Ci sono decenni in cui non accade nulla e poi giorni che valgono decenni. L’8 e il 9 settembre hanno cambiato il volto del Nepal, in tutti i sensi. Quello che è accaduto nel paese in seguito alle manifestazioni della generazione Z non ha precedenti: l’intero apparato statale è stato spazzato via; il primo ministro K.P. Sharma Oli si è dimesso e il parlamento federale è stato sospeso. Fino a quando il 12 settembre l’ex presidente della corte costituzionale Sushila Karki non è stata nominata prima ministra ad interim su richiesta dei manifestanti, l’ufficio del presidente, guidato da Ram Chandra Poudel, era l’unica istituzione ancora in piedi.

I mezzi d’informazione hanno fatto a gara per occuparsi della situazione ma dopo che le sedi dei principali gruppi editoriali come la Kantipur sono state date alle fiamme durante i disordini, e in assenza di argini nel dibattito online su ciò che è vero e ciò che non lo è, il Nepal è stato inondato di disinformazione, voci e dicerie. Non ha aiutato il fatto che i ragazzi e le ragazze della generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012), che con le loro proteste contro il nepotismo e la corruzione hanno innescato la successione di eventi, non hanno un portavoce ufficiale e nemmeno una struttura di comando. Nel vuoto informativo si sono diffusi i timori su un possibile colpo di stato militare, ingerenze da parte dell’India o un ritorno della monarchia.

Una settimana decisiva

Prima che l’8 settembre esplodessero le proteste i giovani nepalesi erano stati investiti per settimane da una campagna online vagamente organizzata attorno al trend topic “NepoBaby”. Nato in Indonesia, dove da mesi sono in corso proteste contro i privilegi della classe politica, questo trend topic era legato alla rabbia verso l’ex presidente Joko Widodo e il suo primogenito, Gibran Rakabuming Raka. Widodo, che ai tempi della sua elezione si diceva nemico delle antiche dinastie politiche che hanno governato l’Indonesia, gli Yudhoyono e i Sukarno, è stato attaccato per aver imposto il figlio come vicepresidente.

In Nepal la campagna NepoBaby ha preso di mira i figli delle élite del paese. Le loro vite lussuose, esibite sui social media con sfoggio di beni di lusso e vacanze in Europa, contrastavano con quelle dei nepalesi comuni, molti dei quali vivono alla giornata, mentre in milioni sono costretti a lavorare all’estero per mantenere le famiglie. La campagna rifletteva una frustrazione più generalizzata. La generazione Z del Nepal è cresciuta dopo la fine della guerra civile e l’abolizione della monarchia, quasi vent’anni fa. Le era stato promesso un “nuovo Nepal” governato da una democrazia e da una nuova costituzione, in cui avrebbero potuto vivere meglio dei loro genitori. Questi giovani si sono dovuti invece confrontare con un’economia in difficoltà, con poche prospettive di lavoro e una spinta sempre più forte a emigrare. Più i nepalesi comuni si paragonavano ai loro coetanei delle élite, più la rabbia montava in una protesta legittima.

Sunita Balami al funerale del fratello Subhlal, 28 anni, ucciso durante le manifestazioni, Kathmandu, 14 settembre 2025 (Adnan Abidi, Reuters/Contrasto)

La goccia

Mentre accadeva tutto questo è arrivato il divieto di usare i social media. Il governo nepalese chiedeva da anni a giganti tecnologici come Meta, Alphabet e X di registrarsi in Nepal per poter continuare a operare nel paese. Tutti hanno rifiutato per ragioni diverse, soprattutto perché il parlamento di Kathmandu non aveva approvato alcuna legge che li obbligasse a farlo. L’insistenza del governo sulla necessità di registrarsi si basava su una direttiva emanata unilateralmente. Quando la questione è arrivata davanti alla corte suprema questa ha confermato l’obbligo di registrarsi per le aziende tecnologiche. Dopo questo verdetto il governo ha dato sette giorni di tempo per adeguarsi alla normativa. Superato il termine è andato dritto per la sua strada e ha messo al bando le piattaforme.

È stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso: la rabbia e la frustrazione cresciute online sono diventate una protesta di piazza. I giovani nepalesi avevano la sensazione che il governo stesse cercando di soffocare la libertà di espressione per fermare le critiche contro i figli dei politici. La mattina dell’8 settembre a migliaia sono scesi in piazza a protestare. La giornata è cominciata in modo vivace, con canti, balli e slogan scanditi da manifestanti nelle città di tutto il paese. Gli adolescenti, molti dei quali avevano saltato le lezioni e indossavano le divise scolastiche, marciavano con cartelli in cui condannavano la corruzione e chiedevano una vita migliore per tutti. Nel centro di Kathmandu, dove si è radunata la manifestazione più grande, le forze di sicurezza in un primo momento sono rimaste stranamente tranquille, consentendo addirittura ai dimostranti di superare uno sbarramento in direzione del parlamento federale. Di lì a poche ore, però, le cose si sono messe malissimo.

A quel punto alla folla si erano uniti alcuni elementi più turbolenti, soprattutto giovani uomini. Mentre i manifestanti cercavano di entrare nel palazzo del parlamento, la polizia ha reagito in modo sanguinoso sparando alla cieca proiettili di gomma e munizioni. Un ragazzo in uniforme scolastica è stato colpito alla testa. Il video in cui lo si vedeva morire dissanguato è diventato subito virale. Alla fine della giornata erano stati uccisi almeno 19 manifestanti. Quella sera il ministro dell’interno Ramesh Lekhak si è dimesso.

Fuoco e fiamme

Il 9 settembre è cominciato all’insegna della rabbia. Nonostante il coprifuoco in tutto il paese si sono radunate folle di persone e presto la violenza è esplosa. Le case dei politici sono state prese d’assalto e date alle fiamme, così come le sedi di tutti e tre i rami istituzionali: il Singha durbar, sede del governo, il parlamento federale e la corte suprema. I ragazzi della generazione Z hanno preso le distanze dalle violenze e chiesto ai manifestanti di tornare a casa, accusando gli infiltrati di aver orchestrato gli attacchi. Era evidente che molti erano più grandi, con più esperienza in fatto di violenza.

La polizia e le forze di sicurezza sono rimaste a guardare impotenti, prima di ritirarsi consentendo alla folla di agire. Più o meno verso le dieci di sera l’esercito ha preso il controllo della situazione. A quel punto c’erano già stati saccheggi e incendi incontrollati che hanno colpito molte attività commerciali, comprese le filiali di una catena di supermercati e la sede della Kantipur, il principale gruppo editoriale del paese, entrambi considerati vicini al potere. Al termine si contavano 51 morti, il numero più alto per una protesta nella storia del Nepal.

Il 10 settembre il capo dell’esercito Ashok Raj Sigdel ha convocato i manifestanti per un incontro con il presidente Ram Chandra Poudel, l’ultimo leader civile rimasto al suo posto. All’incontro, però, non si è presentato un gruppo organizzato ma una coalizione molto approssimativa di giovani (molti dei quali, è bene ricordarlo, non rientrano nella fascia d’età della generazione Z). Avevano richieste molto diverse, anche se tutti più o meno concordavano sulla necessità di un governo ad interim guidato da una persona scelta da loro che portasse il paese a nuove elezioni nel giro di sei mesi. Tra le richieste anche un’indagine imparziale sugli omicidi dell’8 settembre e un processo ai responsabili; una commissione indipendente che esamini le ricchezze e le proprietà accumulate dai politici; la fine della corruzione sistemica e una rappresentanza giovanile in tutti gli organi dello stato. Alcuni gruppi vorrebbero anche sbarazzarsi della costituzione in vigore e scriverne una nuova, istituendo un capo di stato a elezione diretta (l’attuale costituzione del Nepal stabilisce l’elezione indiretta del primo ministro da parte del parlamento).

Per discutere di tutti questi temi i giovani nepalesi hanno organizzato degli incontri sulla piattaforma online Discord. In migliaia hanno discusso dei loro programmi e di possibili candidati alla guida del governo ad interim. I dibattiti sono stati vivaci, forse un po’ ingenui, ma hanno dimostrato che i giovani rivendicano il diritto di dire la loro su come il paese è governato e vogliono conoscere e confrontarsi sulle questioni che riguardano lo stato. Esercitano i loro diritti democratici in quanto blocco demografico più significativo della popolazione e stanno facendo ciò che a lungo gli è stato negato: guidare il paese. Su Discord i giovani hanno votato l’ex presidente della corte suprema Sushila Karki come loro favorita per guidare il governo di transizione. Karki, 73 anni, ha avuto la meglio su altre personalità molto amate dai giovani: il sindaco di Kathmandu Balendra Shah, il sindaco di Dharan Harka Sampang e il giovane attivista e aspirante politico Nagar Dhakal.

Le vecchie formazioni hanno promesso di riflettere, ma i nepalesi sanno da tempo che le loro promesse valgono poco

La giudice e il sindaco rapper

Nel 2016 Karki è stata la prima donna a presiedere la corte suprema. La maggior parte dei giovani con cui ho parlato non sapeva chi fosse prima del 9 settembre. Quel giorno l’ex giudice si era unita alle manifestazioni contro gli omicidi. In un’intervista che è circolata molto, una Karki visibilmente arrabbiata ha denunciato la classe politica al potere, chiedendo un’assunzione di responsabilità per le vittime e attribuendo la colpa di quanto accaduto in modo inequivocabile al governo. I giovani sono rimasti colpiti dal fatto che una personalità della sua levatura si fosse fatta avanti per prendere la parola in un momento in cui la maggior parte delle persone della sua generazione se ne stava al sicuro in casa. Hanno cominciato a informarsi sul suo conto e hanno accolto con favore le posizioni dure contro la corruzione espresse da Karki durante la sua carriera di magistrata e il suo invito ai leader politici perché lasciassero il potere alla generazione successiva.

Può sorprendere che Karki abbia avuto la meglio su Balendra Shah. Rapper trentenne meglio conosciuto con il nome di Balen, è forse il politico nepalese più esperto nell’uso dei social media ed è immensamente popolare, soprattutto tra i giovani. Da sindaco di Kathmandu ha conquistato ammiratori tra la generazione Z per il suo atteggiamento deciso e per il suo rifiuto dei partiti politici tradizionali. Ha però anche detrattori che lo considerano autoritario e demagogico. Le iniziative della sua amministrazione contro i venditori ambulanti e i senzatetto sono state molto criticate per la loro crudeltà. Shah si era candidato nel 2022 come indipendente, sconfiggendo candidati di spicco dei principali partiti.

Shah ha espresso fin da subito solidarietà nei confronti delle proteste. Pur senza parteciparvi direttamente, le ha sostenute sui social media. Dopo le violenze ha criticato il primo ministro Oli, definendolo un terrorista che aveva ucciso dei bambini. Tuttavia Shah non è parso interessato a guidare un governo ad interim. I tentativi di contattarlo sarebbero stati respinti più volte. Quando invece la loro scelta è caduta su Karki, Shah le ha subito dato il suo appoggio, definendola la persona giusta. È probabile che preferisca candidarsi alle prossime elezioni e ambire alla carica di primo ministro invece che guidare la transizione per sei mesi. Hami Nepal, uno dei gruppi più visibili all’interno del movimento della generazione Z, ha dichiarato pubblicamente che vorrebbe Shah come primo ministro per cinque anni. Si tratta di un’organizzazione umanitaria non profit nata dopo il devastante terremoto che ha colpito il Nepal nel 2015. Hani Nepal dichiara di impegnarsi per la trasparenza e pubblica i dettagli della propria situazione finanziaria sui social media.

Rivendicano il diritto di dire la loro su come il paese è governato e vogliono conoscere e confrontarsi sulle questioni che riguardano lo stato

Non è chiaro chi abbia annunciato per primo le proteste dell’8 settembre, ma il fondatore di Hami Nepal, Sudan Gurung, è rapidamente diventato il volto principale della mobilitazione, catalizzando l’attenzione quando si è trattato di negoziare una via d’uscita dalla crisi. Gurung non appartiene alla generazione Z, ha 36 anni, ma dall’8 settembre è stato di fatto il leader del movimento e ha negoziato con il capo dell’esercito per conto dei giovani. Nel frattempo, l’esercito ha presidiato le strade per giorni. Nelle democrazie civili c’è un timore costante: una volta che un esercito esce dalle caserme, è molto difficile convincerlo a rientrare. I militari, però, hanno mostrato finora scarso interesse a prendere il controllo del paese, cosa che avrebbero potuto fare facilmente se l’avessero voluto.

Fase decisiva

Il Nepal si trova sull’orlo di un precipizio. Spetta alla generazione Z decidere il suo futuro. I giovani hanno spirito d’iniziativa, ma sono senza un leader e divisi in molte fazioni, spesso con richieste contrastanti. Più tempo impiegheranno a organizzarsi e a eleggere almeno un consiglio che serva da guida, più spazio avranno soggetti senza scrupoli per approfittarne. Già ora i “giovani” leader dei vecchi partiti – uomini come Gagan Thapa, Bishwa Prakash Sharma, Yogesh Bhattarai, tutti sopra i 49 anni – hanno rilasciato dichiarazioni di solidarietà con il movimento, promettendo di cambiare atteggiamento. Lo stesso premier dimissionario Oli ha scritto una lettera alla generazione Z, parlando più dei suoi contributi alla politica nazionale che delle aspirazioni dei giovani. Anche Pushpa Kamal Dahal, il leader dei maoisti ed ex guerrigliero noto come Prachanda, è intervenuto affermando che la generazione Z e il suo partito condividono molti punti del programma. La vecchia classe dirigente sta già cercando di tornare in gioco.

Al momento le aspettative sono altissime: crescita economica, una società libera dalla corruzione e pari opportunità per tutti. Saranno obiettivi difficili da raggiungere, per usare un eufemismo.

La corruzione non è stata l’unico ostacolo al progresso del Nepal. Ci sono anche sfide geografiche, geopolitiche e infrastrutturali, oltre a una burocrazia affezionata ai documenti firmati con le impronte digitali. La ripresa sarà difficile, soprattutto considerando i miliardi di danni al patrimonio pubblico. Ricostruire la sede della corte suprema, l’edificio del parlamento e il Singha durbar sarà costoso, e il bilancio pubblico dovrà farsi carico di questa spesa.

C’è anche poca certezza sul fatto che Karki sarà in grado di indire elezioni entro sei mesi. In Bangladesh, dopo che le proteste studentesche hanno fatto cadere il governo screditato di Sheikh Hasina, è passato più di un anno dall’insediamento di un governo ad interim guidato dall’economista premio Nobel Muhammad Yunus, che solo di recente, dopo molte pressioni, ha annunciato nuove elezioni a febbraio. Un’impresa titanica attende Karki, soprattutto se vuole trascinare con sé l’intero paese e non solo i più giovani.

Quando arriverà il momento delle elezioni, chi parteciperà? I vecchi partiti sono stati screditati. I loro leader sono stati cacciati e i loro uffici dati alle fiamme. Qualcuno vorrà candidarsi per questi partiti, e chi? Le vecchie formazioni hanno promesso di riflettere, ma i nepalesi sanno da tempo che le loro promesse valgono poco. Cosa gli impedirà di tornare e riportare il paese esattamente al punto in cui era prima dell’8 settembre? Per promuovere un vero cambiamento, la generazione Z deve impegnarsi e perseguire un programma elettorale con l’obiettivo di riempire il parlamento e le assemblee provinciali di persone credibili.

Paesi giovani
Età mediana e percentuale di abitanti tra i 15 e i 24 anni sul totale della popolazione, 2023 (Financial times)

Infine, c’è la questione della rappresentanza. La generazione Z è composta da giovani di tutto il paese, non solo di Kathmandu. Però la capitale è l’epicentro del movimento, dato che le decisioni prese qui hanno effetti su tutto il Nepal, una dinamica che il sistema federale istituito dopo la guerra civile puntava a mitigare. Cosa pensano di Karki o del movimento i ragazzi e le ragazze nelle aree marginalizzate della provincia sudorientale di Madhes e dell’estremo occidente? E chi non ha accesso a Discord, dove si discute tutto? Questo movimento ha sconvolto il vecchio ordine, ma bisogna fare attenzione a garantire che il nuovo non riproduca le divisioni di genere, classe, casta, etnia e regione del passato.

Un paese più giusto

Mentre il Nepal guarda a un futuro nuovo ma incerto, tutti i nepalesi devono ricordare che il vecchio ordine è stato distrutto perché profondamente ingiusto. Gli stessi politici che denigravano e deridevano la generazione Z ora si nascondono da loro, protetti dall’esercito nelle sue caserme. Questo è un buon segnale: i politici dovrebbero temere il popolo che non riescono a servire. Le vecchie reti di parentela, il clientelismo politico e lo scambio reciproco di favori, tutti tratti distintivi della vita pubblica nepalese fino a oggi, devono essere smantellati. Molte generazioni passate hanno fallito nel garantire un paese giusto, che appartenga a tutti i nepalesi. Ora è la Z ad avere la sua occasione. ◆ gim

Pranaya Rana è un giornalista che vive a Kathmandu, in Nepal. Questo articolo è stato scritto per la sua newsletter Kamala Weekly.

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Questo articolo è uscito sul numero 1632 di Internazionale, a pagina 53. Compra questo numero | Abbonati