Considerando che il settore si basa sulla luce, è sorprendentemente buio all’interno di questa fabbrica di pannelli solari a Chengdu, nel sudovest della Cina. Ai lavoratori però non importa: sono quasi tutti robot che ronzano trasportando quadrati di polisilicio grigio, larghi 16 centimetri e spessi quanto un capello. Queste lastre sottili vengono riscaldate, tagliate al laser, immerse nell’acido e incise con circuiti d’argento. Quando escono dalla fabbrica sono diventate celle solari.

L’impianto è in grado di sfornare in una settimana abbastanza celle fotovoltaiche per costruire una centrale elettrica con una capacità di oltre 500 megawatt, il massimo raggiunto dagli impianti solari al di fuori della Cina, dell’India e dei paesi del Golfo. Due mesi di lavoro bastano a produrre una capacità in grado di generare, nell’arco di un anno, molta più elettricità di un grande reattore nucleare.

Nel 2024 la Tongwei, l’azienda che gestisce questa fabbrica a Chengdu, ha fornito le celle solari per un pannello su sette venduti nel mondo. Altre aziende cinesi hanno realizzato quasi tutto il resto; in totale, il settore ha prodotto una capacità di 680 gigawatt. Per fare un paragone, l’intera capacità del Regno Unito è di circa cento gigawatt.

Altri mercati
Destinazioni dei pannelli solari esportati dalla Cina, capacità in gigawatt (Ember)

Se tutti quei pannelli fossero affiancati uno all’altro coprirebbero circa quattromila chilometri quadrati, più o meno quanto lo stato di Rhode Island (installati in impianti reali occuperebbero molto più spazio). Se funzionassero in media al 25 per cento della loro capacità massima, un valore normale per un buon impianto in una zona soleggiata, produrrebbero in linea teorica 1,4 milioni di gigawattora, ossia 1.400 terawattora (un terawatt equivale a mille gigawatt) nell’arco di un anno. Nel 2024 il consumo totale di elettricità nel mondo è stato di poco superiore ai 30mila terawattora.

Per produrre energia senza combustibili fossili serve molto più della semplice capacità di generazione. Ma se la Cina continuasse a produrre 680 gigawatt di nuova capacità solare ogni anno fino al 2030, l’energia basterebbe, in linea di principio, a soddisfare un terzo dell’attuale domanda mondiale di elettricità.

Lo sviluppo dell’industria ha portato a un eccesso di offerta, con inevitabili contraccolpi, ma sembra un ostacolo superabile. E il fotovoltaico non è l’unico aspetto di questo sviluppo.

Energia solare, batterie e veicoli elettrici sono quelle che il governo cinese chiama le “nuove tre” industrie. La crescita dell’eolico finora è stata più lenta, ma è destinata a contare sempre di più: la produzione continua anche durante le ore di buio e alcune delle sue oscillazioni sono prevedibili, fattori che aiutano la stabilità dei sistemi energetici. Nel 2024, per la prima volta, le quattro maggiori aziende produttrici di turbine eoliche al mondo erano tutte cinesi. Complessivamente hanno prodotto più del 70 per cento dei 122 gigawatt di nuova capacità eolica installata.

Oltre ogni aspettativa

La velocità di questo processo ha superato di gran lunga le aspettative degli analisti stranieri e dello stesso Partito comunista cinese. Nel 2021, l’Agenzia internazionale dell’energia aveva pubblicato uno scenario “accelerato” ottimistico, secondo cui la Cina avrebbe installato 480 gigawatt di capacità solare aggiuntiva entro il 2026. Ne ha già aggiunti quasi il doppio. Dieci anni fa, i pianificatori statali cinesi auspicavano che le aziende del paese arrivassero a vendere tre milioni di veicoli elettrici nel 2025. In realtà saranno almeno il quadruplo.

Il partito considera queste industrie una “nuova forza produttiva”, un termine che indica i settori ad alto valore aggiunto capaci di plasmare il futuro economico del paese. La Tongwei definisce il proprio contributo “un grande dono della Cina all’umanità intera”.

“Dono” è un po’ esagerato. Per quanto economiche, le celle solari non vengono certo distribuite gratis. Ma la politica della Cina, che punta ad aumentare sia la domanda di tecnologie rinnovabili sia la capacità produttiva necessaria a soddisfarla, ha portato un enorme beneficio ai consumatori di tutto il mondo: i prezzi continuano a scendere.

Nella maggior parte dei settori manifatturieri, la riduzione dei costi legata al raddoppio della capacità è abbastanza prevedibile. Nel solare, sembra aggirarsi intorno al 30 per cento. La grande crescita della produzione ha fatto precipitare i prezzi: nel 2024 i pannelli solari costavano poco più di un ventesimo rispetto al 2005. Non è un caso che la Cina sia all’avanguardia nelle tecnologie verdi. Capitali abbondanti, filiere produttive fitte e integrate, uno sviluppo tecnologico sempre più avanzato e una forza lavoro qualificata le permettono di eccellere in quasi ogni settore. Il complesso industriale verde ha beneficiato anche di sussidi mirati e del successo di aziende lungimiranti, ma lo stesso è accaduto in vari altri comparti. Il fattore determinante è stata l’enorme domanda interna di elettricità.

L’interesse del Partito comunista per l’energia pulita è nato tra gli anni novanta e i primi anni duemila, quando i cittadini hanno cominciato a ribellarsi per il gravissimo inquinamento dell’aria e dell’acqua. Le autorità temevano che fosse imminente una “crisi sociale”, racconta un consulente del governo. La questione è diventata più urgente dopo la promessa che le Olimpiadi di Pechino del 2008 sarebbero state “verdi”. Ma non c’entra solo la questione ambientale. Il governo cinese paragona le forniture energetiche del paese a una ciotola di riso che “deve restare saldamente nelle nostre mani”. Le tecnologie capaci di ridurre le importazioni di petrolio e gas erano viste con favore. Le celle solari, in particolare, hanno rappresentato una grande opportunità, perché i mercati per l’esportazione crescevano. Negli anni duemila, prima la Germania e poi la Spagna hanno introdotto sussidi estremamente generosi e senza vincoli per il solare. Le aziende cinesi si sono precipitate a sfruttare l’opportunità. Negli altri paesi i produttori di polisilicio hanno esitato a investire in nuove fonderie ad alta intensità di capitale ed energia per servire il mercato del fotovoltaico (il loro mercato prevalente restava quello dei chip al silicio). Le imprese statali cinesi, invece, hanno colto la palla al balzo, costruendo nuove fonderie nello Xinjiang e in altre regioni occidentali, paradossalmente alimentate dal carbone a bassissimo costo.

Anche aziende di altri settori si sono lanciate nelle tecnologie pulite; la Tong­wei, per esempio, produceva mangimi per i pesci prima di convertirsi al solare. A incoraggiarle sono stati il basso costo del denaro, le generose concessioni di terreni e i sussidi diretti. Secondo il Centre for strategic and international studies (Csis) di Washington, tra il 2009 e il 2023 i produttori cinesi di veicoli elettrici hanno ricevuto complessivamente 231 miliardi di dollari in varie forme di sostegno pubblico. Per fare un confronto, il pacchetto di aiuti del governo statunitense per salvare l’industria automobilistica dopo la crisi finanziaria globale ammontava a circa 80 miliardi. Oggi la Cina raffina la maggior parte delle materie prime essenziali per le batterie di nuova generazione: cobalto, litio e grafite.

Pannelli fotovoltaici a Huai’an, nel Jiangsu, 6 agosto 2025 (Vcg/Getty)

Con il successo del settore, i sussidi e le tariffe agevolate sono stati in gran parte ritirati: in particolare, nel giugno 2025 è terminato il regime delle tariffe vantaggiose garantite dallo stato ai nuovi impianti di energia rinnovabile. Le aziende del settore devono sempre più cavarsela da sole, puntando sull’innovazione per restare competitive. Nel 2024 hanno depositato circa il 75 per cento delle domande di brevetti nel campo delle tecnologie verdi, contro appena il 5 per cento nel 2000, come mostrano i dati del centro studi Ember.

La concorrenza spietata alimenta l’innovazione nel settore come un incendio. Jenny Chase, analista di BloombergNef, ricorda che durante i quattro mesi del suo congedo di maternità, nel 2018, sono diventate standard tecnologie prima rare come il silicio monocristallino e i seghetti a filo diamantato. Ma esistono anche forme di concorrenza meno sottili. Le aziende cinesi dell’eolico hanno reso più efficienti le turbine aumentandone le dimensioni, così da catturare più energia a ogni rotazione. Inoltre stanno introducendo più modelli rispetto ai rivali internazionali. Molte falliranno; altre no.

Il fattore decisivo, però, resta l’enorme domanda interna. La Cina ha un fabbisogno di elettricità senza eguali e la richiesta continua a crescere. L’aumento della produzione registrato nel 2024 è stato pari all’intero consumo della Germania. Questa sete di nuova capacità, insieme ai prezzi agevolati per le rinnovabili (progressivamente eliminati) ha rappresentato il principale motore della corsa vertiginosa alla produzione e del conseguente calo dei prezzi.

Cura dimagrante

La crescita è stata talmente impressionante che alcuni operatori del settore del solare hanno addirittura superato la domanda interna. Nel 2024 la produzione cinese di celle solari ha raggiunto una capacità di 680 Gw, un risultato di per sé eccezionale; eppure si calcola che le fonderie di polisilicio avessero capacità per 1.200 Gw. Secondo la Reuters, nell’ultimo anno il comparto ha perso un terzo dei posti di lavoro, con perdite per 60 miliardi di dollari.

Il settore si trova ora di fronte a un’ondata di consolidamento, in cui le grandi aziende spingono fuori dal mercato i concorrenti più piccoli. C’è perfino chi prevede che si formerà un cartello del solare. Ma i rischi non riguardano solo i pesci piccoli: nel riassetto dell’industria avvenuto nella prima metà degli anni 2010, la principale azienda del paese è finita in bancarotta, travolta dai debiti e dall’eccesso di capacità produttiva.

Il governo vuole un’industria solare più snella ma più redditizia. Ha cominciato a condannare quella che definisce concorrenza “involutiva”, cioè una serie di guerre dei prezzi senza veri vincitori. Le autorità hanno annunciato che il prossimo piano quinquennale, che dovrebbe essere pubblicato a marzo del 2026, conterrà misure volte a smantellare il protezionismo locale che mantiene in vita le aziende più deboli.

La strada potrebbe rivelarsi difficile. Ma un calo significativo e duraturo della produzione solare è assai improbabile. Come osserva Ilaria Mazzocco del Csis, il settore è ormai “troppo grande per fallire”. E anche gli altri due comparti dei “nuovi tre” continuano a rafforzarsi: secondo BloombergNef, entro il 2030 le aziende cinesi di veicoli elettrici produrranno un terzo delle auto mondiali; la domanda di batterie, che rendono più redditizia sia la nuova capacità solare sia quella già installata, resterà elevata in Cina e all’estero. La forza del modello cinese del “learning by doing”, “imparare facendo”, è ancora un vantaggio decisivo, e non sarà certo la mancanza di apparecchiature per le energie rinnovabili a ostacolare il processo di decarbonizzazione del paese. ◆ fas

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1644 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati