Il sole a Dakar accarezza l’oceano Atlantico con la sua luce abbagliante. Le onde s’infrangono sulle rocce con uno scroscio regolare, mentre le palme ondeggiano al soffio della brezza marina. Una scena da cartolina.
A molti abitanti della capitale del Senegal, però, questo panorama lascia un retrogusto amaro: fare il bagno nell’oceano è diventato un privilegio. Lungo la costa le spiagge si riducono, divorate dalle recinzioni, circondate dai parcheggi dei ristoranti e dai muretti degli alberghi. Con il moltiplicarsi degli stabilimenti per ricchi, l’accesso al mare diventa a pagamento, spesso a un costo elevato.
All’orizzonte si staglia la sagoma di Ngor. Su questo isolotto è in pericolo una delle poche spiagge ancora accessibili con pochi spiccioli (250 franchi cfa, circa 0,38 centesimi di euro).
All’alba Mamadou, chino su una pala, cerca di salvare le apparenze. Ha la maglietta zuppa di sudore incollata alla schiena, che si confonde con la polvere. Davanti a lui, cumuli di rifiuti, bottiglie, sacchetti di plastica, reti abbandonate; dietro, i clienti in attesa con i teli sotto il braccio e le borse in mano. Mamadou li anticipa con lo sguardo, gli chiede di aspettare “due minuti” e accelera il ritmo. “Devo sistemare un po’ prima che entrino. Non è pulito, ma qui non abbiamo di meglio”, osserva mentre toglie a mani nude quello che può.
Mamadou lavora per un uomo che noleggia i lettini e questa è diventata la sua routine. Nel lido di Ngor la spiaggia è stretta, affollata e sporca. Ma molti senegalesi ci trascorrono momenti piacevoli con le loro famiglie. Non ci sono stabilimenti ufficiali, ma vige un sistema arrangiato giorno per giorno.
“Veniamo qui perché non abbiamo altra scelta”, dice Awa, madre di famiglia, seduta sulla sabbia, con gli occhi fissi sui figli che sguazzano nell’acqua a pochi metri di distanza. “Non ci sono quasi più spiagge libere a Dakar. Quelle belle sono state privatizzate. Quindi ci accontentiamo della sporcizia e dei sassi”.
Un’ingiustizia silenziosa
Dietro l’immagine da cartolina la precarietà salta agli occhi: venditori ambulanti di bevande che vagano con borse termiche malandate, Mamadou che tende la mano per chiedere soldi dopo aver steso una stuoia.
“Si fa quel che si può. Ma non è normale che il mare sia diventato così”, dice sospirando. Poi abbassa lo sguardo, riprende in mano una specie di scopa e, centimetro dopo centimetro, apre un accesso al mare, che resta, nonostante tutto, un posto stupendo per chi non può permettersi di meglio.
Le spiagge libere sono state rosicchiate da progetti immobiliari e nuovi complessi alberghieri, sono spesso abbandonate, disseminate di rifiuti e pericolose.
Dietro il faro di Mamelles sopravvive una caletta nascosta, che quasi sfida il buonsenso. In alcuni punti il mare s’infrange con violenza sugli scogli. La sabbia è poca, cosparsa di pietre nere. Il fondo è scivoloso, spesso tagliente. Ma l’acqua è limpida, sorprendentemente incontaminata. Per questo ogni giorno questo pezzo di costa si riempie. Quella che sembra una caletta abbandonata, è vivace e ospita un ristorante.
“È pericoloso, ma è casa nostra”, dice Malick, studente, frequentatore assiduo di questo posto. Si lamenta del fatto che “nessuno pulisce più queste piccole spiagge, nessuno le mette in sicurezza”.
A pochi passi di distanza la spiaggia di Virage è un altro esempio di questo paradosso: è ad accesso libero, ma è affollata e tenuta male, stretta com’è tra edifici di nuova costruzione, cantieri di ristoranti e il resto della costa ancora selvaggia. Non ha nulla di paradisiaco: gli scogli dominano il paesaggio, l’acqua diventa profonda molto rapidamente e non sono disponibili servizi di soccorso. Le famiglie si sistemano come possono. Stuoie in riva al mare, sedie a sdraio, ombrelloni… “Almeno è gratis. Ma ogni volta che veniamo ho paura che mio figlio si faccia male”, confida Fatou, con i piedi nell’acqua, mentre sorveglia il bambino che salta da uno scoglio all’altro.
◆ A Dakar, la capitale del Senegal, vivono più di quattro milioni di persone, su una popolazione nazionale di 18,5 milioni di abitanti. Come molti altri paesi africani, anche il Senegal ha vissuto una rapida urbanizzazione e oggi il 50 per cento della popolazione vive nelle città. Dakar e le località vicine di Pikine, Guédiawaye, Keur Massar e Rufisque formano un unico grande insediamento urbano caratterizzato da un’alta densità abitativa, con più di settemila abitanti per chilometro quadrato,
ricorda The Conversation.
◆Nella capitale senegalese solo la metà degli abitanti è proprietaria dell’alloggio in cui vive, scrive il quotidiano francese Le Monde, parlando della crescita incontrollata del settore immobiliare della città, che sorge nella parte meridionale della penisola di Capo Verde, sull’oceano Atlantico. I terreni in vendita sono pochi e molto costosi: i prezzi al metro quadro sono triplicati dal 2000 per effetto della crescita demografica e della forte domanda di nuove abitazioni. Nel novembre 2024 il governo del presidente Bassirou Diomaye Faye ha deciso di recuperare diecimila metri quadrati di terreni in riva al mare in un quartiere prestigioso di Dakar. Secondo il sito Senenews, erano stati attribuiti senza un bando regolare a un imprenditore israeliano, Ron Yeffet, vicino all’ex presidente Macky Sall.
Ramata, circa trent’anni, aggiunge con la voce stanca: “Non chiediamo niente di complicato. Vogliamo solo una spiaggia pulita e libera. Ma ci emarginano, spingono le famiglie come la nostra verso posti disagevoli, mentre vendono il lungomare ai ricchi. È un’ingiustizia silenziosa”.
Sulla corniche di Les Almadies, tra ristoranti di lusso e strutture improvvisate, sopravvive una piccola spiaggia nascosta. Un lembo di sabbia senza nome, senza infrastrutture, diventato un rifugio informale per gente che va a correre, famiglie e ragazzi in cerca di frescura. Non ci sono sdraio né ombrelloni. Solo un angolo di libertà. Nonostante l’esiguità e la mancanza di infrastrutture, gli abitanti di Dakar continuano ad affollarla.
Tra loro c’è Ibrahima Fall, 15 anni, con una borsa a tracolla e le infradito consumate. Per tutta l’estate ci è andato con gli amici del quartiere. “Molti si vergognano di venire perché ci sono i ristoranti. I clienti ci guardano storto, come se non avessimo il diritto di stare qui”, dice alzando le spalle. Ma Ibrahima non si lascia intimidire: “Non abbiamo altri posti dove andare. Quindi ci facciamo il bagno senza imbarazzo. L’acqua è bella, ci basta”.
Ibrahima conosce ogni angolo della spiaggia stretta. Per lui e i suoi amici è un piccolo santuario, un’oasi di libertà che difendono ogni volta che s’immergono. Più lontano le spiagge di Malibu e Cassation sono ampie e aperte, ma sono circondate da piccoli ristoranti improvvisati, costruiti con mezzi di fortuna.
La barriera che non si vede
A Dakar non basta più avere un costume da bagno per andare al mare. Serve un portafoglio pieno. Sulla corniche occidentale un hotel di lusso fa pagare l’ingresso 35mila franchi cfa (53 euro) a persona. A questo prezzo si possono avere a disposizione una sdraio e la piscina a sfioro. Ma soprattutto una barriera invisibile che esclude migliaia di giovani, studenti e famiglie dai mezzi più modesti.
Un altro locale fa pagare diecimila franchi cfa (15 euro) per entrare nella sua spiaggia-ristorante. Le più “accessibili” si trovano invece nella zona industriale, dove l’ingresso costa duemila franchi cfa (tre euro). Ma queste spiagge, affollate durante il periodo estivo, non sono oasi di pace.
A Dakar le spiagge pubbliche stanno diventando un ricordo. Quello che era un bene comune, offerto dalla natura, si sta trasformando sotto i nostri occhi in un prodotto da vendere. ◆ adg
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Questo articolo è uscito sul numero 1633 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati