La lista del primo ministro iracheno Mohamed Shia al Sudani, che punta a un secondo mandato alla guida del governo, ha vinto le elezioni legislative dell’11 novembre, secondo fonti vicine alla sua formazione politica.
Il prossimo governo iracheno, la cui formazione sarà comunque oggetto di lunghe trattative, dovrà rispondere alle aspirazioni della società civile in materia di occupazione, infrastrutture, istruzione e sanità, in un paese minato dalla corruzione e dalla cattiva gestione.
Dovrà anche preservare il fragile equilibrio tra i due principali alleati dell’Iraq, l’Iran e gli Stati Uniti, in un momento in cui il Medio Oriente sta attraversando profondi sconvolgimenti.
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La lista sciita Coalizione per la ricostruzione e lo sviluppo, guidata da Al Sudani, ha ottenuto “una vittoria importante”, ha dichiarato il 12 novembre all’Afp uno stretto collaboratore del premier. Secondo altre due fonti, la lista si sarebbe assicurata circa cinquanta seggi, diventando la prima forza politica del parlamento.
Nel corso della giornata la commissione elettorale dovrebbe annunciare i primi risultati ufficiali del voto, il sesto dalla caduta di Saddam Hussein.
Al Sudani si era imposto sulla scena politica irachena nel 2022 grazie al sostegno del Quadro di coordinamento, un’alleanza di partiti e gruppi sciiti legati all’Iran.
Le elezioni dell’11 novembre aprono anche la strada alla nomina di un nuovo presidente iracheno, carica prevalentemente di garanzia riservata a un curdo, e a quella di un nuovo presidente del parlamento, carica riservata a un sunnita.
Stabilità insolita
Gli elettori erano chiamati ad assegnare i 329 seggi del parlamento tra più di 7.700 candidati, di cui quasi un terzo donne.
Secondo la commissione elettorale, il tasso di partecipazione è stato superiore al 55 per cento, in netto aumento rispetto al 41 per cento del 2021, nonostante il boicottaggio delle elezioni da parte dell’influente leader sciita Muqtada al Sadr, che ha denunciato “un voto dominato da interessi settari”.
Negli ultimi anni l’Iraq ha conosciuto una stabilità insolita, dopo decenni di conflitti e repressione sotto il regime di Saddam Hussein, e un lungo periodo d’instabilità seguito all’invasione statunitense del 2003.
Iran e Stati Uniti
Le elezioni irachene sono seguite con grande attenzione anche in Iran e negli Stati Uniti.
L’Iran spera di mantenere la sua influenza in Iraq dopo aver visto altri alleati regionali – Hezbollah in Libano, Hamas nella Striscia di Gaza e i ribelli huthi nello Yemen – indeboliti dai conflitti con Israele. Teheran ha inoltre perso un alleato importante con la caduta del regime di Bashar al Assad in Siria.
L’Iraq è poi sottoposto a forti pressioni da parte degli Stati Uniti, che mantengono circa 2.500 soldati nel paese, per disarmare i gruppi filoiraniani.
L’amministrazione Trump ha nominato un inviato speciale per l’Iraq, Mark Savaya, di origine irachena, che ha chiesto di liberare il paese “dalle interferenze straniere malevole, in particolare dell’Iran e dei suoi alleati”.