La Norvegia, il primo paese europeo ad aver deciso di dedicare una parte delle sue acque ad attività minerarie sottomarine, ha rinviato di quattro anni il rilascio delle prime licenze, in seguito a un accordo politico raggiunto nella notte tra il 2 e il 3 dicembre.
Il governo laburista, in minoranza in parlamento, ha accettato di non indire la prima gara d’appalto per lo sfruttamento dei fondali marini nell’attuale legislatura, che si concluderà nel 2029.
Nel 2024 il parlamento norvegese aveva dato il via libera all’apertura di una parte dei suoi fondali marini all’esplorazione mineraria, su una superficie di 280mila chilometri quadrati (un’area grande quasi come l’Italia).
La votazione sembrava destinata a rendere la Norvegia uno dei primi paesi al mondo ad autorizzare lo sfruttamento commerciale delle sue risorse minerarie sottomarine, un’attività molto controversa.
Secondo molti scienziati e ambientalisti, infatti, queste attività minacciano importanti ecosistemi.
Il governo norvegese sottolinea invece l’importanza di non dipendere da altri paesi, in particolare dalla Cina, per la fornitura di minerali essenziali tra le altre cose per la transizione energetica e l’industria della difesa.
Nelle ultime settimane alcuni partiti minori di sinistra ed ecologisti, indispensabili per formare una maggioranza in parlamento, hanno esercitato forti pressioni per bloccare il rilascio delle licenze.
In cambio dell’approvazione della legge di bilancio 2026, che sarà esaminata il 5 dicembre, i laburisti hanno dovuto concedere ai loro alleati in parlamento un rinvio delle attività minerarie sottomarine.
Nella notte gli ultimi due partiti recalcitranti hanno accettato di votare a favore della legge di bilancio in cambio di questa concessione.
Secondo Oslo, la piattaforma continentale norvegese contiene probabilmente grandi quantità di rame, cobalto, zinco e terre rare cruciali per la produzione di batterie, turbine eoliche, computer e smartphone.