Per il suo film Jarmusch ha adottato un tono minore, che spesso è il suo tono migliore. È un trittico costruito intorno a interazioni ostinatamente anonime tra padri, madri, figli e fratelli. I tre episodi sono collegati concettualmente e producono un effetto complessivo unico. I primi due, con due coppie di fratelli che fanno visita a un genitore, sembrano voler sottolineare un vuoto mentale (o anche emotivo). Il terzo (più toccante) episodio, su due gemelli che vanno per l’ultima volta nell’appartamento dei genitori morti, cuce tutto insieme. Un film semplice e silenzioso che affronta il quotidiano in modi che potrebbero ricordare i capolavori di Jarmusch. A tratti sembra proprio una delle poesie scritte dal personaggio interpretato da Adam Driver in uno di quei capolavori, Paterson (2016), qualcosa destinato a essere messo da parte, un’idea o un sentimento e poco più, forse da riscoprire anni dopo.
Bilge Ebiri, Vulture
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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 89. Compra questo numero | Abbonati