Nel 2016 la Corea del Sud è stata scossa da un femminicidio apparentemente senza movente avvenuto nella stazione della metropolitana di Gangnam, a Seoul. L’assassino ha poi confessato di aver accoltellato la vittima, una giovane di 23 anni che non conosceva, perché si era sempre sentito ignorato e umiliato dalle donne, facendo emergere una motivazione misogina.

Il caso ha innescato nel paese un acceso dibattito sulla violenza e la disparità di genere ed è considerato da molti il punto di svolta per il movimento femminista sudcoreano. Cresciuto soprattutto online e diventato fondamentale per la consapevolezza di tante giovani donne, il movimento è malvisto da una società molto conservatrice. Secondo il Global gender gap report 2024 del World economic forum, un indice che valuta la parità di genere attraverso i parametri di partecipazione economica e opportunità, istruzione, salute e potere politico, la Corea del Sud è al 94º posto su 146 paesi. ◆

La N Seoul tower, sul monte Namsan (MYOP, con il supporto di CNAP)
Un raduno per la giornata internazionale dei diritti delle donne, marzo 2023
Hansol e Hyeona, presidenti di Flaming feminist action (Ffa), gruppo che porta avanti azioni e campagne informative volutamente scanzonate. Come altre donne della sua generazione, Hansol non vuole sposarsi o avere figli, una posizione radicale in un paese con il più basso tasso di natalità al mondo.
Kim So-ri, 34 anni. È una delle avvocate impegnate per il riconoscimento del Feminism party come partito politico. Rappresenta pro bono le donne sopravvissute allo stupro. Kim si considera una femminista. Ad aprirle gli occhi è stata Seo Ji-hyun, la procuratrice che nel 2018 ha lanciato il #MeToo in Corea del Sud, denunciando in televisione di aver subìto molestie sessuali da un suo superiore durante un funerale nel 2010
Lee Han, nata nel 1996, e Lee Saebyok, nata nel 2001. Han e Saebyok sono amiche e fanno parte di With, una comunità femminile. Provengono da due famiglie molto tradizionaliste che non approvano la loro scelta di portare i capelli corti e di non sposarsi
Lee Min-gyeong, scrittrice, imprenditrice, attivista lesbica. “Penso che il femminismo sia eteronormativo e che le donne nel mio paese siano povere, finanziariamente ed emotivamente. Così ho fondato Guerrilla, una scuola dove le donne imparano le lingue straniere e le basi dell’economia, così da poter trovare lavoro. Un’attività redditizia è una forma di resistenza, perché avere uno stipendio non è considerato una priorità per le donne in Corea del Sud. Aiuto le ragazze liberandole da una lingua madre patriarcale. Parlare correntemente il francese e l’inglese le protegge, perché la lingua è una forma di resistenza. Ho creato un ecosistema femminista e lesbico in una società oppressiva”
Na Hanji, 29 anni, assistente sociale. Si occupa di donne e bambini vittime di violenza domestica e li aiuta a trovare rifugio.
Una manifestazione per la giornata internazionale dei diritti delle donne a Seoul
Alcune delle 600 studenti della scuola Guerrilla fondata da Lee Min-gyeong, che offre anche delle borse di studio. L’iscrizione per quattro o cinque mesi costa l’equivalente di circa 700 euro. Lee ha appena pubblicato il suo ultimo libro e vorrebbe farlo tradurre in francese o in inglese
Lee Gahyung e Lee Soyun, 30 e 26 anni, presidenti del Feminism party, un partito ancora non riconosciuto. Le due sono rimaste sconvolte dall’omicidio di Gangnam, anche se non le ha sorprese. Le reazioni che ha scatenato, però, hanno confermato l’esistenza di un problema culturale: ci sono persone secondo cui le donne non dovrebbero uscire fino a tardi la sera o che criticano il modo in cui le vittime sono vestite. Con il Feminism party, Gahyung e Soyun vogliono difendere il loro ideale di democrazia diretta e la prima cosa che farebbero è vietare il divario salariale tra uomini e donne.
La fotografa e il progetto

Agnès Dherbeys è nata in Corea del Sud nel 1976 ma è cresciuta in Francia, dove attualmente risiede, dopo aver vissuto per dodici anni a Bangkok, in Thailandia. È una dei quasi duecentomila bambini e bambine che le madri furono costrette ad abbandonare tra gli anni sessanta e ottanta per darli in adozione all’estero a causa di quello che la fotografa definisce un paese patriarcale dominato da misoginia e, all’epoca, molto povero (la fotografa ha dedicato un lavoro alla sua storia personale pubblicato sul numero 1055 di Internazionale). Nonostante gli importanti sviluppi economici e tecnologici avviati dagli anni sessanta, in Corea del Sud si registra ancora una grave disparità di genere.
Le foto di queste pagine sono parte del progetto Generation Gangnam murder in cui l’autrice ha raccolto le storie delle giovani sudcoreane che si battono per una società più equa e giusta. Le immagini sono state realizzate nel 2023 con il contributo del Centre national des arts plastiques di Parigi.


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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati