“Queste sono le mie scuse, sia a te sia a me, per aver fatto perdere tempo a entrambi. Nessuno di noi due ha ottenuto quello che cercava. Sorry about that è un diario: cinque anni trascorsi a fare i conti con la scomparsa di mio padre e un’infanzia vissuta all’ombra delle sue attività criminali. Per la prima volta volevo parlarne apertamente, ma non sapevo come. Con la fotografia avrei avuto da mostrare qualcosa del mio tempo, e le domande difficili avrebbero potuto aspettare. O forse no. Inutile dire che non è andata proprio come avevo previsto. Non cercavo molto, solo una manciata di immagini dietro cui nascondermi. Una salvezza immediata da un’umiliazione immaginaria. Ma a volte mi sono divertito. Spero che vada bene così”.
Con queste parole il britannico Mikael Buck presenta una serie di istantanee ironiche e a tratti surreali. Fiori, piante, insetti veri e pupazzi di plastica si susseguono senza un ordine preciso. Ogni tanto si scorgono le parti di un corpo: un piede, un polso, un volto nascosto che ritorna, ripreso con prospettive deformanti. Sono autoritratti che l’autore ha scattato tra il 2019 e il 2024, cercando di coprirsi per poi affiorare dietro a un muro o a una pianta. Le immagini possono essere lette come riflessioni sui tentativi falliti dell’artista di comprendere e correggere il passato attraverso la fotografia. Buck cerca sollievo o forse redenzione nelle foto scattate con il cellulare. A volte le modifica usando l’intelligenza artificiale generativa; altre volte sembrano sbavature in un discorso senza copione. Uno spazio per parlare di sé e del rapporto complicato con il padre. Un modo per chiedere scusa, ma a chi? Forse a se stesso, per l’incapacità di maneggiare un dolore antico eppure ancora presente.
La fotografia diventa ricerca di consolazione e possibilità di un nuovo inizio. Oppure un modo per chiudere un capitolo della vita e guardare altrove, senza più nascondersi. ◆
◆ Con Sorry about that Mikael Buck è stato uno dei vincitori del Best portfolio award al Photo meet 2025 di Londra, nel Regno Unito. Un’edizione autoprodotta del progetto è stata pubblicata in cento copie. Il lavoro è ora in mostra a Dublino, a Brighton e a Londra.
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Questo articolo è uscito sul numero 1636 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati