Il video della protesta del 2 ottobre è sconvolgente. Mostra un poliziotto che spinge un ragazzo giù da un ponte facendolo cadere nel letto del fiume Mapocho, a Santiago del Cile. Il ragazzo, 16 anni, resta nel fiume fino a quando alcuni civili, e poi dei pompieri, lo mettono in salvo. “Voglio smentire la notizia: i poliziotti non hanno spinto quel minorenne”, ha detto il tenente colonnello Rodrigo Soto. “Certa gente deve smetterla di accusare gli agenti per fatti che non hanno commesso. Queste accuse ci fanno soffrire”. Nonostante i molti rapporti internazionali che hanno denunciato le violazioni dei diritti umani commesse in Cile nel 2019, l’episodio indica che poco o niente è cambiato.
Logiche del passato
“Dal ritorno della democrazia, le forze armate e la polizia si sono comandate da sole”, confessava due anni fa il ministro dell’interno José Miguel Insulza. I poliziotti sono in maggioranza persone oneste, che lavorano per la comunità, ma l’istituzione è degenerata al punto che nascondere azioni criminali è diventato un istinto, un tic nervoso che spinge i vertici a manipolare prove, negare fatti evidenti e scaricare sugli altri le proprie colpe. L’alto comando della polizia agisce come un’istituzione autarchica in conflitto con una parte della società civile, dividendo il Cile in amici e nemici. Questa specie di polizia ideologica raggiunge estremi tragicomici: mentre la rivista statunitense Time inserisce il collettivo femminista Las Tesis nella lista annuale delle cento persone più influenti del mondo, il comando presenta una denuncia contro di loro. Di recente la polizia ha impedito la proiezione di un simbolo mapuche a plaza Italia, un’iniziativa patrocinata dal ministero della cultura. Quando un agente è vittima di un’aggressione, i video della polizia che mostrano i fatti vengono diffusi nel giro di pochi minuti. Invece quando le immagini mostrano comportamenti inadeguati della polizia, le prove sono nascoste o distrutte.
Il governo del presidente Sebastián Piñera ha vissuto sette mesi di relativa calma a causa della pandemia. Avrebbe potuto sfruttare questo tempo per avviare una riforma della polizia e per stabilire dei meccanismi di controllo. Non è coerente che l’esecutivo consideri credibili i rapporti internazionali quando parlano del Venezuela, ma li minimizzi o li metta in discussione quando le stesse organizzazioni denunciano gli abusi in Cile.
Quando una persona spara a un’altra in pieno volto o la spinge nel letto di un fiume, deve rispondere davanti alla giustizia per le sue azioni. Ma quando lo fa abusando dei poteri conferiti dalla legge e delle armi che le abbiamo affidato per proteggerci, serve una riflessione più profonda. Perché quel poliziotto ha pensato che un cittadino fosse suo nemico? Quali segnali ha ricevuto dai suoi superiori per agire così? Dopo trent’anni di democrazia, la gerarchia della polizia resta ancorata alle logiche della dittatura: agisce come una forza di repressione sociale invece che come garante dell’uguaglianza di tutti davanti alla legge. La società cilena merita delle forze dell’ordine affidabili. Quanti abusi, quante bugie, quanti morti ancora ci vorranno prima di ottenerle? ◆fr
◆ Il 25 ottobre 2020 i cileni sono chiamati a decidere con un referendum se vogliono una nuova costituzione. Quella attuale risale alla dittatura del generale Augusto Pinochet (1973-1990). I cileni devono anche stabilire se la costituzione sarà scritta da un’assemblea composta esclusivamente di cittadini o da un’assemblea mista di cittadini e parlamentari.
Daniel Matamala è uno scrittore e giornalista cileno.
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Questo articolo è uscito sul numero 1379 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati