Il suono di una chitarra avvolge dolcemente la facciata di vetro del ministero degli esteri tedesco a Werderscher Markt, a Berlino. Alcuni attivisti di “Rettet Maja” (Salviamo Maja) sono seduti su panche disposte in cerchio, tra montagne di piatti di carta, pentole piene di zuppa e una bandiera arcobaleno. Altri distribuiscono volantini ai rari passanti. Ci si sente quasi al riparo sotto le tende montate alla buona mentre incombono nuvoloni grigio scuro, pronti a scatenare un temporale da un momento all’altro.
Il 13 luglio circa centocinquanta manifestanti si sono radunati qui per protestare contro la detenzione in isolamento di Maja T. in Ungheria, racconta Tim Opitz, incaricato dei rapporti con i giornalisti.
Quindici di loro hanno piantato le tende direttamente sul selciato per esercitare una pressione costante sul ministero e sul suo titolare, il cristianodemocratico Johann Wadephul. All’inizio la polizia ha cercato d’impedire l’accampamento. “Ma noi siamo rimasti, giorno e notte”, racconta Opitz. “Poi, grazie al supporto di alcuni avvocati, abbiamo ottenuto il permesso di restare”.
Trasferimento nella notte
Maja T. – un’attivista queer di 24 anni che si definisce non binaria – è accusata insieme ad altri di aver aggredito e picchiato dei neonazisti a Budapest nel febbraio 2023, durante il cosiddetto giorno dell’onore, una commemorazione dell’estrema destra. Arrestata in Germania nel dicembre dello stesso anno, nel giugno 2024 un tribunale di Berlino ha accolto la richiesta per la sua estradizione in Ungheria. La notte successiva la militante è stata prelevata dal carcere di Dresda per essere trasferita a Budapest. Nel frattempo la corte costituzionale tedesca si era pronunciata contro la sua estradizione, solo che l’ha fatto cinquanta minuti troppo tardi: Maja era già in territorio ungherese.
Da allora è passato più di un anno. Durante l’ora d’aria non le è consentito di vedere gli altri detenuti e la cella, ha raccontato nel corso di una telefonata con la radio Mitteldeutscher Rundfunk, è piena di cimici e scarafaggi. Molti rapporti denunciano il trattamento riservato alle persone queer in Ungheria e le forme di abusi che devono subire. Maja rischia fino a 24 anni di carcere.
In queste settimane in varie zone della Germania si moltiplicano le mobilitazioni per riportarla immediatamente a casa. La mattina del 15 luglio alcuni attivisti hanno attaccato uno striscione sul monumento dei Molecule men sul fiume Sprea, a Berlino. La polizia ha fermato due di loro, ma li ha rilasciati dopo averne registrato le generalità. Lo stesso giorno altri dodici attivisti hanno occupato la sede berlinese dell’emittente Zdf per denunciare la scarsa informazione sul caso. A Lipsia gli attivisti del gruppo “Libertà per Maja” si sono riuniti in Bernhardstraße e hanno occupato un edificio. “Le manifestazioni di solidarietà hanno dato vita a un movimento in Germania e all’estero. Noi ne siamo una parte”, afferma Opitz. “È quello che serve per esercitare la massima pressione”, aggiunge la collega Manu Costas.
Ma questa pressione sta arrivando oltre le mura e le finestre del ministero degli esteri? “Vogliamo che i responsabili si muovano, che riportino Maja a casa e facciano cadere tutte le accuse anche qui in Germania”, afferma Opitz.
Il ministro Johann Wadephul ha annunciato l’invio di una delegazione ufficiale in Ungheria per cercare innanzitutto di ottenere condizioni di detenzione migliori. “Chiediamo però a Wadephul di pretendere anche il rimpatrio di Maja”, dice Costas. Il rientro in Germania è quello che vogliono anche i centomila firmatari della petizione che all’inizio di luglio il padre di Maja, Wolfram Jarosch, ha portato con sé in una marcia di protesta da Jena a Berlino per consegnarla al ministero degli esteri. Wadephul non ha però ritirato la petizione, che Jarosch ha dovuto lasciare all’ufficio legale.
◆ Ogni anno nella seconda settimana di febbraio si svolge a Budapest, in Ungheria, il giorno dell’onore. È una manifestazione per rendere omaggio alle truppe naziste e ai collaborazionisti ungheresi che cercarono di impedire all’Armata rossa di conquistare la città. A queste celebrazioni partecipano gruppi neonazisti provenienti da tutta Europa.
◆ Nel 2023 alcuni militanti antifascisti vengono accusati di aver aggredito nove manifestanti. Tra loro c’è anche Ilaria Salis, che viene arrestata: resta in carcere fino al maggio 2024, quando le vengono concessi i domiciliari. A giugno viene scarcerata perché eletta al parlamento europeo.
◆ Maja T., sospettata di aver partecipato alle contromanifestazioni, viene arrestata a Berlino nel dicembre 2023 ed estradata in Ungheria nel giugno 2024. È accusata di “lesioni personali potenzialmente letali e appartenenza a un’organizzazione criminale”.
Die Tageszeitung
Secondo un portavoce del ministero, “le funzionarie e i funzionari dell’ambasciata tedesca a Budapest hanno visitato più volte Maja T. in carcere. Nell’ambito dell’assistenza consolare, le rappresentanze diplomatiche si adoperano, se necessario, per migliorare le condizioni carcerarie e/o garantire cure mediche adeguate. La nostra ambasciatrice e il personale dell’ambasciata tedesca in Ungheria stanno seguendo il caso e hanno partecipato a tutte le udienze”.
Il ministero riferisce inoltre che il 15 luglio il sottosegretario Géza Andreas von Geyr è andato in Ungheria e nel corso della sua visita ha sollevato il tema. Ma, questo è il punto fondamentale, “a decidere sull’eventuale fine della custodia cautelare o su un possibile ritorno in Germania sono esclusivamente i tribunali ungheresi”.
Lo sciopero della fame
Wolfram Jarosch, tuttavia, non vuole arrendersi. Il 12 luglio per la prima volta ha potuto incontrare la figlia in carcere. Dopo uno sciopero della fame durato quaranta giorni, la giovane è stata trasferita in un ospedale carcerario dove, a causa del peggioramento delle condizioni fisiche e di un battito cardiaco molto rallentato, rischiava di essere sottoposta all’impianto di un pacemaker e ad alimentazione forzata. “Da un lato è stato molto bello poter vedere Maja, eravamo molto preoccupati. Ma dall’altro è stato terribile trovarla così deperita e debole”, ha detto Jarosch. Il padre è rimasto colpito dalle guance scavate e dalle dita delle mani ormai ridotte a pelle e ossa. “Ha perso quattordici chili, era notevolmente dimagrita”, ha detto. “I muscoli erano parzialmente atrofizzati, aveva un ritmo cardiaco di appena trenta battiti al minuto. Si temevano seri danni agli organi interni, perdita di conoscenza o perfino un arresto cardiaco. Per questo il 14 luglio Maja ha interrotto lo sciopero della fame”.
Per esercitare ulteriori pressioni sulle autorità, il 16 luglio Jarosch si è rimesso in marcia. Stavolta andrà a piedi dal carcere di Dresda fino a Budapest. Lo accompagna la moglie, Tatjana Jarosch, in bicicletta, con un materassino, acqua, succhi di verdura, brodo, latte e miele. Come sua figlia, anche lui non assumerà cibo solido per tutti gli ottocento chilometri di marcia. Solo l’essenziale per mantenere sotto controllo il livello dei sali minerali e degli elettroliti.
Ancora una volta Jarosch chiede il ritorno della figlia in Germania. “Maja è stata estradata illegalmente, violando la sentenza della corte costituzionale tedesca. Da più di un anno è in isolamento, una condizione che equivale a una tortura psicologica. Tutto questo deve finire”, è il suo appello. “Il ministro Wadephul ha la responsabilità di ripristinare lo stato di diritto e la dignità umana. Maja deve essere riportata in Germania e, fino ad allora, ottenere gli arresti domiciliari”.
Davanti al ministero degli esteri le tende resteranno finché sarà necessario, dice l’attivista Costas: “A un certo punto il nostro rumore non potrà più essere ignorato, e allora i responsabili saranno costretti ad agire”.
Per i manifestanti la loro lotta a Berlino e quella di Maja T. in Ungheria sono parte della stessa battaglia contro l’ascesa del fascismo. “Maja è un esempio di come, anche in situazioni apparentemente senza via d’uscita, non bisogna arrendersi, bisogna mantenere viva la speranza e tenere alta la testa. Tutti gli antifascisti in Germania dovrebbero tenerlo a mente, se vogliono combattere anche qui ogni forma di fascismo”.
Intanto la bandiera arcobaleno continua a sventolare davanti al ministero degli esteri, sotto lo sguardo vigile della polizia, che sorveglia l’accampamento con due furgoni. ◆ nv
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Questo articolo è uscito sul numero 1624 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati