Ventisette anni fa Ty Lawrence ha cominciato a essere ossessionato da un pezzo di carne. La carcassa, che aveva notato in un mattatoio mentre faceva una ricerca, sfidava le normali leggi della natura. Le bistecche migliori, quelle di qualità più alta, di solito provengono da animali che producono quantità di carne relativamente modeste, perché il grasso che insaporisce i loro muscoli tende a corrispondere a un eccesso di adipe in tutte le altre parti del corpo. Questo animale, invece, aveva tantissimo grasso, ma solo nelle parti più succulente. “Nel mio ambiente”, mi ha detto Lawrence, “la gente l’avrebbe definita una bellissima carcassa”.
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Quel giorno, mentre il manzo veniva portato al controllo carni, gli venne un’idea: “Dovremmo clonarlo”.
La tecnologia esisteva. Un paio di anni prima, nel 1996, gli scienziati del Roslin institute, in Scozia, avevano clonato la pecora Dolly. A Lawrence mancavano i fondi e i contatti per portare a termine l’operazione, ma continuava a pensare a quella bellissima carcassa e all’opportunità mancata. Nel 2010 stava raccogliendo dati in un altro mattatoio quando, una sera, trovò due carcasse che somigliavano a quella che aveva visto anni prima. Lawrence – che nel frattempo era diventato professore di scienze animali alla West Texas A&M university – chiamò immediatamente il capo del suo dipartimento. Erano quasi le undici di sera e il suo capo era già a letto, ma Lawrence gli spiegò cosa aveva in mente: la sua idea era fare un’operazione di ingegneria inversa su una bistecca di prima qualità riportando in vita tagli di carne eccellenti. Avrebbe clonato gli animali morti e poi fatto accoppiare i cloni. “Pensa al nostro progetto come a un’ibridazione di carcasse”, mi ha detto.
Qualche anno dopo Lawrence e i suoi collaboratori sono andati in un impianto di lavorazione della carne, hanno prelevato due minuscoli cubetti di tessuto da due carcasse di manzo di prima scelta e li hanno trasformati in un toro e tre giovenche clonati. Dopo averli fatti accoppiare, Lawrence ha fatto macellare la loro prole per valutare la qualità della carne e ha constatato che era eccezionale come l’originale. La carne della generazione successiva era ancora migliore, superiore anche a quella di animali nati dai tori di prima fascia dell’industria del bestiame.
Da allora gli allevatori intenzionati a replicare i risultati di Lawrence hanno comprato migliaia di campioni di liquido seminale dei suoi tori. Uno ha perfino provato a rilevare il suo intero stock di sperma e animali, ma Lawrence ha rifiutato. Nel frattempo i figli dei cloni e i loro figli sono entrati nella distribuzione alimentare. “La progenie dei cloni sarà stata mangiata da, che so, decine di migliaia, centinaia di migliaia di persone”, ha detto Lawrence. Dei quattro cloni originali, due sono morti di vecchiaia. Gli altri due sono ancora al ranch dell’università: “Pascolano, bevono acqua, stanno vivendo la loro migliore seconda vita”, mi ha detto Lawrence.
Sempre più animali sono sottoposti a questo procedimento. Nei trent’anni successivi a quando Dolly ha dimostrato che un mammifero adulto può sostanzialmente nascere di nuovo, la clonazione ha proliferato. Finora sono state clonate quasi 60 specie e sottospecie diverse, tra cui moscerini della frutta, pesci, rane, furetti, bulldog francesi e scimmie, un’impresa giudicata per anni quasi impossibile data la struttura degli ovuli dei primati. Un tempo confinata nei laboratori di ricerca, la tecnologia è diventata abbastanza affidabile e proficua da permettere la creazione di aziende in tutto il mondo, che stanno sfornando cloni di cani poliziotto dal fiuto infallibile, cammelli da concorso, maiali per il trapianto degli organi e bovini “dall’alto punteggio genomico”, cioè mucche da latte superproduttive e manzi dalla carne insolitamente gustosa. Il giocatore di polo più famoso del mondo, Adolfo Cambiaso, possiede più di cento cloni dei suoi cavalli migliori e una volta ha vinto un incontro cavalcando sei copie della stessa cavalla in momenti diversi della gara. Nel 2023, durante una finale, tutti e quattro i componenti della sua squadra hanno cavalcato cloni della sua cavalla per affrontare i loro avversari, che a loro volta montavano i figli dei suoi cloni. Un video in onore della cavalla clonata indica come date di nascita e di morte “3 febbraio 2001 –∞”.
Cinquantamila dollari per un cane o un gatto e 85mila dollari per un cavallo
L’opinione pubblica non è necessariamente entusiasta di queste manipolazioni genetiche, che molti trovano inquietanti. Nel 2023 la maggioranza degli statunitensi era contraria alla clonazione, con proporzioni simili a quando è nata Dolly. Ma che lo sappiano o no, sono stati già prodotti migliaia di cloni e questa pratica sta diventando sempre più di routine. “Sono anni che abbiamo perso il conto”, dice Diane Broek, embriologa e responsabile delle vendita alla Trans Ova Genetics, specializzata in clonazione di animali da allevamento. Se oggi volete un clone, probabilmente dovrete mettervi in lista d’attesa.
Amore eterno
Molti cloni cominciano la loro vita come un amalgama di cellule ematiche in un locale dai vetri a specchio che si trova tra un negozio di trapunte e uno di arredamento a Whitesboro, in Texas (3.852 abitanti, secondo un cartello stradale). È la sede della Viagen Pets & Equine, la principale produttrice al mondo di cloni di gatti, cani e cavalli. “Ci chiedono spesso ‘Che cos’è che fate qui?’”, mi ha detto una centralinista quando ho visitato l’azienda lo scorso autunno.
La sala d’aspetto ha la confortevolezza asettica di uno studio medico, completa di riviste sulla zootecnia e una pianta da interno sofferente. Più avanti c’è un lungo corridoio fiancheggiato da stanze intensamente illuminate con attrezzature da laboratorio, congelatori e diversi embriologi che fanno parte dei circa venti dipendenti a tempo pieno dell’azienda.
Tecnicamente, un clone è una replica genetica di un’altra creatura vivente “fatta” – i clonatori professionisti parlano di “fare gli animali” – senza la ginnastica sessuale che tradizionalmente accompagna la riproduzione. Questo livello di controllo umano sull’ordine biologico delle cose ha fatto sorgere il timore che queste aziende giochino a fare dio.
Nel tentativo di dissipare le perplessità sulla tecnologia, le aziende della clonazione hanno quasi universalmente adottato il motto secondo cui un clone è “un gemello monozigote nato in una data successiva”.
Il defunto miliardario che ha fondato l’università di Phoenix ha creato la Viagen nel 2002 grazie alle licenze sui brevetti ottenute dal laboratorio che aveva clonato Dolly. Il cane meticcio della sua famiglia è stato clonato quattro volte (l’operazione è stata condotta in un laboratorio in Corea del Sud, perché la Viagen all’epoca ancora non si occupava di animali domestici).
Ricorrono alla clonazione soprattutto clienti facoltosi abituati a veder accontentato ogni loro desiderio. Tra i clienti della Viagen ci sono Barbra Streisand, che ha acquistato tre cloni del suo defunto cane Coton de Tuléar, e la famiglia di Pablo Escobar, che ha fatto clonare un cavallo.
L’ufficio è tappezzato di decine di ritratti di gattini con gli occhioni e cuccioli con il papillon, tutti creati nei suoi laboratori. Lo slogan dell’azienda è “Lasting love” (amore duraturo), e sul suo sito web ci sono quasi duecento testimonianze di proprietari di animali domestici, come il compagno addolorato del defunto gatto Ceaser, che scrive: “Che senso ha spendere una fortuna per beni di lusso quando puoi riprenderti un pezzo di cuore che pensavi fosse stato spezzato per sempre?”. L’amore duraturo non costa poco: cinquantamila dollari per un cane o un gatto e 85mila dollari per un cavallo, pagabili online con carta di credito con la stessa facilità con cui si ordina un frullatore. Una volta che la clonazione è completa, l’azienda fornisce ai clienti un esame del dna realizzato da un laboratorio indipendente, a conferma che l’animale creato è davvero un clone.
La Viagen è entusiasta di condividere le gratificazioni emotive della clonazione, ma è assai meno trasparente su certi dettagli del processo in sé. Per copiare il vostro animale dovete prima inviare all’azienda dei frammenti della sua carne, che saranno usati per coltivare nuove cellule da cui trarre il dna per il clone. Se il cosiddetto animale fondatore è ancora vivo, la Viagen suggerisce di prelevare un lembo di pelle delle dimensioni di un seme di girasole da una parte del corpo dove non se ne sentirà troppo la mancanza, come l’addome. Se invece è morto, l’azienda chiede un pezzo di orecchio (“Per qualche motivo, cresce molto, molto bene”, mi ha detto un tecnico della Viagen), che deve essere tagliato entro cinque giorni dalla morte e tenuto al freddo (ma non congelato) per evitare che si danneggi. Si possono fare eccezioni. Una volta un cliente ha inviato lo scroto a temperatura ambiente di un montone che era morto da quasi una settimana.
Il tessuto del vostro animale sarà sminuzzato con un bisturi, immerso in una soluzione di nutrienti e antibiotici, e poi messo in un’incubatrice che riproduce l’ambiente del corpo di un mammifero. “Ogni singola cellula che passa per questa macchina ha l’architettura necessaria per creare un animale”, mi ha detto Shawn Walker, direttore scientifico della Viagen, mentre ci chinavamo su un’incubatrice per osservare da vicino un recipiente di plastica trasparente dove migliaia di cellule di pelle canina stavano proliferando in una sostanza gelatinosa rosa. Le cellule coltivate devono essere regolarmente rifornite di sostanze nutritive, e l’incubatrice era tappezzata di post-it che ricordavano di “dare da mangiare giovedì”.
Dopo circa una settimana di incubatrice, la Viagen raccoglie almeno un milione di cellule dalla beuta: un campione che, in teoria, potrebbe essere coltivato e ricoltivato per fare un numero infinito di copie dell’animale originale. Quindi le cellule sono congelate finché il cliente non è pronto a clonare. Il record della Viagen per il maggior numero di cloni richiesti da un singolo cliente è di cinquanta cavalli, mi ha detto Blake Russell, l’amministratore delegato. “E ci sono un sacco di clienti” che hanno clonato cavalli dal 2020.
Anche se la Viagen sostiene di aver introdotto delle migliorie nel corso degli anni, il processo di clonazione, chiamato tecnicamente trasferimento nucleare di cellule somatiche, segue ancora gli stessi passaggi fondamentali sviluppati per la prima volta nel 1952 da un gruppo di ricercatori a Filadelfia per copiare un embrione di rana. Si preleva un ovulo non fecondato (un ovocita) da un animale donatore, poi lo si ripulisce del suo dna in modo che possa trasportare quello del clone. Lavorando al microscopio accanto a una foto di Paris Hilton a bordo piscina con il suo Chihuahua clonato, un tecnico di laboratorio della Viagen usa una pipetta con la punta di vetro per risucchiare il materiale genetico dell’ovocita e, al suo posto, inserisce una delle cellule appena coltivate del vostro animale, contenente il suo dna, e quindi tutte le informazioni, dal colore del pelo alla lunghezza delle zampe, per far crescere un suo gemello.
Quando gli animali si accoppiano in modo tradizionale, le cellule spermatiche devono fornire le loro informazioni genetiche all’ovocita. In questo caso, invece, sono irrilevanti. Il tecnico di laboratorio bombarda l’ovulo contenente il nuovo dna con un impulso elettrostatico che stimola la divisione cellulare e, dopo qualche giorno in un’incubatrice che riproduce la temperatura corporea abbiamo l’embrione di un futuro clone. Gli embrioni di cane, gatto e cavallo sono conservati in unità separate. “Non vogliamo rischiare di confonderli”, dice Walker.
Adesso serve un animale portatore.
Collezione di palette
A questo scopo la Viagen spesso si rivolge a un veterinario settantenne di nome Gregg Veneklasen, che durante i suoi 22 anni di collaborazione con l’azienda ha maturato una vasta esperienza con gli aspetti più conflittuali e meno pubblicizzati del processo di clonazione: fornire ovuli e uteri e, quando tutto va bene, far nascere dei piccoli sani. Veneklasen, con la barba grigia che gli arriva fino al petto e un vasto assortimento di camicie hawaiane, gestisce la sua clinica veterinaria con un’accoglienza lontana anni luce dalla formalità abbottonata della Viagen. Situata poco fuori Amarillo, in Texas, in un paesaggio talmente piatto, rosso e sconfinato che sembra fatto con il copia e incolla, la clinica ha scaffali traboccanti di ossa di animali. Il pavimento è ricoperto di pile di manuali e la sala d’aspetto è presidiata da una coppia di placide tartarughe.
Mentre gli scienziati alla Viagen si occupano dello sterile lavoro di laboratorio necessario per la clonazione, Veneklasen e i suoi colleghi – tra cui due gemelle monozigoti che il dottore chiama “i miei cloni umani” – eseguono ecografie con le braccia infilate nei retti delle giumente e osservano i piccoli mentre muovono i loro primi passi incerti.
Una mattina sono arrivata nell’ufficio di Veneklasen e l’ho trovato seduto alla scrivania al buio, con gli stivali da lavoro insanguinati e chiazze rosse di placenta in mezzo alla barba. Portava la stessa camicia hawaiana del giorno prima. Era alla clinica dalle quattro e mezza del mattino per aiutare una giumenta a partorire un clone, la seconda versione dello stesso cavallo da rodeo nata in due giorni. “Quella cosa era un pezzo di pelle”, ha detto Veneklasen indicando il puledro.
Anche se Veneklasen è specializzato in cavalli, tra cui esemplari da rodeo da milioni di dollari e campioni di polo, la sua passione per la riproduzione lo ha spinto a cimentarsi anche con progetti più insoliti. Insieme alla Viagen ha clonato cervi dalle grandi corna per la caccia sportiva, un cavallo di Przewalski in via di estinzione per lo zoo di San Diego, bovini per le ricerche di Ty Lawrence alla West Texas A&M e maiali selvatici geneticamente modificati con il muso arancione (per distinguerli dai normali suini): in totale, centinaia di animali.
Veneklasen mi ha portato in un capannone pieno di fusti di metallo, che contenevano una piccola cavalleria di embrioni congelati mandati dalla Viagen in attesa di essere trasferiti nell’utero di una giumenta. Ha sollevato il coperchio di un contenitore, e tra nuvole di azoto liquido ha estratto un cestino metallico pieno di quelle che sembravano palette di plastica per il caffè, ognuna con un grumo bianco-giallognolo a un’estremità: l’embrione. Poco dopo, proprio davanti ai miei occhi, un veterinario avrebbe infilato una sottile siringa di acciaio nella vagina di una giumenta e le avrebbe depositato l’embrione nell’utero premendo lo stantuffo. Veneklasen ha cominciato a conservare ogni bastoncino per ricordo, e ce ne sono decine attaccate con lo scotch alla parete della stalla, come le foto dei bambini nello studio di un pediatra.
Le madri surrogate sono considerate più sacrificabili dei cloni che hanno in grembo
“Qui c’è un Whistle, qui c’è un Bobby Joe”, dice, leggendo i nomi dei cavalli clonati scritti a mano. “Qui c’è un altro Whistle – volevano tantissimi Whistle”. Ha snocciolato un altro paio di nomi, poi ha fatto subito marcia indietro e mi ha chiesto di non metterne uno per iscritto. “Questo tipo… non so perché, ma non vuole che si sappia”.
Regalasi cucciolo
Molte persone non vogliono ammettere di possedere dei cloni, o di crearli. La Viagen lavora con diversi subfornitori, che chiama “partner di produzione”, per procurarsi gli ovociti e le femmine surrogate per gli animali da clonare, ma a parte Veneklasen, molti preferiscono rimanere anonimi. “Forse si sentono un po’ in imbarazzo a essere associati a noi”, ha detto Russell, l’amministratore delegato. Parecchi scienziati che lavorano con i cloni non rivelano dove si trovano i loro laboratori perché temono rappresaglie degli attivisti per i diritti degli animali. La Viagen fa lo stesso con i recinti dove tiene gli animali domestici clonati, mi ha detto Russell, per paura di “sabotaggi”.
Un sondaggio dell’istituto Gallup del 2023 ha rilevato che il 61 per cento degli statunitensi considera la clonazione degli animali “moralmente sbagliata” – una cifra che è rimasta stabile negli ultimi vent’anni nonostante i progressi della tecnologia. Permettere a una creatura mortale di nascere di nuovo, all’infinito, è considerato eccessivo da alcuni, e la clonazione può prestarsi a manipolazioni genetiche inquietanti. Nel 2002 alcuni ricercatori avevano provato a clonare panda giganti iniettando il loro materiale genetico in ovociti di coniglio, per poi impiantarli in un gatto (non ha funzionato). Anche le procedure di clonazione più banali spesso mescolano le razze in un modo che fa sembrare la nascita un’incognita totale, come se potesse saltare fuori qualsiasi cosa. Per soddisfare la domanda, la Viagen impianta spesso embrioni canini provenienti da clienti diversi nella stessa madre surrogata: come ha spiegato un dipendente a Wired, questo significa che un beagle potrebbe teoricamente “partorire una cucciolata composta da un Chihuahua clonato, uno Yorkshire clonato e un pinscher nano clonato”.
E questo quando tutto va come previsto. Gli oppositori della clonazione obiettano che la procedura non garantisce la nascita di animali sani. La Viagen non pubblica i suoi dati perché sostiene che se lo facesse rivelerebbe segreti industriali. Russell mi ha detto che dal 60 al 70 per cento dei loro impianti di embrioni equini clonati porta a una gravidanza – una percentuale di successo simile a quella dei normali trasferimenti di embrioni. Eppure i mammiferi clonati che arrivano a fine gravidanza possono nascere con lingue ingrossate, reni anormali, muscoli ipersviluppati, difetti al cuore, malformazioni al cervello e altre anomalie. La Kheiron, un’azienda argentina che clona cavalli, nel 2015 ha detto a Vanity Fair che un quarto dei suoi puledri soffriva di “problemi di salute gravi o mortali”.
Veneklasen mi ha detto che nei primi tempi della clonazione ha incontrato molti problemi di questo tipo. “Cinque anni fa era un inferno”, ha detto. “I neonati avevano cordoni ombelicali enormi. E alcuni erano contratti”, cioè non riuscivano a stendere completamente i tendini delle zampe. Negli ultimi dieci anni, però, “non ho visto niente di tutto questo”, sostiene.
Uno studio del 2016 su 13 pecore clonate, tra cui quattro copie di Dolly, ha rilevato che sono tutte cresciute normalmente. Gli ultimi dati indicano che se un clone nasce sano, vive altrettanto a lungo e in salute di un animale normale.
Oggi la clonazione funziona talmente bene che le aziende spesso si ritrovano con più animali di quanti gliene servono. L’incapacità degli scienziati di prevedere esattamente quanti embrioni ce la faranno, unita all’impazienza dei clienti di avere l’animale che hanno commissionato, può portare all’impianto di embrioni extra: diciamo, dai sei agli otto per avere un solo cucciolo. Alla Viagen questi “animali in eccesso” sono offerti a prezzo scontato al cliente o adottati dai dipendenti, dice Russell (un portavoce ha precisato che l’azienda non sopprime i cloni in sovrappiù). Ma anche se un clone nasce sano, altri animali possono soffrire durante il procedimento. Nel 2005, per creare il primo cane clonato, i ricercatori sudcoreani avevano estratto degli ovuli da decine di femmine e poi avevano impiantato chirurgicamente 1.095 embrioni in 123 cani, producendo solo due cuccioli clonati, uno dei quali è morto di polmonite poco dopo la nascita. Da allora il processo è diventato più efficiente, ma per la raccolta degli ovociti e il trasferimento degli embrioni negli uteri delle madri è ancora necessario un intervento chirurgico.
In un recinto a pochi passi dagli embrioni congelati, Veneklasen tiene una sessantina di “giumente destinatarie” che scalciano la polvere con le zampe e strofinano il naso a terra in attesa del prelievo di ovuli, dell’impianto degli embrioni o del parto. Davanti a me, una delle gemelle che lavorano con Veneklasen, con l’efficienza di una chef, sottopone a ecografia decine di cavalle per monitorare i cloni in gestazione e i cicli di ovulazione delle madri, che ricevono iniezioni di ormoni per andare in calore più rapidamente e partorire più puledri.
Veneklasen sostiene che la clonazione è “zero disumana”. Quasi tutte le madri surrogate sono state salvate dalla morte, dice: in gran parte sono Quarter horse inadatte alla cavalcatura che invece di essere mandate al macello oltreconfine (la pratica di fatto è illegale negli Stati Unite) sono state reclutate per una vita di riproduzione perpetua. “Lei ha avuto 13 figli”, dice, indicando una giumenta di 22 anni, “e ne abbiamo appena impiantati altri”.
Le madri surrogate sono considerate più sacrificabili dei cloni che portano in grembo. Una delle gemelle, Hannah Looman, racconta di quando ha salvato un clone facendo il taglio cesareo a una cavalla incinta, che è morta nell’operazione. “Purtroppo il clone avrà sempre molto più valore della giumenta, quindi dobbiamo cercare di salvare prima il clone”, mi ha detto.
Il pony Rico Suave aveva solo due difetti: era mortale e non aveva i testicoli
Le giumente che ho visto nella clinica di Veneklasen avevano il manto lucido e fianchi ben nutriti. Oltre a essere in salute, un requisito fondamentale di una madre surrogata è essere “dolce”, dice Veneklasen. Le gatte e le cagne surrogate della Viagen, che comprendono una vasta gamma di razze capaci di partorire cuccioli di varie taglie, di solito non sono trovatelle, ma sono allevate specificamente per essere “docili” e con un buon istinto materno, mi ha detto Russell (l’azienda prende gli ovociti felini dalle cliniche di sterilizzazione che sponsorizza, e compra ovuli canini da veterinari e allevatori).
La clonazione ha alimentato il timore che a furia di copiare si arrivi a creare un pool genico pericolosamente limitato. Ma la Viagen ha usato il processo in via sperimentale per reintrodurre diversità genetica nelle popolazioni delle specie a rischio come il furetto dai piedi neri. Le cellule di una femmina di furetto sono state congelate allo zoo di San Diego dopo la sua morte, nel 1988. In seguito è stata clonata; una delle sue copie è stata fatta accoppiare con un maschio e, a novembre, ha partorito due piccoli sani. La cavalla di Przewalski a rischio di estinzione clonata con l’aiuto di Veneklasen ha partorito due puledri – entrambi copie di uno stallone nato nel 1975 – che saranno fatti accoppiare con delle giumente allo zoo di San Diego. Altri laboratori hanno clonato specie rare di bovini come il gaur o il banteng.
Come per chiudere la questione del benessere dei cloni, Veneklasen mi ha fatto vedere i due puledri appena partoriti, entrambi nati da meno di 48 ore, che sono stati clonati da un cavallo da rodeo sepolto non lontano dal pascolo delle giumente. Le macchie di un clone possono essere leggermente diverse da quelle dell’originale per via di come le cellule pigmentate della pelle si sviluppano nell’utero, e il puledro più giovane ha una stella bianca sulla fronte che il suo predecessore non aveva. Hannah Looman e la sua gemella coccolano il neonato più piccolo nel suo box. “La gente si spaventa quando sente parlare di clonazione, ma basta dirgli “‘è come per i gemelli monozigoti’”, dice Looman.
Veneklasen sostiene che basta passare un po’ di tempo con i cloni per convincersi delle virtù della clonazione. “Insomma, non devi fare altro che accarezzare gli animali”, mi ha detto. “E poi tutti cominciano a dire, ‘Che figata! Quel cavallo era morto da cinque anni, e invece eccolo qua’”.
Prima, seconda e terza
Leslie Butzer ha clonato il suo primo cavallo sei anni fa, ma è un’entusiasta della riproduzione da molto più tempo. Ha sei figli, quaranta o cinquanta cavalli (“non li conto, altrimenti lo dovrei dire a mio marito”) e tre scuderie, dove cerca di allevare “i migliori pony del paese”, un obiettivo che mi ha ribadito quattro volte. “La gente mi chiama ‘Madre Terra’”, mi ha detto Butzer al telefono dalla sua casa in Florida. “Mi piace riprodurmi. Mi piace far riprodurre i pony”.
Gli allevatori intervengono da sempre nel processo di selezione naturale, facendo accoppiare deliberatamente gli animali per far sì che i loro discendenti producano più latte o entrino nelle nostre borse. Anche un accoppiamento meticolosamente orchestrato, tuttavia, può dar vita a un ignoto genetico, mentre la clonazione garantisce una replica esatta di un animale di prima scelta. Questo ne fa uno strumento molto allettante per gli allevatori professionisti, e infatti tra i clienti dei laboratori figurano sia piccole fattorie a conduzione familiare sia aziende biotecnologiche. “Ho già detto che dà dipendenza?”, ha scritto un allevatore di maiali in una testimonianza per la Trans Ova, un’azienda di clonazione di bestiame. Alcuni allevatori hanno perfino introdotto l’editing genetico nel tentativo di migliorare ulteriormente i loro animali – per esempio manipolando il dna bovino per produrre mucche resistenti alle siccità. Questo processo sfrutta la stessa tecnologia sviluppata per la clonazione, anche se in questo caso il materiale genetico dell’ovocita è sostituito con le cellule di un animale il cui dna è stato modificato per ottenere i tratti desiderati.
Il marito e una figlia di Butzer, entrambi veterinari, hanno aiutato molti clienti a clonare i loro animali domestici, ma Butzer ha cominciato a usare personalmente la tecnologia dopo aver parlato con un dipendente della Viagen a un convegno veterinario.
Poco dopo ha chiamato Blake Russell per parlare del suo eccezionale pony Rico Suave. Rico all’epoca aveva 18 anni – l’equivalente della mezza età in termini equini – ed era intelligente, atletico e sano: tutto quello che Butzer voleva da un cavallo. Pony di questo tipo possono essere affittati anche per 250mila dollari all’anno, e in dieci anni Butzer ha guadagnato due milioni di dollari affittandolo a vari clienti, tra cui la famiglia Bloomberg. Rico aveva solo due difetti: era mortale e non aveva i testicoli.
Come la maggior parte dei cavalli maschi, Rico era stato castrato per renderlo più docile. Ma poiché la clonazione replica solo ciò che è codificato nel dna, e non i cambiamenti fisici che un animale subisce dopo la nascita, Rico Suave II è nato completamente integro e oggi, all’età di quattro anni, è padre di tre puledri, con altri due che stanno per nascere. Ancora adesso a Veneklasen sembra una specie di magia: “Sperma da un castrato!”, ha esultato mentre guardavamo il clone di un cavallo castrato eiaculare in un manicotto di plastica sorretto da una delle gemelle (alcune discipline equestri, come le corse di purosangue, non ammettono i cloni; altre, come il rodeo, il salto a ostacoli e il polo, hanno accettato la pratica).
Ogni anno sono clonati molti più animali da allevamento che animali domestici, e i motivi pratici superano quelli sentimentali. La Food and drug administration (Fda) statunitense ha approvato la vendita di carne e latte di cloni nel 2008, anche se i bovini clonati di solito sono destinati alla riproduzione e non alla macellazione: il loro valore sta nella propagazione dei geni. Prendiamo Apple, una mucca Holstein color rame con un muso imperioso e un apparato mammario delle dimensioni di un castello gonfiabile. Mike Deaver, un ex produttore di latticini, mi ha raccontato di essere stato “completamente ossessionato” da Apple dopo averla vista nel 2006, quando aveva due anni, in un’azienda agricola vicina in Wisconsin. Deaver ricorda che all’epoca aveva meno di mille dollari, ma che è riuscito a racimolarne sessantamila– una somma astronomica per una giovenca così giovane – per comprarla. Nel giro di pochi mesi le hanno prelevato dei campioni di pelle per clonarla.
Apple si è subito distinta: era insolitamente in forma, produceva la stessa quantità di latte delle migliori mucche e alla World dairy expo del 2011 ha vinto il titolo di Grand champion della sua divisione, un riconoscimento che premia i migliori geni di una razza. Con l’aiuto della Trans Ova, Deaver ha fatto nove cloni di Apple, creando una riserva del suo dna. Quindi ha cominciato a vendere il materiale genetico alle aziende casearie, che hanno comprato i suoi figli (190mila dollari per la prima giovenca nata da Apple) i suoi cloni (fino a 53mila dollari ciascuno) e lo sperma dei suoi vitelli maschi (che, a un prezzo di cinquanta dollari a campione, hanno fruttato circa tre milioni di dollari). Oggi Apple ha discendenti in più di cento paesi. “Ci ha fatto guadagnare dieci milioni di dollari”, dice Deaver. I tratti genetici di Apple erano talmente straordinari che alla World dairy expo del 2013 uno dei suoi cloni ha vinto il primo premio, Apple è arrivata seconda e la figlia di Apple si è classificata terza.
Grazie alla clonazione i geni di una creatura eccezionale non sono più un bene scarso (“Rendiamo sostituibili gli animali insostituibili”, è il messaggio commerciale della Trans Ova) e questo complica la questione di chi possiede cosa. “Mi bastano cinque minuti con un cavallo nel suo box per prelevare il dna sufficiente per clonarlo”, semplicemente asportandogli un pezzettino di pelle, mi ha detto un allevatore e cliente della Viagen. Cambiaso, il campione di polo, ha fatto causa a un ex socio in affari accusandolo di aver violato il loro accordo di creare solo “cloni in edizione limitata” del suo miglior cavallo perché aveva venduto copie “non autorizzate” alla concorrenza. Secondo Cambiaso si trattava di appropriazione di segreto industriale. Dopo che un tribunale ha dato ragione a Cambiaso, un giudice ha imposto al suo socio di restituire tutti i cloni e i campioni di tessuto usati per crearli.
Una cosa fichissima
Lungo la strada per il ranch di Blake Russell, una tenuta di quattromila ettari vicino a Whitesboro dotata di stalle climatizzate per i puledri clonati, Russell ha accostato accanto a un campo recintato ed è saltato fuori dall’auto. “Adesso vi faccio vedere una cosa fichissima”, ha detto.
All’interno del pascolo c’erano sette cloni della stessa giumenta, tutte sotto i due anni di età, allevate per un giocatore di polo. Le puledre color cioccolato si somigliavano così tanto tra loro che sembravano un’illusione ottica, anche se è stato soprattutto il loro comportamento a lasciarmi spiazzato. Invece di essere sparpagliate per il prato, pascolavano tutte in gruppo, e quando ci hanno visto sono avanzate al trotto, muovendosi all’unisono come un volo di storni. Una dopo l’altra mi hanno esaminato con lo stesso fare affabile, annusandomi le scarpe, il taccuino e i capelli. Poi tutte e sette ci hanno seguito fino all’auto.
Cosa impedisce a chiunque di provare a clonare se stesso o qualcun altro?
Molti clienti della Viagen sono attratti dalla clonazione perché in essa vedono la possibilità di replicare la conformazione fisica e mentale di un animale. Il sito dell’azienda assicura ai clienti che un clone può avere lo stesso temperamento e la stessa intelligenza dell’originale. Alcune persone, però, sono convinte che i cloni ereditino dall’animale fondatore anche altro: la loro teoria è che le esperienze passate possano essere immagazzinate nelle cellule di un organismo attraverso un processo che chiamano “memoria cellulare” ed essere trasmesse come il colore degli occhi. “Nessuno scienziato al mondo sarebbe d’accordo con me, solo che io l’ho visto”, ha detto Veneklasen.
Nel mondo della clonazione girano molti aneddoti: cuccioli di sei mesi che completano percorsi di agilità con la stessa perizia di un cane di cinque anni; cavalli che hanno ereditato dall’animale fondatore la stessa paura dei tubi da giardino e la stessa antipatia per gli uomini. La Viagen evita accuratamente di fare promesse sulla memoria cellulare, che rimane una vaga teoria. Solo pochi studi hanno confrontato il comportamento dei cloni con quello di animali allevati in maniera più tradizionale, e le differenze riscontrate sono trascurabili.
Uno studio del 2023 su nove maiali clonati ha rilevato che le loro abitudini e preferenze variavano altrettanto (e in alcuni casi anche di più) di quelle di otto maiali allevati naturalmente. Fino a che punto il comportamento di un individuo è influenzato dalla genetica rispetto ad altri fattori continua a essere un mistero, e non ho potuto fare a meno di pensare a tutto questo mentre osservavo le gemelle della clinica di Veneklasen intente nei loro compiti. “È una cosa buffa: siamo finite a fare la stessa cosa”, mi ha detto Looman. “Chi l’avrebbe mai pensato?”.
Quando un cavallo molto amato muore, confida Veneklasen, “ci diciamo sempre, ‘tornerà’”. La nostra tendenza a proiettare una coerenza di comportamento su creature copiate rispecchia ciò che vogliamo vedere in loro: che sono gli animali che abbiamo amato, riportati in vita. Un clone non può resuscitare l’originale, ma in qualche modo può far sì che l’originale non muoia mai. “Lo dico sul serio: un cavallo può restare vivo per sempre. Per l’eternità”, dice Veneklasen. È difficile non domandarsi se prima o poi non useremo questa tecnologia anche su noi stessi.
Un piccolo passo
Nel 2014 in California un gruppo di ricercatori ha prelevato delle cellule della pelle di un uomo di 75 anni, ne ha impiantato il dna in una cinquantina di ovociti presi da donatrici umane ed è riuscito a creare un embrione clonato che ha dato vita a cellule staminali – lo stadio preliminare a un feto vero e proprio. Né quell’embrione né altri creati in modo analogo sono stati trasferiti in un utero. La speranza è che questa tecnologia un giorno possa essere usata, per esempio, per far crescere un nuovo rene in laboratorio. Ma la clonazione umana non è più un’ipotesi così remota.
Russell mi ha detto che la Viagen è stata contattata da persone interessate a esplorare questa possibilità. Ma ha aggiunto: “Cerchiamo di essere molto chiari sul fatto che per noi non esiste il minimo spiraglio per questa discussione”.
Più dell’80 per cento degli statunitensi considera la clonazione umana “moralmente sbagliata”, anche se il 12 per cento oggi la approva, un dato che è aumentato negli ultimi vent’anni. Alcuni sostengono che non bisognerebbe mai porre limiti alla scienza nell’interesse della scoperta e del progresso.
Dal momento in cui la pecora Dolly è stata svelata al mondo, però, la clonazione ha fatto vacillare la fiducia delle persone nella capacità degli scienziati di darsi dei limiti. “Sto provando a pensare a qualsiasi altro annuncio, a parte quello della bomba atomica, che ha messo così in ansia la gente”, mi ha detto un bioeticista.
Di certo, il rischio della riprovazione pubblica non è bastato a impedire ad alcuni individui particolarmente determinati di fare esperimenti con la clonazione umana. Dai primi anni 2000, almeno quattro persone o gruppi hanno dichiarato di lavorare a questo obiettivo. Tra questi ci sono un leader di una setta, un medico italiano condannato per aver drogato un’infermiera e averle prelevato gli ovuli e uno scienziato sudcoreano che ha falsificato i dati ed è stato in carcere per appropriazione indebita e violazione dei princìpi etici (alcune donne erano state pagate per fornire gli ovuli da usare negli esperimenti). Nessuno di loro, per quanto ne sappiamo, è riuscito a copiare una persona.
Ma cosa impedisce a chiunque di provare a clonare se stesso o qualcun altro? Negli Stati Uniti la clonazione umana è legale a livello federale. Anche se alcuni stati la proibiscono per legge, più di venti, tra cui il Texas, la Florida e la Pennsylvania, non pongono divieti. Il governo statunitense non autorizza l’uso di fondi federali per la clonazione umana, ma data la fame d’immortalità delle élite della Silicon valley e altri, sarebbe relativamente facile trovare finanziamenti privati. “Non serve molto per tentare la clonazione umana”, osserva Hank Greely, direttore del Centro per il diritto e le bioscienze dell’università di Stanford. “Bastano una clinica per la fecondazione assistita e un piccolo laboratorio”. Sarebbe “profondamente sbagliato e contrario all’etica” provarci, ha aggiunto.
Ho parlato con un medico che sarebbe entusiasta di fare un tentativo. Panayiotis Zavos, che lavora in una clinica per la fertilità in Kentucky, nel 2009 aveva dichiarato che stava per creare un clone umano: disse di aver impiantato in un luogo segreto undici embrioni umani clonati negli uteri di quattro donne. Non è certo se l’abbia fatto davvero: nessun bambino è nato.
Anche se al momento non si sta dedicando attivamente alla ricerca sulla clonazione, ha detto di essere ancora interessato a clonare una persona. Non vuole rivelare di cosa avrebbe bisogno per farlo, perché ha paura di essere inondato di richieste. “L’attività può riprendere domani in un attimo, se serve”, ha affermato.
Solo poche ore prima, ha aggiunto, aveva ricevuto la telefonata di una donna tedesca che stava morendo per un tumore al fegato e voleva sapere se poteva creare una sua gemella e lasciarle la sua fortuna. Questo, oppure prelevarle il fegato. ◆ fas
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Questo articolo è uscito sul numero 1621 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati