L’ondata di proteste che quest’anno ha visto i giovani della generazione Z sollevarsi contro i potenti ha incontrato un ostacolo in Tanzania: uno stato disposto a fare un uso letale della forza per fermarla. A ottobre l’attivista tanzaniano David Nyakakye, 25 anni, sperava di far cadere un governo impopolare, proprio come avevano fatto i manifestanti in Madagascar e in Nepal. Il 29 ottobre, il giorno delle presidenziali, si è unito alle proteste ad Arusha, nel nord, contro la mancanza di opportunità economiche e l’esclusione dalla lista dei candidati dei due principali sfidanti della presidente Samia Suluhu Hassan. “Pensavamo che la polizia non sarebbe riuscita a fermarci, visto che c’erano manifestazioni ovunque”, ha detto. “Dopo alcuni giorni, però, ho smesso di partecipare perché molti miei amici erano stati uccisi o arrestati”.
|
|
|
| Podcast | |
|
Questo articolo si può ascoltare nel podcast di Internazionale A voce.
È disponibile ogni venerdì nell’app di Internazionale e su internazionale.it/podcast
|
|
Secondo le stime dei partiti di opposizione, le persone che hanno perso la vita durante i disordini sono più di mille. Il governo non ha dato un bilancio ufficiale. Invece, ha intimato ai possessori di telefoni di non condividere foto e video delle proteste: chi ignora l’avvertimento rischia un’accusa per tradimento, un reato punibile con la pena di morte.
“Gli attacchi ai manifestanti sono stati brutali”, ha detto John Mnyika, segretario generale del partito d’opposizione Chadema. “Potremmo non sapere mai il numero esatto delle vittime”.
Suluhu Hassan, 65 anni, ha vinto le elezioni con quasi il 98 per cento delle preferenze, ma secondo gli osservatori il voto non è stato libero né regolare. La costituzione tanzaniana stabilisce che i risultati delle presidenziali non si possono contestare. Nel frattempo Nyakakye è rimasto quasi sempre chiuso in casa. Nel suo quartiere è stata interrotta la connessione internet, mentre le strade erano piene di camionette della polizia.
Pronti a esplodere
La repressione in Tanzania dimostra che molti governi di paesi in via di sviluppo temono i giovani, che con poche prospettive di fronte a loro sono potenzialmente una minaccia per l’ordine costituito. Gli economisti avevano promesso che questo gruppo demografico sarebbe stato una risorsa, ma in molti casi si è trasformato in una miccia pronta a esplodere, perché i giovani non trovano lavoro. Anche migrare all’estero è diventato più difficile, e così è sparita un’importante valvola di sfogo per molti paesi.
Secondo gli ultimi dati di Afrobarometer, un terzo dei tanzaniani tra i 18 e i 25 anni è disoccupato, in un’economia che negli ultimi anni è stata duramente colpita dalla siccità e dall’inflazione. Quindi era prevedibile un qualche tipo di scontro man mano che ci si avvicinava alle elezioni del 29 ottobre.
Suluhu Hassan, che quando è arrivata al potere nel 2021 era considerata una riformatrice, non si è fatta trovare impreparata. Mesi prima del voto aveva affidato al figlio più giovane, Abdul Halim Hafidh Ameir, la guida di un’unità speciale dell’intelligence chiamata Watu wasiojulikana (gli sconosciuti). “Ameir è la principale arma politica di Suluhu”, ha detto un attivista. “Ha a disposizione un arsenale, manette, auto e denaro per gestire le sue operazioni”.
Anche se formalmente non ha un incarico, Ameir ha ordinato l’arresto di giornalisti, ha represso le proteste antigovernative e ha comandato un’unità che, secondo politici di opposizione e attivisti per i diritti umani, avrebbe rapito e torturato chi criticava il governo.
In un paese dove l’età media è 18 anni, gli attivisti avevano previsto che i giovani, usando i social media, sarebbero stati una forza importante nelle proteste antigovernative. Quando però le manifestazioni si sono diffuse, il governo ha imposto il coprifuoco notturno e bloccato l’accesso a internet.
Per sei giorni NetBlocks, gruppo di osservazione della rete internet, ha registrato un collasso quasi totale delle principali reti mobili e fisse tanzaniane. Intanto uomini in borghese armati di kalašnikov pattugliavano le strade a caccia di manifestanti. La polizia ha sparato proiettili veri e gas lacrimogeni contro la folla.
Oggi l’eventualità che scoppino nuovi disordini resta molto alta. Il peggioramento delle condizioni di vita indebolisce quella che era una delle economie più stabili dell’Africa orientale, con potenziali ripercussioni sul suo fiorente settore turistico e sulle spedizioni di rame e cobalto provenienti dallo Zambia e dalla Repubblica Democratica del Congo. ◆ gim
◆ Il 15 novembre in Messico si sono svolte le prime grandi proteste contro la presidente di sinistra Claudia Sheinbaum. Nella capitale Città del Messico, dove sono scese in piazza migliaia di persone, ci sono stati scontri con la polizia, con 120 feriti e venti arresti. Altre manifestazioni si sono svolte a Puebla, Monterrey e Guadalajara. “La marcia, chiamata Generazione Z Messico, è nata come un movimento online frammentato, alimentato da messaggi creati con l’intelligenza artificiale, pieni di riferimenti agli anime giapponesi e slogan antigovernativi, che in poche settimane si è trasformato in una mobilitazione nazionale. Anche l’omicidio del sindaco della cittadina di Uruapan, Carlos Manzo, ha fatto da catalizzatore di quella che è stata presentata come una protesta giovanile”, scrive El País América, notando però che a Città del Messico la presenza di giovani sotto i trent’anni era in realtà piuttosto scarsa. Le richieste della generazione Z che circolano online “includono un referendum per revocare il mandato della presidente, riforme giudiziarie e maggiore trasparenza. I social media sono dominati da messaggi su sicurezza, frustrazione e corruzione”, nota il giornale. In vista della protesta, Sheinbaum aveva pubblicato un rapporto secondo il quale la mobilitazione non “era genuina” ma era il frutto di una manipolazione dell’opposizione e dei suoi sostenitori all’estero. Il rapporto individua infatti dietro la mobilitazione influencer, politici, bot e account legati ad Atlas Network, un’organizzazione statunitense di orientamento conservatore.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1641 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati