Il centro sciamanico Espíritu de anaconda, vicino alla città di Iquitos (Anaya Gautier, Hans Lucas/Contrasto)

In mezzo a tanta confusione non è facile trovare lo sciamano Marcelino Nolorbe Faleccio. Nel centro di Iquitos, una città dell’Amazzonia peruviana, si passa senza soluzione di continuità dal mercato del pesce a quello ortofrutticolo: l’intero marciapiede e quasi metà della strada sono occupati dalle bancarelle tra cui sfrecciano i mototaxi. Si vendono banane, tartarughe arrosto e coccodrilli, selvaggina viva e rimedi contro l’impotenza a base di testicoli di scimmia e acquavite: “Sette volte di seguito, garantito”.

Passiamo attraverso un passaggio nel muro, saliamo una scala senza protezione e, una volta arrivati in cima, vediamo un mare di precarie casupole di legno su palafitte piantate in riva al fiume: una baraccopoli in cui vivono migliaia di famiglie. Ci abita anche lo sciamano che dobbiamo incontrare per scoprire perché negli ultimi tempi questa città di 160mila abitanti sta vivendo un sorprendente ­boom economico.

Spesso gli abitanti chiamano Iquitos “l’inferno ”, anche per le temperature che quasi tutti i giorni superano i 35 gradi. La città è circondata dai fiumi Itaya, Marañón, Nanay e dal rio delle Amazzoni e chi vuole visitarla deve prendere la barca o l’aereo. Ma chi vuole visitarla? Iquitos non è una bella città: ci sono strade dissestate, scheletri di edifici mai finiti e tante baraccopoli come l’insediamento di palafitte dove vive lo sciamano.

Circa un secolo fa qui c’era molta ricchezza, anche se ne approfittava solo una élite ristretta. Erano i tempi d’oro dei baroni del caucciù, ricchi uomini d’affari che venivano da lontano e sottomettevano la popolazione nativa con metodi brutali, costringendola a raccogliere il lattice nella foresta pluviale per soddisfare la domanda internazionale di gomma. Di quell’epoca non resta molto da vedere, a parte qualche villa.

Da qualche anno, però, Iquitos offre un nuovo prodotto da esportazione molto ricercato a livello internazionale: dopo timidi inizi nei primi anni duemila, nella città amazzonica sono arrivati sempre più spesso turisti interessati soprattutto a consumare una sostanza psicotropa, l’ayahuasca. È un infuso con effetti psichedelici ottenuto da due piante della foresta amazzonica che le popolazioni native usano da millenni nei rituali sciamanici. Il decotto era conosciuto da tempo, ma non era mai stato tanto ricercato come oggi: anche negli anni sessanta alcuni coraggiosi pionieri beat e hippy si erano spinti fino a Iquitos, ma non è niente di paragonabile al richiamo che l’ayahuasca esercita in questo momento.

La nuova ondata è cominciata quando alcuni studi clinici condotti da università statunitensi e brasiliane hanno sollevato speranze inaspettate: sembra che l’ayahuasca possa contribuire a curare la depressione, l’ansia e i disturbi ossessivo-compulsivi. Poi sull’argomento sono usciti alcuni libri, diventati best seller mondiali, e sono nati blog e podcast specializzati. Infine alcune serie su Netflix hanno parlato di sostanze psichedeliche ricavate da erbe, cactus e muco di rospo, e ovviamente dell’ayahuasca, che contiene la dimetiltriptamina (dmt), una sostanza psicotropa molto potente.

Con una trovata decisamente efficace, la piattaforma di streaming l’ha definita “la molecola di dio”.

Spezzare gli incantesimi

È nata quindi una nuova moda, un giro d’affari internazionale: si vendono sogni psichedelici. Secondo uno studio recente dell’istituto spagnolo Iceers nel mondo più di quattro milioni di persone hanno provato l’ayahuasca.

Chi la consuma in modo tradizionale beve l’infuso color ruggine verso sera, vomita in un secchio e dopo circa mezz’ora comincia ad avere le visioni: possono essere forme e colori, incontri con entità sconosciute oppure visite a mondi ignoti. I “viaggi” con l’ayahuasca sono difficili da descrivere a parole anche per i consumatori più esperti, ma molte persone li annoverano tra le esperienze più importanti della loro vita.

Per arrivare dallo sciamano Nolorbe manca poco. Attraverso ponti e passerelle improvvisati, realizzati con vecchi pezzi di legno, superiamo buche piene di fango, acqua stagnante e spazzatura. Nolorbe ci dà il benvenuto con un sorriso. Ha 62 anni e parla dell’ayahuasca chiamandola “il lavoro”. Si riferisce a un antico rituale tramandato dal padre e dal nonno. Secondo lui, il lavoro con l’ayahuasca aiuta a guarire le malattie e a spezzare gli incantesimi.

Nell’Amazzonia peruviana l’uso tipico di questa sostanza funziona così: si crede che sotto la sua influenza gli sciamani siano in grado di sciogliere malefici o viceversa di procurare a qualcuno malattie e altre disgrazie. Nolorbe esegue il rituale in una minuscola stanza dall’aria viziata nella sua casa: alla cerimonia possono assistere al massimo cinque persone. Vivere esclusivamente di questo è impossibile e per arrivare alla fine del mese Nolorbe gestisce anche un chiosco a bordo strada.

Ma è meglio così, dice lo sciamano: non tornerà a lavorare in uno dei tanti centri per l’ayahuasca che hanno aperto negli ultimi anni un po’ ovunque. Quasi tutti sono gestiti da stranieri. “Pagano pochissimo”, spiega. “E poi è un lavoraccio. Bisogna occuparsi della gente per ore e andare nella foresta a cercare le piante, preparare l’ayahuasca e berla per poter guidare la cerimonia”, dice. In genere prendeva 50 soles al giorno, circa 12,50 euro.

Solo a Iquitos ci sono 67 centri sciamanici ufficialmente registrati. Ce ne sono molti non ufficiali oltre a quelli lungo le strade che attraversano le aree della foresta pluviale appena fuori città. Sono dappertutto, ma riconoscerli non è sempre facile: bisogna trovare indirizzi, consigli ed elenchi navigando in rete. L’offerta spazia da spartani ritiri nella giungla con qualche panca per sedersi a centri di lusso. Quasi tutte le novecento agenzie di viaggio locali offrono anche esperienze con l’ayahuasca e molte collaborano con agenzie occidentali specializzate. Di solito un pacchetto costa qualche migliaio di euro. I centri più grandi possono accogliere gruppi di sessanta persone.

Foglie di coca, funghi e oppio

Il crescente afflusso di ricchi turisti – soprattutto statunitensi, francesi e britannici – è il fattore che più di tutti contribuisce all’economia della città. Eppure le istituzioni di Iquitos non ne parlano volentieri. L’ente per la promozione del turismo, Prom Perú, rifiuta l’intervista, mentre l’ente per il commercio internazionale e il turismo della regione di Iquitos accompagna il rifiuto con qualche dato statistico: nel 2022 hanno visitato Iquitos più di 157mila persone straniere e si stima che un quinto fosse alla ricerca di allucinogeni e sciamani (la stima sembra abbastanza prudente).

Carlos Santillán, consulente di Prom Perú, conferma di aver già sentito parlare di centri che chiedono 15mila dollari per un programma di più giorni. Nessuna istituzione, però, ci spiega quanti di questi soldi alimentino l’economia locale.

La ragione del boom è chiara: al contrario di quanto avviene nella maggior parte degli altri paesi, in Perù l’ayahuasca è legale. Anzi, dal 2008 l’infuso è considerato patrimonio culturale nazionale. Nonostante questo, oggi la maggioranza dei peruviani è indifferente se non addirittura ostile alle tradizioni sciamaniche del paese, per motivi legati soprattutto alla diffusione delle chiese evangeliche.

Chi consuma la sostanza in modo tradizionale beve l’infuso color ruggine verso sera, poi vomita in un secchio e dopo mezz’ora ha le visioni

Il britannico Matthew Watherston, invece, sa apprezzare molto bene il patrimonio peruviano. Nel 2007 ha partecipato per la prima volta a un ritiro ayahuasca a Iquitos e più avanti ha aperto il Temple of the way of light, che oggi è uno dei centri sciamanici per turisti più importanti di Iquitos. Andarci, secondo lui, è come sottoporsi a “un intervento chirurgico energetico” che aiuta a “individuare e a eliminare le energie negative pesanti”.

Gli ospiti del tempio di Watherston sono condotti nella foresta, in un luogo isolato dove passeranno dodici giorni assumendo l’ayahuasca per sei volte, tra bagni di vapore e massaggi. Il tutto al costo di 3.900 dollari, circa 3.640 euro. Ma Watherston offre anche esperienze più brevi, per esempio due giorni di ritiro al mese. Secondo calcoli basati su quanto dichiara il suo titolare venuto dall’estero, per questo tempio peruviano passano più di mille persone all’anno.

Watherston promuove il centro sostenendo di dare lavoro ad autentici curanderos tradizionali: oltre a venti dipendenti stranieri, ci sono quindici sciamani e sessanta aiutanti nativi. Ma quando gli chiediamo quanto li paga, gli passa di colpo la voglia di chiacchierare. Dal momento che quest’informazione non si riesce a ottenere neanche dai suoi dipendenti, dobbiamo affidarci a quello che ci dice una guida turistica locale: normalmente i centri per stranieri non pagano bene, in genere il compenso è di 200 soles, circa 50 euro, per ogni partecipante trattato. E se Watherston insiste sul rispetto delle tradizioni che ispira il lavoro con l’ayahuasca nel suo tempio, i gestori di altri centri non sembrano prendere le cose altrettanto sul serio e spingono gli sciamani alle loro dipendenze a fare ogni sorta di esperimenti.

“Ci sono posti in cui l’ayahuasca è mescolata alle foglie di coca, ai funghi e alla marijuana”, dice indignato Agustín Rivas Vásquez, uno degli sciamani di maggior successo nella regione. Lo chiamano tutti don Agustín e ha quasi 91 anni. È apparso in vari documentari, è stato negli Stati Uniti e in Germania e, insieme alla moglie Marlene, gestisce un centro molto frequentato nella foresta. Insomma, non è certo estraneo agli aspetti commerciali dello sciamanesimo, ma gli intrugli preparati da alcuni nuovi colleghi lo fanno arrabbiare: “Qualcuno usa addirittura l’oppio”, sostiene.

Per trovare le piante di cui hanno bisogno, gli sciamani oggi sono costretti a inoltrarsi sempre più in profondità nella foresta amazzonica. Anche in alcune comunità native locali cresce la rabbia contro il business dei sogni portato avanti dai centri per il consumo dell’ayahuasca. Le comunità protestano contro la commercializzazione della loro cultura, mercificata a caro prezzo dagli stranieri mentre loro non guadagnano quasi nulla.

Il fatto che non abbiano torto si capisce subito arrivando a Iquitos. È possibile comprare la sacra ayahuasca vicino al mercato ortofrutticolo in centro: in forma liquida, un litro per l’equivalente di 150 euro, o in forma di gel facile da trasportare a 320 euro al chilo.

Anche tutte le altre piante sacre sono in vendita, compreso il tabacco mapacho, che si usa durante i rituali per esaltare e gestire gli effetti dell’ayahuasca. Poi c’è il cactus psicotropo wachuma, il muco di rospo per i trip e lo yopo, uno psichedelico da fiuto che alcune popolazioni native ottengono pestando un particolare tipo di legume e che contiene elevate quantità di dmt. “È molto forte”, dice sottovoce Grimald Sánchez, 50 anni, che gestisce una delle bancarelle più grandi del mercato. “I peruviani non ne consumano molto, lo vendo soprattutto ai turisti stranieri”, aggiunge.

L’arte nativa

Secondo Nolorbe, lo sciamano tradizionale che vive nell’insediamento sulle palafitte, tutto questo è una vera e propria maledizione. Ormai l’ayahuasca si produce in quantità tali che trovare le piante necessarie a preparare l’infuso è diventato più difficile e faticoso.

“I gestori dei resort turistici comprano perfino artigianato artistico per pochi sol per poi rivenderlo nei loro centri in dollari e a prezzi decisamente più alti”, si lamenta Juanita Romayna, una donna nativa dell’etnia shipibo-konibo. Secondo lei è ingiusto: “La nostra arte s’ispira alle visioni e ai canti dell’ayahuasca”, dice. Le stoffe ricamate a mano con forme colorate che sembrano labirinti, per esempio, rappresentano le visioni sciamaniche. Eppure ci sono voluti anni di lotte prima che le donne native ottenessero uno spazio per vendere il loro artigianato in centro. Oggi hanno a disposizione una ventina di bancarelle. Ma per i loro prodotti, a differenza di quello che succede con l’ayahuasca, non c’è quasi mercato. ◆sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati