Il premio Nobel per la letteratura assegnato quest’anno a László Krasznahorkai è al tempo stesso inaspettato e scontato. Ovviamente scontato per gli esperti di letteratura ungherese, ma bisogna dire che Krasznahorkai, fin dal suo primo romanzo, Satantango (Bompiani), uscito nel 1985, ha raggiunto la fama internazionale. Non è per niente scontato invece se si pensa che l’autore scrive in una lingua, l’ungherese, parlata da poco più di quindici milioni di persone e che quindi in competizioni come quelle per il Nobel è sempre svantaggiata. L’opera di Krasznahorkai va pensata come un unico lungo arco narrativo che partendo dal crollo delle comunità contadine arriva alle visioni cosmiche, dal senso della fine del mondo punta dritto alla trascendenza. Anche se da prospettive diverse tutte le sue opere conducono alla consapevolezza che oltre i confini dell’esperienza umana c’è qualcosa che ci attende su cui non abbiamo nessun controllo. Forse è per questo che Susan Sontag lo definì “il maestro ungherese dell’apocalisse”. Telex (Ungheria)
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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati