Gertrude Bell è l’antitesi di Mata Hari. Entrambe nate alla fine dell’ottocento, le due donne avevano solo otto anni di differenza ed entrambe sono state, a modo loro, avventuriere e spie. Ma la somiglianza finisce qui. Mata Hari è diventata una sorta di mito, Gertrude Bell invece, scrittrice e archeologa, è stata travolta dai sommovimenti della storia. Grazie a Olivier Guez, che ha passato sei anni a percorrere i luoghi della sua vita e a spulciare le numerose fonti archivistiche che la riguardano, in particolare la sua corrispondenza, Gertrude Bell rivive oggi in Mesopotamia. Il libro è tanto un romanzo quanto un prezioso documento sulle radici del terribile caos dell’attuale Medio Oriente, una regione che l’archeologa britannica ha in larga parte contribuito a plasmare all’inizio del secolo scorso. Nata in una ricca famiglia vittoriana, Gertrude Bell è una bambina viziata ma brillante e la sua vita è una fuga in avanti ostinata e cieca verso ciò che lei ritiene giusto, ovvero un disegno politico per una regione che assecondi gli interessi britannici. Quasi un secolo dopo, la catastrofe geopolitica è totale. Eppure Gertrude Bell vi aveva consacrato tutta la sua energia: ha trascurato l’amore, fonte di infelicità più che di gioie, e anche il lento processo di emancipazione femminile, disprezzando il desiderio delle donne di giocare un ruolo nello spazio pubblico. Rimane comunque un personaggio da romanzo: idealista, imperialista e temeraria.
Alexandra Schwartzbrod, Libération  
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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati
 
			 
                     
                     
                     
	                 
	                 
	                 
            