Nato 32 anni fa nella provincia del Fujian, nella Cina sudorientale, Yuichi Ishikura si è trasferito con la madre a Kyoto quand’era alle superiori. Mentre studiava all’università negli Stati Uniti si è innamorato di una particolare pensione dove ha alloggiato, che poi è diventata la sua fonte d’ispirazione per la ristrutturazione e riconversione delle vecchie machiya di Kyoto in accoglienti villette per turisti.

Le machiya sono case di legno tradizionali progettate per consentire a chi ci abitava di vivere e lavorare nello stesso luogo. Ne furono costruite in tutto il Giappone, ma molte si trovano a Kyoto, dove questo tipo di architettura è stato preservato. Nel 2015, quando a 23 anni è tornato in Giappone, Ishikura ha acquistato una vecchia machiya a Kyoto per poco più di dieci milioni di yen (circa 70mila dollari) e l’ha ristrutturata per affittarla, con più successo del previsto. “Era una costruzione anonima, ma mi ha permesso di recuperare l’investimento in tre anni”, spiega. Da allora ha comprato e ristrutturato più di sessanta machiya a Kyoto. L’ultima è una casa appena rinnovata che si trova in una zona residenziale a cinque minuti a piedi dalla stazione di Kyoto. “Voglio diventare il primo gestore di machiya a Kyoto e allargarmi a tutto il Giappone”, dice l’uomo.

La forma originaria delle machiya a Kyoto risale alla metà del periodo Edo (1603-1868). Quelle che si trovano in città si chiamano Kyo-machiya. Strutture lunghe e profonde con una stretta facciata che dà sulla strada, sono spesso definite unagi no nedoko (dormitori per anguille) per la gente di città, e contribuiscono al carattere architettonico inimitabile dell’antica capitale del Giappone. Ma la conservazione di questi alloggi è minacciata dalle alte tasse di successione, conseguenza dell’aumento dei prezzi dei terreni, e dai milioni di yen necessari per ristrutturare e mantenere i vecchi immobili. Per questo ogni anno a Kyoto spariscono circa ottocento machiya, demolite una dopo l’altra, e al loro posto spuntano dei condomini. Per Ishikura è un’opportunità di crescita.

A Rokkaku Inokuma, una cittadina vicino a Kyoto, ci sono ancora molte machiya. Tra queste spicca un alloggio privato chiamato Rokkaku Inokuma Kita. All’interno della casa, molto popolare tra i turisti stranieri, è esposta un’armatura da samurai. L’immobile è stato ristrutturato da Wendy Lee, 49 anni, di Shanghai. “Era un peccato vedere le Kyo-machiya demolite una dopo l’altra”, racconta. Finora ne ha ristrutturate quaranta.

Da uno studio condotto su circa 2.900 strutture ricettive comuni autorizzate dalla città di Kyoto è emerso che più di ottocento alloggi, pari al 30 per cento del totale, sono gestiti da circa cinquecento cittadini stranieri. Molte di queste strutture sono state aperte da acquirenti cinesi di machiya. “I giapponesi hanno custodito a lungo queste abitazioni tradizionali”, dice Kohei Nishimura, 74 anni, lamentandosi dei recenti sviluppi con un filo di rassegnazione. Nishimura è il presidente dell’Hachise, un’antica e prestigiosa agenzia immobiliare di Kyoto specializzata in case tradizionali.

Come dice il proverbio, il tempo non aspetta nessuno. Se non ci sono giapponesi disposti a preservare la tradizione e la cultura del paese, saranno altri a farlo. A Shisō, una città in altura nella prefettura di Hyogo, un residente ci ha rivelato che perfino un tempio buddista è passato in mani straniere. “Questo posto è cambiato radicalmente da quando è stato comprato da un cinese, un paio d’anni fa”, ha detto. L’uomo era un assiduo e devoto frequentatore del tempio. Ma dal 2017, quando l’abate, il capo dei monaci, è morto, le cose sono cambiate. Una o due volte all’anno il nuovo proprietario e altre persone arrivano al tempio con un pulmino per fare una grigliata. “Lo usano come casa per le vacanze”, sospira.

Il tempio ha una storia secolare ed era amato e frequentato da molti fedeli, stando a quanto dicono i residenti della zona. La sua sala principale “era magnifica perché era stata la residenza del clan feudale locale”, racconta un uomo che vive nelle vicinanze. “Sono rimasto sorpreso”, dice il monaco a capo di un altro tempio appartenente alla stessa scuola buddista, “perché un cinese sconosciuto improvvisamente è venuto qui e mi ha detto dell’acquisto”.

Più dinamismo

◆ La presenza di immigrati cinesi in Giappone non è mai stata così alta. Con l’allentamento delle regole per ottenere il visto, l’immigrazione dalla Cina è aumentata, offrendo opportunità non solo ai ricchi ma anche a chi appartiene alla classe media, scrive Nikkei Asia. “Entro il 2026 il numero di residenti cinesi in Giappone dovrebbe superare il milione. Tutto questo sta trasformando il paesaggio, gli stili di vita, i sistemi educativi e le tradizioni culturali di molte città giapponesi. Sta facendo da catalizzatore per il cambiamento, portando nuova energia e dinamismo in un Giappone tradizionalmente statico”. Questo articolo è parte di una serie che il sito d’informazione giapponese ha dedicato “all’approfondimento di questa tendenza, che ha implicazioni significative per il futuro del paese, indagando l’equilibrio tra benefici e sfide”.


Siamo stati in un tempio a Himeji, vicino a Shisō, e abbiamo mostrato all’abate un video secondo cui il tempio era in vendita. “Cos’è questo? Io non ho nessuna informazione in merito”, ha detto con un’espressione sbigottita. “Naturalmente, non ho alcuna intenzione di vendere il tempio”. Il video è stato postato su RedNote, una piattaforma di social media molto diffusa in Cina, da un sedicente residente di Kyoto con più di dieci anni di esperienza nel settore immobiliare in Giappone, e contiene anche un falso annuncio secondo cui “sono previste varie agevolazioni fiscali dato che il tempio è un’istituzione religiosa”. Non è l’unico annuncio del genere sulla piattaforma. Nella primavera del 2024 il Jissoin di Kyoto, un tempio _monzeki _(che ha legami con la casa imperiale o con famiglie aristocratiche) è stato costretto a smentire false notizie sulla sua messa in vendita. “Sui social media cinesi circolano annunci falsi”, ha precisato un portavoce del tempio. Il Jissoin ha una storia di ottocento anni e ha annoverato tra i suoi sommi sacerdoti diversi membri della famiglia reale e dell’alta aristocrazia.

Vivere nell’arcipelago
Stranieri che risiedono stabilmente in Giappone, per paese d’origine, migliaia, giugno 2024 (Agenzia giapponese per i servizi sull’immigrazione)

Abbiamo chiesto al titolare di un’agenzia immobiliare di Osaka che si rivolge a una clientela cinese di spiegarci cosa c’è dietro .“Abbiamo venduto un istituto religioso nella prefettura di Nara a un’azienda di Hong Kong per dieci milioni di yen. E ora stiamo vendendo un santuario e altri immobili a Kyoto”. In Giappone i templi e i santuari sono a corto di eredi, e il numero di richieste di acquisto è in forte aumento, ha spiegato. Perché i cinesi sono tanto interessati a comprare templi e santuari in Giappone? “Perché sono rari esempi di architettura tradizionale e perché, in quanto enti religiosi, godono di agevolazioni fiscali”.

Sui social media cinesi risultano in vendita molti templi, santuari e altre proprietà immobiliari in varie zone del Giappone, tra cui il distretto di Adachi a Tokyo, Chigasaki nella prefettura di Kanagawa e Kanuma nella prefettura di Tochigi, anche se spesso l’autenticità degli annunci è dubbia. In ogni caso, come nel caso delle machiya di Kyoto, gli stranieri che comprano vecchi edifici ne favoriscono spesso il rilancio e la conservazione.

Immigrazione
Tante nuove Chinatown

Alcune delle zone più rappresentative delle città giapponesi stanno attraversando un notevole cambio di personalità, scrive Nikkei Asia in un altro articolo della serie dedicata alla crescente presenza cinese nell’arcipelago. Da Akihabara ad Ameya yokochō a Tokyo a Dotonbori a Osaka, questi luoghi stanno perdendo la loro “giapponesità” e assumendo piuttosto un sapore cinese. Akiba, com’è noto agli affezionati il quartiere Akihabara della capitale, è da decenni luogo di ritrovo sacro per gli amanti dei videogiochi, delle figurine e di altri oggetti da collezione caratterizzati da stili visivi ispirati agli anime. Più di duecentomila visitatori ogni giorno sono accolti da cartelloni con ragazze disegnate nello stile dei manga che pubblicizzano giochi o prodotti simili. Su uno schermo lungo trenta metri compaiono immagini di personaggi in uniforme scolastica o vestite in altro modo e che, nonostante l’apparenza, fanno parte della campagna pubblicitaria della Yostar games, un’azienda di videogiochi di Shanghai senza nulla da invidiare alle omologhe giapponesi e che ha conquistato il pubblico nipponico. Tra le prime dieci app di videogiochi scaricate in Giappone, tre sono cinesi. Akihabara attira tanti appassionati cinesi del settore e la presenza nel quartiere di visitatori provenienti dal gigante asiatico è cresciuta enormemente nel 2024. Quanto ad altre zone note di Tokyo, “circa l’80 per cento dei negozi ad Ameyoko, abbreviazione di Ameya yokochō, una popolare via commerciale di Ueno, sono cinesi”, dice Isao Hoshino, 73 anni, che presiede l’associazione locale degli esercenti. Pure Dotonbori, il paradiso del cibo a Osaka, sta cambiando faccia. Con 40mila visitatori al giorno, è la destinazione preferita in assoluto dai cinesi che arrivano in Giappone e l’offerta si sta adeguando ai loro gusti. In generale nel paese stanno nascendo tante “nuove Chinatown” in aggiunta a quella storica di Yokohama, con negozi, ristoranti, drogherie e asili nido gestiti da cittadini cinesi per i loro connazionali. ◆


Il sapore del sakè

Nel 2019 Zhou Chunbao, un imprenditore di Shanghai di 62 anni, ha rilevato la Matsuoshuzojo, un’antica fabbrica di sakè ad Arita, una città sull’isola di Kyushu. L’azienda stava sospendendo l’attività per problemi di gestione, ma Zhou è rimasto colpito dalla tecnica di produzione del sakè e ha deciso di acquistare la fabbrica, fondata alla fine del periodo Edo. “Volevo far provare ai cinesi l’esperienza della cultura giapponese attraverso il sakè”. Da lì è partito il rilancio. L’azienda è stata riorganizzata e la produzione è gradualmente ripresa. Nel 2022 la fabbrica ha suggellato il suo ritorno vincendo il primo premio nella categoria Junmai daiginjō a livello regionale. “Il presidente Zhou ha salvato questa fabbrica, il tesoro della nostra comunità”, dice Mitsuru Inoue, 74 anni, mastro fermentatore alla Matsuoshuzojo per più di vent’anni, ricordando gli sforzi fatti per rilanciare l’azienda.

In Giappone le spedizioni interne di sakè sono calate del 20 per cento rispetto al picco massimo, e il numero delle fabbriche è sceso del 40 per cento per mancanza di eredi. Come nel caso dei templi e dei santuari, la vendita delle fabbriche di sakè è un tema che attira molta attenzione su RedNote.

Alla luce di storie come queste ci si chiede chi preserverà la tradizione e la cultura del Giappone. Mentre il patrimonio giapponese scompare per mancanza di persone disposte a proseguire certe attività e tradizioni, i cinesi si stanno mettendo in fila per diventarne i “nuovi eredi”. ◆ fas

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Questo articolo è uscito sul numero 1615 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati