In altri tempi il Cile era, più di ogni altro stato latinoamericano, il paese dei poeti. Poi la dittatura di Pinochet devastò il loro mondo. Quando tornò la democrazia, tuttavia, c’erano ancora poeti in abbondanza, come se essere un poeta cileno fosse uno stile di vita. Alejandro Zambra, nato a Santiago nel 1975, ha pubblicato un paio di libri di poesie. _Poeta cileno _narra la vita quotidiana di un poeta minore e si legge tutto d’un fiato, perché la narrazione è sospinta dall’intrigo di dettagli secondari che alimentano lo scorrere della trama: una relazione sessuale e poi romantica con una donna, incerta, a tratti fallita; una coppia instabile, un felino di nome Oscurità che invecchia e si ammala, il bambino e poi l’adolescente che ama mangiare cibo per gatti. Una lunga digressione con una studiosa statunitense di poesia cilena amplia il quadro: si citano nomi e luoghi della vita dei poeti, le loro ansie, le loro paure e i loro desideri. Zambra ha scritto il libro non in Cile, ma in Messico, dove ha vissuto negli ultimi anni. La libertà dello sguardo e la distanza gli permettono di tenersi in equilibrio su un terreno scivoloso. Elvio E. Gandolfo, La Nación

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Questo articolo è uscito sul numero 1411 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati