Il vicepresidente del Sud Sudan Riek Machar, agli arresti domiciliari da marzo, è stato incriminato per “crimini contro l’umanità”, ha annunciato l’11 settembre il governo, una decisione che potrebbe destabilizzare il paese.
Il suo arresto alla fine di marzo aveva alimentato i timori di una ripresa della guerra civile, che fortunatamente non si è poi verificata, a quasi sette anni dalla fine di un sanguinoso conflitto tra i suoi sostenitori e quelli del presidente Salva Kiir, che tra il 2013 e il 2018 aveva causato circa 400mila morti e quattro milioni di sfollati.
Secondo un comunicato del ministero della giustizia, Machar è accusato di aver coordinato, insieme a sette coimputati, un attacco contro una base militare da parte dell’Esercito bianco, una milizia composta da giovani di etnia nuer.
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L’attacco, avvenuto il 3 marzo nel nordest del paese, aveva causato la morte di “più di 250 soldati”, oltre che di un alto ufficiale sudsudanese e di un pilota delle Nazioni Unite, si legge nel comunicato.
Machar e i suoi coimputati sono anche accusati di “omicidio, terrorismo, tradimento e cospirazione”.
“L’incriminazione invia un messaggio chiaro: chi commette atrocità contro il popolo del Sud Sudan, le forze armate e il personale umanitario sarà chiamato a rendere conto delle sue azioni, qualunque sia la sua posizione o influenza politica”, ha sottolineato il ministero della giustizia.
In serata Kiir ha emesso un decreto presidenziale che destituisce Machar e il ministro del petrolio Puot Kang Choi dai loro incarichi governativi.
La comunità internazionale teme però che gli ultimi sviluppi possano rimettere in discussione l’accordo di pace del 2018 tra Kiir e Machar, e far ripiombare il paese nel caos.
Negli ultimi mesi sono stati segnalati vari scontri tra l’esercito e le forze che sostengono Machar.
A maggio le ambasciate nella capitale Juba di Canada, Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti e Unione europea avevano chiesto la liberazione di Machar, invitando le parti a riprendere il dialogo.
Secondo le Nazioni Unite, tra gennaio e la metà di aprile le violenze hanno causato la morte di circa novecento persone, mentre circa 165mila persone sono state costrette a lasciare le loro case.
Il Sud Sudan, uno dei paesi più poveri del mondo nonostante le grandi riserve di petrolio, è anche in difficoltà a causa dei tagli agli aiuti umanitari internazionali, in particolare statunitensi, che incidono pesantemente sul suo sistema sanitario.