno a tirarsi fuori dalle brutte situazioni. Mi piacerebbe lavorare in questo campo”.
I suoi colleghi non ne avevano idea e l’avevano sempre vista come una programmatrice, ma le hanno subito detto che sembrava una buona idea perché Cora è la persona giusta per stare vicino a chi ha bisogno di aiuto. “Alla fine probabilmente non lo farò”, ha precisato la ragazza. “Ho bisogno di un lavoro”.
Ho deciso di insistere: “Ma quando ti ho chiesto di raccontarmi una chiamata che non hai dimenticato, tu hai scelto questa”, le ho detto. Ha annuito. D’altronde non crede alle coincidenze. Forse deve solo trovare il modo di riprogrammare la sua vita. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati