Un aspetto sorprendente di Promesse, esordio di Bryan Washington, è che non conosciamo mai il vero nome di uno dei due protagonisti. Mike è un nome che ha adottato nell’infanzia, dopo che lui e i suoi genitori erano emigrati negli Stati Uniti dal Giappone. Un senso di auto-estraniazione pervade Promesse, che è incentrato sulla relazione tra Mike e il suo ragazzo nero, Ben. All’inizio, mentre Mike è andato a Osaka per curare il padre malato, che ha abbandonato la famiglia quando Mike era un ragazzo, la madre di Mike, Mitsuko, è in viaggio da Tokyo a Houston per vederlo. Dovrà trascorrere la sua visita con Ben. Fin dall’inizio, Washing­ton espone i vari fattori che contribuiscono a determinare chi siamo: etnia, nazionalità, orientamento sessuale, famiglia. Poi questi vettori si aggrovigliano intorno a Mike e Ben. Sono entrambi alienati da padri fannulloni che non riescono ad accettarne l’omosessualità. Uno dei grandi temi di Promesse è l’immenso potere che i genitori esercitano sui loro figli, soprattutto il loro potere di ferire. Il romanzo ci lascia con la sensazione che i nostri veri sé, come i nostri nomi, non sono necessariamente attribuiti alla nascita. Sono anche scelti. Ryu Spaeth, The New York Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati