Alla fine dello scorso giugno, all’ingresso della stazione Tolstoj della metropolitana di Milano sono stati affissi dei cartelli con lo sfondo blu e la scritta bianca “Israeli not welcome”, gli israeliani non sono benvenuti. Gli stessi cartelli sono comparsi anche all’interno del quartiere ebraico tra via Bartolomeo D’Alviano e via Luigi Soderini, nel quadrante sudovest della città.
Il primo politico a denunciare l’accaduto è stato Daniele Nahum, consigliere comunale del partito moderato Azione. “Affiggere cartelli discriminatori contro una qualsiasi nazionalità è un’operazione degna dei fascisti degli anni Trenta”, ha scritto sui social media.
La condanna al gesto è prontamente arrivata anche dalla lista civica che ha sostenuto l’elezione a sindaco di Beppe Sala. Angela Persici, consigliera del Partito democratico al municipio 6 di Milano con delega alla memoria, è andata personalmente a rimuovere i cartelli. Nonostante ciò, i partiti di destra hanno puntato il dito contro il “silenzio” e le “posizioni ambigue” del sindaco e della maggioranza sull’antisemitismo.
Le critiche più dure al centrosinistra sono arrivate dal presidente della comunità ebraica milanese Walker Meghnagi. “L’odio verso gli ebrei è portato avanti dalla sinistra”, ha detto al Tempo, “ma nessuno se ne rende conto e trovo molto positivo che chi ci difende sia il centrodestra”.
In un’altra intervista a Il Giorno, pubblicata il 7 luglio, Meghnagi ha rincarato la dose: “Se dovesse succedere qualcosa di grave in Italia, la colpa sarebbe loro. Sono loro i colpevoli di ciò che può accadere di brutto a un ebreo in Italia. Sì, mi riferisco ai leader politici del centrosinistra”.
Sentirsi protetti
Non è la prima volta che il presidente della comunità ebraica milanese esprime opinioni del genere. Nel luglio del 2024 aveva detto al Corriere della Sera che gli ebrei italiani “si sentono protetti” da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, e dai loro partiti. Lui stesso è amico intimo di Ignazio La Russa, l’attuale presidente del Senato.
Si tratta di una svolta significativa ma ormai assodata in alcune comunità, su tutte quelle di Milano e Roma, anche se non priva di contraddizioni: si parla di un allineamento con politici che in passato hanno rilanciato la teoria del complotto antisemita della “sostituzione etnica”, hanno intrattenuto rapporti con frange estremiste e – nel caso di Meloni – guidano partiti con una base giovanile che inneggia a Benito Mussolini e intona slogan nazionalsocialisti.
Fino a non troppo tempo fa i rapporti erano meno distesi. Nell’ottobre del 2021 una parte della comunità ebraica romana giudicò “inopportuna” la visita di Giorgia Meloni alla sinagoga per commemorare il rastrellamento nazifascista del ghetto del 1943. La presidente della comunità dell’epoca, Ruth Dureghello, chiamò personalmente Meloni per chiederle di rinviare la visita, cosa che la leader di Fratelli d’Italia effettivamente fece. I malumori della comunità romana riguardavano soprattutto l’inchiesta “Lobby nera” di Fanpage, in cui si documentavano i legami tra alcuni esponenti del partito e i circuiti neofascisti milanesi.
Da quando Giorgia Meloni è presidente del consiglio, tuttavia, viene accolta con i massimi onori agli eventi ufficiali della comunità ebraica, nei quali garantisce di “proteggere gli ebrei italiani” e sostiene che “la cultura ebraica è anche un pezzo della mia identità”.
Questo cambiamento è stato definito “impressionante” da Riccardo Pacifici, l’ex presidente della comunità romana che oggi è vicepresidente della European jewish association. “Il 90 per cento delle persone con cui parlo è profondamente grato” a Meloni, ha detto nel 2023 in un’intervista al quotidiano francese Le Figaro.
La frattura con la sinistra
L’avvicinamento tra la destra postfascista e una parte della comunità ebraica italiana – che conta circa 30mila persone – è stato determinato da vari fattori.
Innanzitutto è importante fare delle distinzioni: non tutte le persone di religione ebraica sono iscritte alle comunità, e quelle che sono iscritte non necessariamente partecipano attivamente. L’affluenza alle elezioni degli organi di rappresentanza rimane piuttosto bassa, sotto il 40 per cento.
In generale, le posizioni politiche degli ebrei italiani sono piuttosto simili a quelle del resto dell’elettorato. “Non è che si distinguono in modo particolare”, puntualizza a Internazionale David Calef di Mai indifferenti – Voci ebraiche per la pace. “In passato c’era chi votava per il Partito comunista, il Partito socialista, i Radicali, i Repubblicani. Ognuno di questi partiti ha avuto un suo momento di gloria. Ora i più votano per i due o tre partiti di maggioranza”.
Questa scelta riflette alcune tendenze di lungo corso, tra cui spicca la frattura tra gli ebrei e la sinistra italiana aperta dopo la guerra dei sei giorni del 1967 e peggiorata dopo l’attentato palestinese alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982, che causò il ferimento di più di trenta persone e la morte di Stefano Gaj Taché, un bambino di appena due anni.
L’attacco, ricorda Gad Lerner in un’intervista al quotidiano olandese NRC, avvenne “in un clima di manifestazioni di sinistra cariche di ostilità verso Israele, che aveva invaso il Libano”. Molti ebrei “si sentirono abbandonati” e posti “davanti alla scelta tra la sinistra italiana e Israele, scelsero Israele”.
Quella frattura non si è mai ricomposta del tutto. Riccardo Pacifici, che pure si professa “orgogliosamente antifascista”, dice di sentirsi “tradito” dalla sinistra italiana a causa delle posizioni dei suoi leader su Israele, che per lui – a maggior ragione dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 – sono “ipocrite” e tipiche di uno “sciacallaggio demagogico a danno anche della stessa causa palestinese”.
Il caso della Brigata Dario Vitali
L’identificazione con Israele, dicono a Internazionale gli attivisti del Laboratorio ebraico antirazzista (Ləa), ha assunto per molti ebrei italiani “un ruolo centrale nella costruzione della propria identità”.
Molti di loro, continuano gli attivisti di Ləa, hanno “legami affettivi e familiari con Israele, dove spesso risiedono loro parenti”. Altri guardano al paese come a un modello ideale, uno stato forte e dinamico a cui nulla può essere rimproverato.
Chi lo critica dall’esterno è spesso associato all’antisemitismo; chi lo fa dall’interno può essere considerato un traditore. Negli anni non sono mancati veri e propri atti di intimidazione e intolleranza contro militanti di sinistra ed esponenti noti dell’ebraismo italiano come Moni Ovadia e Giorgio Gomel. L’attacco del 7 ottobre 2023 e il massacro nella Striscia di Gaza hanno poi esacerbato quella che David Calef definisce la “postura muscolare” di una parte della comunità.
A questo proposito c’è un caso piuttosto significativo avvenuto pochi mesi fa al liceo classico Luciano Manara di Roma, nel quartiere di Monteverde. Nella notte tra il 21 e il 22 febbraio, nel cortile dell’istituto è comparso uno striscione con una stella di David e la scritta “Collettivo Manariota antifascista? Hai reso la scuola ‘Judenfrei’”.
Il messaggio era chiarissimo: il collettivo di sinistra della scuola non solo sarebbe antisemita perché schierato su posizioni fillopalestinesi, ma avrebbe “ripulito” la scuola dalla presenza ebraica con metodi nazisti (Judenfrei era un termine usato dal terzo reich).
L’azione è stata rivendicata da una nuova sigla, la Brigata Dario Vitali, con un messaggio accompagnato dall’immagine di una stella di David sotto un teschio con una rosa stretta tra i denti: un richiamo alla simbologia di corpi militari come la X Mas) e gli Arditi. Vitali, che era di religione ebraica, fu un eroe della Prima guerra mondiale ma pure un fascista della prima ora: tra il 1922 e il 1923 ricoprì la carica di commissario del Fascio di combattimento di Livorno. Appropriarsi di una simile figura storica è stata ritenuta un’operazione a dir poco discutibile.
La caduta della pregiudiziale antifascista
Per quanto possa essere circoscritto, l’episodio della Brigata Dario Vitali è significativo. “Oggi molti ebrei italiani”, spiegano gli attivisti di Ləa, “non hanno memoria diretta dell’esperienza del nazifascismo, e non si curano delle responsabilità politiche e morali degli eredi politici del fascismo”.
Il sostegno a Fratelli d’Italia non è stato scalfito nemmeno da un’altra inchiesta di Fanpage, “Gioventù meloniana”, in cui i giovani militanti di Gioventù Nazionale parlavano con disprezzo di “razza ebraica” e rivolgevano insulti antisemiti nei confronti della senatrice di Fratelli d’Italia Ester Mieli, che è stata portavoce della comunità ebraica romana.
Sul punto, Riccardo Pacifici rimarca a Internazionale di avere “piena fiducia” nei confronti di Giorgia Meloni che “ha più volte ribadito che non c’è più spazio per quel tipo di ideologia o nostalgismo”. A suo avviso è “più pericolosa la posizione assunta sul conflitto in Medio Oriente, dal 7 ottobre in poi, dai segretari dei partiti di centrosinistra” che “ha il sapore dell’odio antiebraico”.
Il sostegno incondizionato a Israele è dunque la vera discriminante, quella che fa passare in secondo piano l’antisemitismo – palese o mascherato – che circola ancora in certi ambienti.
Anche in questo caso siamo di fronte a tendenze di lungo periodo. Dal Movimento sociale italiano in poi, ha ricostruito il giornalista Valerio Renzi nella sua newsletter S’è destra, la destra postfascista italiana ha sempre sostenuto lo stato di Israele: prima in chiave anticomunista, poi in chiave antislamica specialmente dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti.
Negli ultimi anni la destra israeliana e quelle occidentali hanno poi stretto un patto politico piuttosto evidente. La semiologa Valentina Pisanty, esperta di negazionismo della Shoah e autrice del recente saggio Antisemita. Una parola in ostaggio, lo descrive a Internazionale in questi termini: “il governo israeliano dà ai leader di destra una patente di innocenza sul versante del razzismo e dell’antisemitismo, e in cambio riceve un robusto sostegno da parte di tutti questi partiti”.
I risultati di questo scambio sono spesso paradossali. I leader che agitano lo spettro del finanziere George Soros, oppure usano termini antisemiti come “Shylock”, non hanno alcun imbarazzo a rivendicare il loro impegno nella lotta contro l’antisemitismo.
Un errore strategico
Lo spostamento a destra del baricentro politico non è però condiviso dall’intera comunità ebraica italiana.
Come sottolineano gli attivisti del Laboratorio ebraico antirazzista, esiste “una fascia di ebrei italiani che si sente progressivamente meno rappresentata dalle comunità” ed è a disagio sia per la vicinanza con la destra postfascista sia per le posizioni totalmente acritiche verso Israele e la conduzione della guerra a Gaza.
Su quest’ultimo punto, lo scorso 26 febbraio Ləa e Mai indifferenti hanno promosso un appello – pubblicato sulla Repubblica e il manifesto – contro la “pulizia etnica” della Striscia sottoscritto da 220 personalità, tra cui Gad Lerner e le scrittrici Helena Janeczek e Anna Foa.
Le reazioni sono state varie: alcuni firmatari hanno ricevuto minacce e insulti sui social, condite dall’accusa di non essere “veri ebrei”. Il presidente della comunità romana Victor Fadlun ha invece parlato di un manifesto “orribile” che oltraggia “il sangue versato dai giovani israeliani per difendere non solo Israele ma i valori dell’occidente”. Riccardo Pacifici è stato ancora più netto, dicendo che quell’appello è “carta straccia menzognera” con cui “mi ci pulisco il sedere”.
Ma ci sono state anche numerose manifestazioni di solidarietà e inviti ad aprire spazi di dialogo e riflessione sull’ebraismo italiano.
Da allora, a Milano e Roma sono stati organizzati dibattiti pubblici intorno al documentario No other land, che racconta l’occupazione della Cisgiordania e ha vinto il premio Oscar. A Firenze si è tenuto un “incontro aperto sull’identità ebraica”, in cui si è parlato anche di come far rivivere la lunga tradizione dell’ebraismo di sinistra in Italia e di come provare a contrastare quella che gli attivisti di Ləa definiscono una “deriva destrorsa”.
Al di là delle opinioni politiche e delle amicizie personali, conclude Calef, “che gli ebrei accettino di allearsi con partiti che sono ferocemente xenofobi, mascherano il proprio antisemitismo e discriminano gruppi etnico-religiosi mi sembra un errore strategico. È finita male già una volta”.
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