In Svizzera con i soldi si può comprare anche il voto dei parlamentari. L’inchiesta di Das Magazin e un commento di Loretta Napoleoni.
Tecnicamente si può già parlare di dittatura. Forse non ce ne siamo ancora accorti perché siamo abituati ai colonnelli greci o alla giunta militare cilena. Ma quello che conta è la sostanza, non la forma. Oggi è inutile mandare i carri armati per prendere il controllo delle principali reti televisive, basta cambiare i direttori. Non serve far bombardare la sede del parlamento, è sufficiente impedire agli elettori di scegliere i parlamentari. Non c’è bisogno di annunciare la sospensione di giudici e tribunali, basta ignorarli. Non vale la pena di nazionalizzare le più importanti aziende del paese, basta una telefonata ai manager che siedono nei consigli d’amministrazione. E l’opposizione? E i sindacati? Davvero c’è chi pensa che questa opposizione e questi sindacati possano impensierire qualcuno? Gli unici davvero pericolosi sono i mafiosi e i criminali, ma con quelli ci si siede intorno a un tavolo e si trova un accordo. Poi si può lasciare in circolazione qualche giornale, autorizzare ogni tanto una manifestazione. Così nessuno si spaventa. E anche la forma è salva. Leggi
Molti parlamentari svizzeri sono sul libro paga di aziende e gruppi d’interesse. Ogni legame è dichiarato pubblicamente, ma nessuno sa quanto incassano i politici e come sono influenzate le loro scelte. Un’inchiesta di Das Magazin ha cercato di scoprirlo.
In passato la politica era finanziata dai tesseramenti. Oggi dipende da sponsor a cui è difficile dire di no. Il commento di Loretta Napoleoni.
L’Iraq si prepara ad andare alle urne il 7 marzo. Ma il clima politico è teso dopo l’esclusione di centinaia di candidati dalle liste elettorali.
Gli ultimi casi di corruzione, riciclaggio e frode fiscale riguardano somme di denaro enormi. Al confronto, gli scandali della prima repubblica sembravano un gioco da ragazzi.
L’isola greca è il primo approdo europeo per migliaia di ragazzi afgani che scappano dalla fame e dalla guerra. Una prigione a cielo aperto, fatta di soprusi e violenze. Il reportage della Zeit.
Con una media di duecento omicidi al mese, la guerra nella città al confine tra Stati Uniti e Messico non si ferma. Ormai non c’entra più solo il narcotraffico: uccidere è anche una questione di status symbol.
Ascoltano invece di leggere, dettano invece di scrivere. Negli Stati Uniti i ciechi usano sempre di più le tecnologie digitali per ricevere e trasmettere informazioni. E hanno smesso di studiare l’alfabeto.
Di Emmanuel Guibert
Ha studiato fisica in Europa. Oggi lavora in Cina e sogna di reinventare l’informatica sfruttando la meccanica quantistica.
Dallas punta sulla cultura, con nuovi teatri, musei e sale da concerto. Vuole abbandonare l’immagine di città cinica che pensa solo al petrolio.
Tre spettacoli rilanciano un genere molto popolare in passato e dimostrano che a teatro si può anche avere paura.
Di Slavoj Zizek
Di Boubacar Boris Diop
La morte di Orlando Zapata Tamayo ha fatto crollare la segretezza che ha sempre circondato i prigionieri cubani in sciopero della fame: ne ha parlato il telegiornale. Leggi
Il sistema politico statunitense è concepito in modo da impedire i cambiamenti. Basta un senatore contrario per fermare tutto. Leggi
Racconti del dopoguerra, ambientati in un’immaginaria Nofi che era in realtà la città di Rea, Nocera Inferiore. Leggi
The Soft Pack, Tre allegri ragazzi morti, Night Skinny (feat. Op’Rot) Leggi
Da un po’ di tempo i siti della maggior parte di giornali e riviste invitano i lettori a spedire le loro fotografie per metterle online. Leggi
Diminuisce il numero delle università americane tra le prime cento del mondo, tengono il passo le giovani università coreane, aumentano quelle cinesi. Leggi
Il Super bowl può affaticare il cuore. Leggi
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