Erano esattamente le 3.20 del mattino del 10 settembre. Un lampo di luce ha illuminato le finestre e le case hanno tremato. Si sono svegliati tutti: il rumore era troppo forte. Come in un film di guerra, dicono gli abitanti di Cześniki, vicino a Zamość. La gente guardava fuori dalla finestra, sbalordita, e si chiedeva: “È già finita?”. Un sibilo, un’esplosione, una luce accecante: qualcosa era caduto sul campo di luppolo dietro al cimitero.“Si è svegliata anche mia nipote di tre anni: piangeva e le tremavano le gambe”, racconta un uomo anziano. “La mattina non è andata all’asilo. Bisognava coccolarla”.

La zona pullulava di pattuglie di tutte le forze dell’ordine possibili. Il giorno dopo si è scoperto che si trattava di pezzi di un drone russo non armato, che era stato colpito da un missile polacco da due milioni di dollari, stando alle notizie ricavate dai mezzi d’informazione e da fonti online non meglio precisate.

Qualche giorno dopo, gli abitanti di Cześniki mi parlano di quella notte con linguaggio da “esperti”. È stato come sparare a una mosca con un cannone, dice il marito di una negoziante. Un cliente fa notare che non si poteva sapere se il drone fosse innocuo, quindi andava “neutralizzato” a ogni costo. “I russi ci distruggeranno finanziariamente”, osserva un altro cliente. “Stiamo spendendo milioni per abbattere degli oggetti di polistirolo”. Un altro ancora ha letto online che poteva trattarsi di droni ucraini e non russi.

In ogni modo, il drone è caduto “da qualche parte”. Ognuno indica un posto diverso, anche perché le persone confondono quello che hanno visto davvero con le immagini riportate dai mezzi d’informazione. “Ormai questa è zona di guerra”, dicono gli abitanti delle regioni al confine orientale della Polonia.

Il valico di frontiera

In pieno giorno il villaggio di Zosin è completamente deserto. Davanti alle case sventolano bandiere polacche, molto diffuse nelle zone di confine dell’est. L’unico negozio di alimentari è chiuso da tempo ed è ormai abbandonato. L’asfalto, rifatto secondo gli standard europei, si allunga – deserto – in una linea che arriva fino al valico di confine con la città ucraina di Ustyluh. Nel moderno posto di frontiera polacco si vedono lampeggiare dei segnali elettronici. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, gli ucraini sono fuggiti in Polonia passando proprio da qui. Zosin era piena di persone venute ad aiutare i rifugiati: erano state allestite tende con cibo, acqua e vestiti, e i camion degli aiuti facevano avanti e indietro con Zamość e con l’Europa. Ora c’è il vuoto.

All’altezza di una curva c’è una piccola e tranquilla area di sosta dove si fermano i furgoni dei commercianti ucraini. Al mattino arrivano in Polonia, fanno acquisti nei negozi di Hrubieszów e Zamość, poi nel pomeriggio tornano in Ucraina. Tutti hanno sentito parlare dei droni arrivati da est. “I russi sono peggio dei crucchi nella seconda guerra mondiale”, dicono alcuni.

Nella piazza del mercato

“Non faccio scorte e non conosco nessuno che ne faccia”, dice una parrucchiera di Hrubieszów. “Semplicemente cerco di non pensarci”. La conversazione procede in modo informale mentre la donna continua a lavorare. Una collega aggiunge stizzita: “Tanto che ce ne facciamo delle scorte se non sappiamo quando comincerà e quanto durerà la guerra ?”.

Poi si parla dell’inizio del nuovo anno scolastico, e alla fine il discorso arriva su Putin. Tutti gli augurano una morte immediata, ma lo considerano una specie di spirito maligno immortale. “Tanto non morirà, quel figlio di puttana”, dicono due anziani nella piazza del mercato della cittadina. “Lo imbottiscono di integratori. Camperà a lungo”.

Quando la conversazione torna sui temi locali, si finisce a parlare dell’ufficio sempre vuoto del deputato eletto qui, Marcin Romanowski, ex viceministro della giustizia del partito sovranista Diritto e giustizia. Ricercato in Polonia per corruzione, Romanowski ha ottenuto asilo politico in Ungheria, ma il suo ufficio nella piazza centrale di Hrubieszów è ancora lì, con i vecchi mobili e gli orari di ricevimento affissi sulla porta.

Il 10 settembre, prima dell’alba, alcuni droni provenienti da oltre il confine con la Bielorussia hanno sorvolato Hrubieszów. Alcuni sostengono di averli visti. E di aver sentito il caratteristico rumore simile al brontolio di un motorino. Poi i droni hanno proseguito verso Zamość.

Simboli e dialogo

A Kryłów un tempo si teneva un festival culturale chiamato “Le giornate del buon vicinato”: il villaggio sorge proprio sul fiume Bug e d’estate si costruiva un ponte temporaneo per raggiungere il versante ucraino del fiume. Era un gesto simbolico. Per tre giorni la gente andava avanti e indietro, mangiava, beveva, ballava. Non mancava qualche screzio, perché i venditori ambulanti della città ucraina di Krečiv vendevano magliette con l’immagine del leader nazionalista Stepan Bandera, che da molti ucraini è considerato un eroe, mentre in Polonia non è così popolare, per usare un eufemismo… Tutto, però, si risolveva sempre con il dialogo. Il festival attirava molta gente anche dai dintorni. È finito con l’inizio della guerra in Ucraina.

Nella ‘zona di pre-guerra’ praticamente non s’incontrano soldati

Nel novembre 2022 a Przewodów, a trenta chilometri da Kryłów, un missile aveva ucciso due uomini. Molto probabilmente si era trattato di un ordigno lanciato dalla contraerea ucraina. L’episodio è stato classificato come uno “sfortunato incidente”. Nella zona tutti lo ricordano bene: è stato il primo contatto con la guerra, un grande boato avvertito anche a distanza.

A Kryłów hanno saputo dei droni del 10 settembre attraverso la tv e internet. Ed è successo qualcosa di strano: nessuno ne parlava apertamente. Al massimo ci si scherzava (“questi droni ci volano sopra la testa mentre dormiamo”). Nessuna domanda al sindaco su come comportarsi, nessuna riunione, nessun acquisto di generi alimentari, nessuna fuga: solo la solita routine. D’estate il paesino era pieno di villeggianti. Finite le vacanze, i droni hanno sorvolato soprattutto case vuote.

L’albergo di Okuninka

Pochi chilometri a nord, in direzione di Włodawa, s’incontrano i confini di Polonia, Bielorussia e Ucraina. È la cosiddetta triplice frontiera, un tempo considerata il cuore della regione: l’incrocio di tre popoli slavi, un mondo di cooperazione e traffici di confine. La Bielorussia era nota tra i polacchi per le sue eccellenti piste ciclabili nei boschi. A Włodawa, il Festival delle tre culture (ortodossia, cattolicesimo, ebraismo) si è concluso una decina di giorni dopo l’incidente dei droni.

Okuninka, sul lago Bianco, è la spiaggia di Włodawa e il più importante centro turistico della regione. Sembra una località di villeggiatura come tante altre: alberghi, sale giochi, noleggi di attrezzature sportive, bancarelle. Eppure, a metà settembre è immersa nel silenzio. “Non è colpa della guerra, ma della congiuntura economica sfavorevole”, dice un albergatore. E dopo averci pensato un po’ aggiunge: “Ma anche della guerra, certo. E in questa stagione anche del brutto tempo”.

Al mattino, nell’enorme sala da pranzo vuota dell’hotel, la radio risuona a tutto volume: un politico dell’opposizione attacca la coalizione di governo, accusandola di aver gestito male lo sconfinamento dei droni e di aver lasciato la società e l’esercito impreparati. Oltre che della guerra, la gente ha paura dell’incompetenza del governo. D’altronde, il pretesto per le critiche è arrivato subito: qualche giorno dopo l’incidente si è capito che quello che era caduto su una casa nel villaggio di Wyryki era il frammento di un missile polacco, lanciato per abbattere i droni russi. Il proprietario dell’albergo si aggira per la sala scuotendo la testa, alla fine abbassa il volume della radio e si rivolge all’unico ospite: “Ormai è tutta propaganda russa. E se non è russa, è tedesca. E poi c’è la propaganda americana, quella dell’Unione europea, quella israeliana. Non si può più avere un’opinione propria, perché poi ti accusano di fare propaganda”.

Barriere anticarro nei pressi di Braniewo, nella regione polacca di Varmia-Masuria, maggio 2025  (Piotr Małecki, Panos)

“Di recente, durante una festa di matrimonio”, aggiunge un altro albergatore, “due gruppi di uomini hanno litigato. Stavano parlando di politica, quando uno ha accusato l’altro di fare propaganda russa. Ed è scoppiata una rissa”.

Il proprietario di un terzo albergo aggiunge: “Paura dei droni? Mi viene da ridere. La gente ha smesso di pensare con la propria testa. Vivendo in questa parte d’Europa, dovremmo imparare a trarre vantaggio dalla nostra posizione. Non possiamo schierarci con nessuno, dobbiamo solo trovare un equilibrio”.

Suona l’allarme

È nel distretto di Włodawa che il 10 settembre è caduta la maggior parte dei droni, ben otto. Il giornale locale Nowy Tydzień ha raccontato del missile caduto sulla casa di Wyryki: il signor Wesołowski e sua moglie erano nella stanza al piano terra e stavano guardando un programma in tv sulla tensione al confine orientale del paese. Proprio in quel momento in Bielorussia cominciavano le esercitazioni militari Zapad (occidente), con le forze di Mosca e di Minsk, alle quali la Polonia e i paesi della Nato hanno risposto con le manovre Iron Defender-25. A quel punto si è sentito un boato nella soffitta dei Wesołowski. E il lampadario del salotto è venuto giù.

Nowy Tydzień cita un testimone diretto: il signor Kawiak, fotografo, che di notte era andato nel bosco per ascoltare il bramito dei cervi. Ha visto un caccia volare basso, inseguendo un piccolo oggetto che emetteva un suono simile a quello del motore di uno scooter. Il caccia ha virato, ha preso la mira e ha sparato, ma ha mancato il bersaglio. “Per fortuna non è successo niente a nessuno”, dice il signor Zenon, pensionato, “ma vorrei sapere chi dice bugie e chi la verità”. Tv e giornali esortano i polacchi a non diventare strumenti inconsapevoli della guerra dell’informazione in corso, diffondendo le notizie false che circolano in rete. Ma la gente comune è indifesa di fronte alla propaganda: non sa da dove arrivano le informazioni e se sono attendibili. È per questo che Zenon non si fida: ha appena fatto il pieno alla sua vecchia Skoda e aspetta il suo amico Stefan, che è andato a prendere altre provviste. Qualche minuto dopo Stefan è di ritorno con una confezione da sei di birra. I due se la ridono. Sull’altro lato della piazza, una coppia di anziani fa il conto di quello che ha comprato: “Qualche chilo di pasta, un po’ di zucchero, una decina di conserve”. Vorrebbero prendere di più, dicono, ma si vergognano di sembrare in preda al panico. Torneranno domani per altri acquisti.

Ecco come si vive in questa “zona di pre-guerra”: tutti hanno paura, ma non lo danno a vedere. La gente si affretta ad andare al lavoro, al mercato, a prendere i bambini a scuola, la vita scorre normalmente. Così era anche a Włodawa, il giorno dopo la notte dei droni. Solo che – come fa notare il sindaco, Wiesław Muszyński – gli sportelli bancomat erano quasi senza contanti e nelle stazioni di servizio scarseggiava il carburante.

“Stiamo stringendo i tempi. Ci saranno corsi di formazione per i residenti su come comportarsi in caso di nuovi incidenti”, dice Muszyński. Per ora i comuni vicini al confine riceveranno fondi pubblici per rafforzare la sicurezza e garantire una migliore comunicazione con i cittadini. I droni del 10 settembre hanno mostrato che le persone non sanno che il suono delle sirene serve sia ad annunciare sia a revocare l’allerta aerea. Per non parlare del fatto che spesso le sirene, inutilizzate da decenni, non funzionano perché sono arrugginite.

Włodawa riceverà 850mila złoty (circa 200mila euro), che dovrà spendere entro la fine dell’anno. Non basteranno per costruire nuovi rifugi, ma si potranno adeguare sommariamente le strutture già esistenti, come i sotterranei del convento dei monaci paolini. E i soldi serviranno per comprare kit di pronto soccorso oltre a sistemi di stoccaggio e trattamento dell’acqua. Tuttavia, come hanno fatto osservare gli amministratori locali, il prezzo di questi beni è già schizzato alle stelle. “Va bene il libero mercato”, dicono sindaci e consiglieri comunali, “ma in questo caso servirebbe un intervento dello stato”.

Il rumore dei mitra

È una bella giornata d’autunno, piena di sole. Mateusz e un suo amico tagliano l’erba nei giardini del santuario mariano di Kodeń. Il terreno è ben curato. È un luogo di pellegrinaggio, la Częstochowa dell’est. Appena oltre il muro del santuario c’è il posto di frontiera polacco, poi il fiume Bug e dopo il valico bielorusso. Sul lato polacco si fanno lavori di giardinaggio, dall’altra parte si spara con le mitragliatrici, che emettono un crepitio sordo.

A volte qualche pellegrino spaventato chiede a Mateusz se non ha paura. Lui alza le spalle e risponde: “Sparano in continuazione, ci si abitua. Qui nessuno ha paura”. Tutti ci hanno fatto il callo: gli abitanti, i religiosi, i giardinieri. La spiegazione è semplice ed è legata alla quotidianità di questa zona di confine: la Bielorussia ha un poligono permanente proprio oltre il fiume. Che ci siano o meno manovre militari, gli spari si sentono sempre.

Prima che il confine con la Bielorussia fosse definitivamente chiuso, i rapporti tra chi abitava sulle due sponde del Bug erano frequenti e amichevoli. Ed è proprio questa – fanno notare spesso le persone del luogo – la verità che Varsavia non vuole capire: gli abitanti della regione di Podlasie sono certamente cittadini polacchi, ma sono molto legati alla loro terra e hanno sempre avuto stretti rapporti, di amicizia e familiari, con la sponda bielorussa. Questo problema era emerso dolorosamente già nel 2021, quando il governo aveva istituito una “zona di esclusione” e costruito una barriera al confine per tenere fuori i migranti. L’area era pattugliata da soldati e poliziotti alla ricerca di profughi e spie, e capitava di frequente che anche la gente del posto fosse fermata e arrestata a pochi metri da casa.

Un giorno un amico di Mateusz, stanco di dover spiegare ai pellegrini da dove veniva il rumore dei colpi di fucile, gli ha mostrato una pala bucata, raccontando che era stata colpita da un proiettile bielorusso. I pellegrini gli hanno creduto, perché questa è la versione dominante in tutta la Polonia: l’est del paese vive nel terrore del nemico.

L’Ucraina sotto attacco

◆ La notte del 5 ottobre la Russia ha lanciato un attacco con centinaia di droni e decine di missili su obiettivi civili in diverse regioni ucraine. La zona più colpita è stata quella di Leopoli, nell’ovest del paese, che ha subìto il peggior bombardamento dall’inizio della guerra, con quattro morti, tra cui una ragazza di 15 anni, e una decina di feriti. Altri due morti ci sono stati a Zaporižžja e a Cherson. Dopo gli attacchi la Polonia ha fatto decollare alcuni velivoli militari per garantire la sicurezza del suo spazio aereo. L’esercito ucraino ha risposto all’attacco russo colpendo un’importante infrastruttura energetica a Belgorod e una fabbrica per la produzione di esplosivi e munizioni a Sverdlov, entrambe in Russia, oltre a un terminal petrolifero in Crimea, regione annessa da Mosca nel 2014. The Kyiv Independent


Un altro collega di Mateusz la mattina del 10 settembre si è trovato un drone russo nel cortile di casa. Racconta che il drone è sceso lentamente dal cielo ed è atterrato dolcemente. Era fatto in gran parte di polistirolo. Sui social ucraini non mancano i consigli ai polacchi su come affrontare il problema: i droni vanno abbattuti con armi leggere, più efficaci e meno costose.

Alla locanda di Jędrula

La locanda di Jędrula si trova a poche decine di metri dal valico di frontiera con la Bielorussia. Un tempo era un vero e proprio punto di passaggio, con uffici di cambio, negozi, parcheggi, ristoranti: tutto in funzione del commercio con la Bielorussia. Negli anni novanta, prima di avviare la sua attività, Jędrula era una guardia di frontiera: tempi mitici, in cui la Polonia cominciava ad arricchirsi , la Bielorussia era molto povera e si facevano affari d’oro. Le “formiche bielorusse” facevano la spola con la Polonia, trasportando sulle spalle merci per migliaia di dollari al giorno. Allora, ricordano i commercianti di Terespol, con i russi ci si poteva facilmente mettere d’accordo.

“Ora è tutto così silenzioso che quando di notte una moto accelera in una rotatoria di Minsk, la sento come se fosse sotto la mia finestra”, dice Jędrula, che ha lavorato anche per i tedeschi, trasportando lavoratori immigrati, periodo di cui ha un pessimo ricordo. Oggi i clienti della locanda sono soprattutto gli agenti della guardia di frontiera e a volte qualche soldato. Ma che rapporto ha con le autorità una persona come Jędrula, che gestisce un’attività ostacolata dalle misure del governo? Invece di vietare tutto, perché non possiamo consentire alla gente di guadagnare qualcosa con il commercio transfrontaliero? In fondo i bielorussi erano ottimi clienti. È la stessa cosa che sostengono i proprietari dei negozi e delle agenzie lungo il confine: è chiaro che il punto di vista cambia a seconda del luogo in cui si vive.

Oggi la strada principale di Terespol è deserta. C’è solo un negozio che vende abiti usati a uno złoto al pezzo, circa 25 centesimi di euro.

La barriera nel bosco

Ma la vera sorpresa è un’altra: nella “zona di pre-guerra” praticamente non s’incontrano soldati. Può capitare di vedere una stazione radar in un campo aperto o d’imbattersi in una pattuglia della guardia di frontiera. Per chi ha frequentato l’area tra il 2021 e il 2022, quando al governo c’era il partito Diritto e giustizia, la differenza è enorme: allora gli agenti erano ovunque, non si poteva fare un passo senza essere perquisiti, schedati, fermati o espulsi. Oggi alla barriera di confine ci si avvicina liberamente e nessuno salta fuori dai cespugli con il fucile.

“Non credete a quello che dicono in televisione”, commenta Jarek, che ha circa cinquant’anni ed è originario di un villaggio vicino a Biało­wieża. Partendo da Hajnówka, attraversando Białowieża e proseguendo verso Narewka e Stare Masiewo – proprio lungo il confine – s’incontrano più camper di turisti che veicoli militari. I villaggi adesso sono vuoti, tranquilli: le case sono quasi tutte di gente che viene da Varsavia, per fuggire dal lavoro nelle grandi aziende della città. D’estate era pieno di gente. Aleks, impiegato del locale ufficio turistico, racconta: “La gente mi chiama e mi chiede se è sicuro. Poi arriva e quasi non riesce a credere a quello che vede. E la paura svanisce”.

“È vero, forse ci siamo abituati”, aggiunge Jarek. “La zona d’esclusione, la costruzione della barriera, la sorveglianza, i rifugiati, la guerra in Ucraina. Eppure qui c’è solo pace. Bisogna conoscere le caratteristiche della zona: questa gente vive al confine tra due mondi da secoli, lontano dalle rivoluzioni delle grandi città. Questa tranquillità ce la siamo guadagnata”. ◆ sb

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Questo articolo è uscito sul numero 1635 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati