“Dopo un mese di scontri a Khartoum, mi sono trasferito insieme alla mia famiglia a Umm Ruwaba, la città in cui è nato mio padre. Da allora ci siamo spostati più volte alla ricerca di un luogo sicuro e un modo dignitoso di guadagnarci da vivere”. Con queste parole comincia il racconto di Ammar Yassir, fotografo sudanese nato nel 2005. Nel suo lavoro, I will never find home, ha sovrapposto immagini d’archivio della sua famiglia con foto scattate nel corso del suo viaggio alla ricerca di un posto sicuro, lontano dalla guerra civile tra l’esercito regolare sudanese e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf). Cominciato nell’aprile 2023, il conflitto ha causato decine di migliaia di morti e costretto milioni di persone a lasciare le loro case.

Dopo vari mesi di viaggio Yassir ha sentito il bisogno di andarsene dal Sudan e ha proseguito da solo, arrivando a stabilirsi in Uganda. Questo progetto è nato dal desiderio di recuperare i ricordi della sua infanzia e di capire cosa significa avere una casa quando si vive un’esperienza in cui si è costretti ad abbandonarla. “Sono partito dal Sudan pieno di dolore e paura. Ma stare lontano dalla mia famiglia è stato molto più duro che stare lontano da una zona di guerra”, ha detto.

Recuperando le foto del padre, Yassir ha creato una visione unica, caratterizzata dalla sovrapposizione di immagini che fanno da ponte tra la sua vita prima del 15 aprile 2023, quando è fuggito da Khartoum, e le varie tappe del suo viaggio in cerca di un futuro migliore. Ogni immagine è accompagnata da un diario scritto, in cui racconta i propri sentimenti, i nuovi incontri e i ricordi. “In questi due anni ho visto le Rsf trasformare Umm Ruwaba in una città fantasma; mi sono sentito indesiderato a Wad Madani a casa dei miei parenti e smarrito a Juba dove vivevo illegalmente. Ripercorrendo questi stati d’animo, ho capito che non so più cosa sia una casa, così ho cominciato a cercarla disperatamente, nei miei pensieri e nelle mie emozioni”. ◆

“Questa doppia esposizione mostra in basso un panorama della città di Khartoum nel maggio 2023 e, in alto, un’immagine rovesciata di Juba nell’agosto 2024. Sono stato a Juba, la capitale del Sud Sudan, per sette mesi, ma mi sono sempre sentito uno straniero. Non potevo fare il mio lavoro a causa delle restrizioni che mi impedivano di fare fotografie per strada e mi mancava molto la mia famiglia. Volevo nuove opportunità, uno spazio per esplorare le mie idee e la mia passione, e un modo per non sentirmi più come rinchiuso in un’enorme gabbia. Mi sentivo come un prigioniero che ha la chiave della sua cella, ma non sa bene come usarla”.
Verso Wad Madani, novembre 2023. “Sul paraurti di un tuk tuk ho letto questa scritta: ‘Sicuramente torneremo’. Era uno slogan usato da molti sudanesi, un’espressione semplice ma potente della loro speranza di tornare un giorno a casa. Io invece quella speranza l’avevo persa. A Wad Madani mi sono ritrovato di nuovo sfollato. Questa volta però ero solo, alla ricerca di un modo per guadagnarmi da vivere e aiutare la mia famiglia in quanto figlio maggiore”.
L’ombra di Siddig, un rifugiato sudanese che Yassir ha incontrato in Svizzera nel giugno 2025. “Siddig è arrivato a Ginevra via mare dalla Libia. È stato ricercato dalla polizia italiana fino a quando non ha raggiunto la Svizzera e ha chiesto asilo. Ha cercato di convincermi a restare lì, ma anche se ho amato la vista del lago, non mi sono sentito a casa”.
Rabak, dicembre 2023. “Quando sono andato a Rabak dopo mesi che non vedevo la mia famiglia, speravo di riunirmi a loro. Invece li ho trovati impegnati a preparare la partenza per il Sud Sudan, alla ricerca di scuole migliori per i miei fratelli e della possibilità di una vita più stabile. Questo autoritratto cattura il momento in cui siamo saliti su un veicolo diretto a Renk. Non volevo andare, ma non potevo lasciarli affrontare questo viaggio da soli”.
Gennaio 2025. “Dall’inizio di questo viaggio sto cercando cosa significa la parola casa per una persona che l’ha persa. Per quasi due anni non ho avuto paura di restare senza casa, non era la prima volta che dormivo per strada. Ero già stato nei campi profughi e da poco sono diventato ufficialmente un rifugiato. Le cose stanno andando meglio e ho trovato un posto nuovo dove vivere, ma l’unica cosa a cui riesco a pensare è la mia infanzia, quando non avevo dubbi, responsabilità, paura del domani”.
Umm Ruwaba, maggio 2023. “Umm Ruwaba è la città del Kordofan Settentrionale da cui vengono mio padre e suo padre prima di lui. Sul muro del cortile davanti alla nostra casa ci sono la sedia di mio nonno, le sue scarpe e uno sgabello. Sul muro ho sovrapposto una seconda foto: un’immagine che mio padre ha scattato nel 2014 a degli ospiti che erano in casa”.
Renk, Sud Sudan. “Il giorno dopo il nostro arrivo a Renk abbiamo dovuto aspettare per registrarci come rifugiati. Non so chi sia l’uomo sullo sfondo della foto, ma dalla sua espressione si capisce che sta pensando a tante cose nello stesso momento; è quello che facevo anche io, mentre pensavo a Wad Madani devastata dalle Rsf. È lì che era rimasta la mia attrezzatura fotografica. In primo piano c’è mio fratello Mujtaba, che ha due anni meno di me: era sfinito, lo si vede dai suoi occhi. Eravamo stanchi di stare in piedi sotto il sole, e l’ombra di una tenda ci sembrava una salvezza”.
“Mahmoud e Saad sono i miei due migliori amici del liceo. La foto è quella dell’ultima volta in cui siamo stati tutti insieme, eravamo all’università di Khartoum. Stavamo salutando Mahmoud, che nel 2022 è partito per andare a studiare in Egitto. Dopo l’inizio della guerra Saad è stato costretto a trasferirsi con la sua famiglia nello Stato Settentrionale. Nel maggio 2025 ho chiesto a entrambi di riassumere in una parola come si sentivano. Saad ha detto ‘solitudine’ e Mahmoud ‘smarrito’. È bello che loro sappiano esattamente cosa provano”.
Kampala, settembre 2024. “Sono arrivato a Kampala, in Uganda, dove in soli dieci giorni ho scoperto una città affollata, ma tranquilla. Pensavo fosse una specie di ‘città del peccato’ e invece quasi subito mi sono sentito a casa”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1644 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati