Se si scorre il profilo Instagram di Roya, 17 anni, i suoi post somigliano a tutti gli innumerevoli altri con la stessa estetica da influencer. In uno la ragazza posa in bralette blu ornata di perline, pantaloni beige in stile anni novanta e un paio di Converse nere alte. I suoi lunghi capelli ricci sono mossi dal vento. Come didascalia c’è l’emoticon di un’anatra.
Roya, il cui nome è stato cambiato per proteggerne l’identità, pubblica le sue foto da Teheran, dove camminare per strada senza l’hijab (figuriamoci in top) può portare all’arresto. Ma questi rischi non turbano la liceale. Per lei l’app è importante: Instagram è la prima cosa che guarda quando si sveglia.
In base alla legge iraniana, Roya deve rispettare un certo standard di pudore in pubblico. Su Instagram invece spesso è smanicata, si tinge le palpebre con un ombretto verde brillante oppure si incolla delle decorazioni luccicanti sul viso. “Per Instagram ci agghindiamo con cura, mostriamo la parte migliore di noi e delle nostre vite”, spiega. “Ma quando mi mostro su Instagram sono più vicina a come sono davvero di quando cammino per strada”.
Instagram è l’ultimo social network ancora disponibile in Iran e offre un raro scorcio sulle vite intime degli iraniani: i feed sono pieni di istantanee di feste private, di adolescenti che fanno snowboard, e di teneri selfie di coppie non sposate: immagini di scene vietate o disapprovate dalle autorità ultraconservatrici.
Ma la preoccupazione del regime iraniano per una piattaforma finora considerata niente più di un insulso social network sta crescendo, soprattutto dopo le vaste proteste antigovernative del novembre del 2019. Altro che selfie e frullati salutari: Instagram sta diventando una piattaforma per il cambiamento politico del paese. Con l’arrivo degli informatori del governo a sorvegliare l’app, la repressione si sta diffondendo dalle strade a internet, costringendo gli iraniani a ripensare la loro presenza online.
Instagram è l’unica grande piattaforma di social network accessibile agli iraniani senza una rete privata virtuale (vpn, un servizio per proteggere la propria identità online). Dopo la messa al bando di Twitter e Facebook nel 2009 e di Telegram nel 2018, Instagram è diventato il mezzo di comunicazione più diffuso nel paese, con più di 24 milioni di utenti (il presidente iraniano Hassan Rohani, salito al potere promettendo tra l’altro una maggiore libertà su internet, ha 2,2 milioni di follower sul suo account Instagram). La popolarità dell’app è cresciuta durante la pandemia di covid-19, che ha colpito l’Iran a gennaio e ha causato finora più di 42mila morti. Con la diffusione incontrollata del virus, la pandemia ha tenuto le persone in casa – e online – per settimane.
Fedeltà al regime
Il controllo delle autorità su Instagram ha cominciato a intensificarsi nel dicembre del 2018, quando la polizia informatica iraniana ha annunciato un’iniziativa di sorveglianza “diffusa” senza precedenti, con il reclutamento di 42mila volontari incaricati di spiare i profili social degli iraniani. Nel febbraio del 2019 diverse influencer di Instagram iraniane hanno cancellato le loro foto senza hijab, modificando le informazioni sulla loro biografia con la scritta: “Questo account è conforme alle leggi della Repubblica islamica”.
Su molti dei profili più seguiti – come quello di @madhisfood, una donna che ha un blog di cucina con più di mezzo milione di follower – è stato pubblicato un post per esprimere la propria fedeltà al regime. In un selfie con il marito, l’autrice di @madhisfood ha aggiunto una didascalia in cui si legge: “Mi è stato chiesto di unirmi al progetto di sanificazione del web e ho accolto con entusiasmo l’appello”. A novembre dello stesso anno, quando le autorità avevano già arrestato settemila manifestanti, chiudendo di fatto internet nel paese per più di venti giorni, le tensioni sono giunte al culmine. Roya spiega che le autorità hanno rinnovato la loro attenzione per Instagram dopo l’obbligo di restare a casa emanato a marzo. “È stato allora che è entrata in vigore la legge sull’hijab”, dice, riferendosi a una legge approvata a maggio che impone alle donne di indossare il velo tradizionale anche sui social network. “Visto che non potevano controllare le persone per strada perché eravamo tutti in lockdown, hanno deciso di controllare la gente online e sorvegliare la loro vita su Instagram’”.
Anche se di solito Instagram non alimenta il dibattito politico come avviene su Twitter e su Facebook, durante la pandemia il modo di usarlo è cambiato facendone uno strumento di organizzazione. Negli Stati Uniti, dove il movimento Black lives matter ha ispirato una marea di utenti Instagram a creare immagini politiche esteticamente curate, la piattaforma ha cominciato a ospitare un nuovo formato di contenuti. In Iran questo tipo di messaggi politici (sfondi colorati con slogan, hashtag e corposi testi informativi) ha inondato i profili degli utenti dopo le proteste della fine del 2019.
Anche la possibilità di trasmettere in diretta su Instagram è diventata per gli influencer politicamente impegnati un modo di comunicare con centinaia di migliaia di persone sia dentro sia fuori dal paese. Kaveh Azarhush, un esperto iraniano di politiche del web che vive a Londra, ha raccontato che più di ottocento persone si sono connesse per la diretta che ha fatto il 3 giugno insieme a un attivista politico iraniano per discutere delle regole di internet in Iran. “Anche se Instagram non è la piattaforma migliore per organizzarsi, durante la pandemia è diventato uno strumento utile per tenere conversazioni in diretta”, afferma Azarhush. “Con un pubblico di ottocento persone, è stato come riempire un’intera sala conferenze”.
“Visto che non potevano controllare le persone per strada perché eravamo tutti in lockdown, hanno deciso di sorvegliare la gente online”
Mahdieh Golru usa Instagram come piattaforma per il suo attivismo. La donna, fuggita in Svezia dopo 93 giorni trascorsi nel famigerato carcere di Evin in Iran per aver partecipato a una protesta contro le aggressioni con l’acido alle donne, nei mesi di primavera ha trasmesso numerose dirette su Instagram. I suoi video su Igtv – l’app di Instagram per caricare filmati più lunghi, che in media hanno tremila visualizzazioni e si rivolgono al pubblico iraniano – trattano temi tabù come la mutilazione genitale femminile e le leggi sul divorzio.
Con le lacrime agli occhi
Golru e Azarhush sono entrambi attivisti, ma anche per gli influencer l’aggravarsi della situazione in Iran ha determinato una svolta politica di Instagram.
Da bambino lo stilista iraniano Milad, che vive a New York, trascorreva le estati con la nonna a Teheran. All’epoca, racconta, la donna gli ricordava che indossare pantaloncini e canottiera, la sua tenuta estiva preferita, non era accettabile in pubblico, neppure per gli uomini. Quando Milad si è dichiarato pubblicamente queer, si è “deliberatamente esiliato”, consapevole che la sua sessualità e il suo paese erano inconciliabili (in Iran l’omosessualità è un crimine punito con la detenzione, pene corporali e la condanna a morte).
Dopo più di sette anni lontano dall’Iran, Milad dice di dipendere dalle piattaforme come Instagram, Twitter e Facebook per le notizie dall’interno del paese. “È l’unico modo per sapere cosa sta succedendo”, spiega. A luglio Milad ha visto il suo Instagram traboccare di infografiche politiche accompagnate dall’hashtag #StopExecutions. Gli iraniani stavano contestando la condanna a morte di tre giovani che a novembre avevano partecipato alle proteste contro il governo, e alla fine sono riusciti a evitarla. “Instagram è diventato assolutamente fondamentale. Abbiamo visto come la firma di alcune petizioni e la loro grande condivisione abbiano fermato l’esecuzione di tre manifestanti”, afferma Milad. Appena l’hashtag ha cominciato a diffondersi, Milad ha pubblicato un video su Igtv in cui chiedeva al suo pubblico internazionale di esprimere solidarietà con i manifestanti. “Vi sto chiedendo con tutto il cuore di condividere qualunque post vi capiti di vedere”, diceva rivolgendosi alla videocamera con le lacrime agli occhi, “perché è molto difficile per noi iraniani farlo da soli”.
Per Milad e Roya, che si seguono a vicenda su Instagram, si sta facendo forte la consapevolezza dell’influenza che può avere una piattaforma globale come Instagram. “La dinamica sta decisamente cambiando, perché le persone ora si rendono conto di poter usare la loro voce e il loro profilo per una buona causa”, sostiene Roya. Ma in Iran questo comporta il rischio di essere arrestati e incarcerati. “Anche se ripubblichi o condividi qualcosa sulla protesta puoi finire nei guai, se la polizia capita sulla tua pagina”, spiega Roya. “Ma bisogna fare quello che è necessario per sostenere il nostro popolo e dargli voce”.
Da quando Instagram è arrivato in Iran si sente parlare di una sua messa al bando, ma negli ultimi mesi queste voci si sono fatte più serie. A giugno Mohamed Qomi, presidente dell’Organizzazione per lo sviluppo islamico, ha lanciato un’invettiva contro il social network nel nuovo parlamento a maggioranza conservatrice, dichiarando che la piattaforma costituisce una fonte d’immoralità e produce un terzo dei reati informatici del paese. Chiudere l’ultimo social network accessibile, diffuso tra i cittadini di tutti i tipi, potrebbe però scatenare proprio la rivolta che le autorità vogliono evitare.
◆ Il 12 dicembre 2020 il giornalista dissidente iraniano Ruhollah Zam è stato impiccato. L’hanno confermato la tv di stato iraniana e l’agenzia di stampa Irna, controllata dal governo. Zam era accusato di aver usato il servizio di messaggistica Telegram per alimentare le proteste contro il governo nel 2017. Dopo aver vissuto in esilio in Francia, era stato catturato in Iraq nel 2019 e portato in Iran. Era stato condannato a morte lo scorso giugno, e la sentenza è stata confermata dalla corte suprema all’inizio di dicembre. Diversi gruppi e ong per la difesa dei diritti umani hanno espresso indignazione per l’uccisione di Zam, e Human rights watch ha denunciato un “aumento sconvolgente nell’uso della pena di morte contro i dissidenti”. Al Jazeera
Per utenti come Roya, l’ipotesi di un blocco non è preoccupante: “Anche se fosse vietato, non sarebbe un problema. Abbiamo i vpn per Twitter, Facebook e tutto il resto. Li useremo anche per Instagram”. Ma non tutti sono così disinvolti. Il rischio di essere arrestati è aumentato e frena gli utenti iraniani che un tempo consideravano Instagram un luogo sicuro su cui poter pubblicare i loro post liberamente.
Vania, un’aspirante violinista di 17 anni che ha creato un profilo Instagram per postare video della sua musica, ha notato che in seguito al giro di vite i suoi amici stavano diventando più cauti nelle loro attività online: “Una mia amica canta su Instagram e si è preoccupata tanto che ha falsificato la localizzazione facendo comparire un altro paese nella didascalia, per non risultare iraniana”. Per le donne è illegale cantare in pubblico, a meno che non si esibiscano davanti a una platea esclusivamente femminile.
Sahba, un’artista iraniana che vive in Canada, racconta di pensarci due volte prima di pubblicare un post su Instagram, anche dalla sua casa di Vancouver: “Non ero davvero preoccupata fino alle proteste di novembre, quando ho visto persone arrestate a causa dei loro post online. Cerco di non censurarmi politicamente, ma è qualcosa che avrò sempre in testa”.
La regola silenziosa
Roya spera che il numero relativamente limitato dei suoi follower possa proteggerla da guai seri, ma di tanto in tanto sul suo profilo riceve ancora messaggi diretti da strani account. “Mi sono capitate persone sospette che mi scrivevano in privato sui miei contenuti, ma io semplicemente le ignoro o le blocco, anche se so che potrei essere denunciata”. La maggior parte di questi messaggi diretti, racconta, provengono da “uomini vecchi e cattivi”.
L’anno prossimo Roya si diplomerà. Il suo sogno era studiare moda alla Parsons school of design di New York, ma a causa delle tensioni tra Stati Uniti e Iran e della debolezza della moneta iraniana per ora quel sogno non è alla sua portata (sta pensando invece di studiare in Europa). Finché non lascerà il paese, Roya ha intenzione di autocensurare i suoi contenuti su Instagram per evitare problemi.
“Ognuno ha dentro di sé la polizia del buon costume”, dice. “Scegliamo di non condividere le cose che facciamo. Le feste, quello che succede in quelle occasioni, cose che per i ragazzi occidentali è normale postare ovunque. Anche le persone più aperte a Teheran non pubblicano queste cose per via della silenziosa regola a cui tutti ci adeguiamo”. ◆ fdl
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1389 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati