L’ambient jazz esisteva prima degli anni duemila, basta riascoltare In a silent way di Miles Davis o i dischi di Sun Ra. Ma il suo spettro spesso sembrava troppo ampio per essere incapsulato in un’unica cornice. Space 1.8, l’album di debutto del 2021 dell’artista caraibico-belga Nala Sinephro, presentava un diverso tipo di spazio aperto pronto per l’esplorazione, in cui i toni ambient lenivano l’angoscia claustrofobica nata dopo la pandemia. Il seguito, Endlessness, è l’inverso: è in costante movimento, insegue alti e bassi, ma torna sempre al punto d’origine. Presentato come dieci tracce distinte, ciascuna intitolata Continuum, Endlessness è un unico lungo pezzo, con ogni capitolo costruito su un arpeggio di sintetizzatore. Sinephro e i suoi collaboratori creano un viaggio dinamico, che cambia continuamente ma collega sempre il punto da dov’è partito con quello dove sta andando. Il lussureggiante e delicato Continuum 2 cresce lentamente in un doloroso e splendido pezzo jazz orchestrale, ricoperto da una serie di archi e da un solitario e bellissimo assolo di sassofono. Continuum 5 sembra un’introduzione al groove sincopato di Continuum 6, uno dei brani più vivaci, dove i sintetizzatori diventano più densi mentre il ritmo aumenta rapidamente. Dopo essere entrato e uscito da motivi ricorrenti, il disco raggiunge un climax trionfale con Continuum 10: una cacofonia di chiusura caotica, ma gioiosa.
Jeff Terich, Treblezine
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La prima parte della carriera dei Tindersticks potrebbe sembrare un’occasione persa per conquistare un pubblico più ampio. Anche se nel 1997 Curtains era addirittura entrato nella top 20, la band è rimasta amata dalla critica, ma più seguita nell’Europa continentale che a casa sua, nel Regno Unito: erano troppo crepuscolari e idiosincratici. Questo andamento però è servito per la seconda parte della loro carriera, ricominciata nel 2008. Tornando sulle scene non hanno mai cercato di somigliare a ciò che erano stati ma hanno continuato per la loro strada sfornando dischi eccezionali. Se Distractions, del 2021, abbondava in synth, campionamenti e rumore, il nuovo Soft tissue è un’altra cosa. È un lavoro sommesso: sembra concepito nelle prime ore del mattino, in penombra, ma trasmette un calore avvolgente, radicato nel soul degli anni settanta. Le atmosfere diventano però anche lugubri, a fare da sfondo a un amore per le piccole cose come antidoto agli spettri del ventunesimo secolo. Il suono dell’album riflette questo spirito, regalandoci dettagli piacevoli e discreti. La band londinese esiste in un mondo tutto suo, distante dalla mode del momento: è difficile trovare qualcuno con cui confrontarla, ma era così già trent’anni fa.
Alexis Petridis, The Guardian
Tra il 2004 e il 2009 Rachel Podger e Gary Cooper hanno registrato questa impeccabile integrale delle sonate per violino e piano di Mozart su strumenti antichi, ora raccolta in un cofanetto di otto cd dalla Channel Classics. In questi anni il nostro entusiasmo non è diminuito: siamo sempre stupiti dalla qualità del dialogo tra i due musicisti, il loro fraseggio schietto, la vivacità ma anche il lirismo. Oltre alle sonate i due musicisti ci presentano delle variazioni, delle quali offrono una lettura perentoria, quasi epica, dalla varietà di colori strabiliante. Ascoltate l’irresistibile Adagio della sonata k 7, la sua morbidezza infinita e il suo linguaggio impeccabile: il Mozart di sette anni è trattato con la stessa serietà di quello maturo e raggiunge le stesse vette. In tutti i pezzi l’equilibrio, le luminose prospettive sonore (ma anche i loro incupimenti) e la gestione dei tempi non solo contribuiscono a realizzare la migliore integrale discografica su strumenti d’epoca, ma sono anche un risultato importante dell’interpretazione mozartiana.
Loïc Chahine, Diapason
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