09 maggio 2015 13:28

L’Italia è soprattutto un luogo per le vacanze. Anche i viaggiatori del grand tour dei secoli passati, attirati dall’idea di immersioni nella cultura classica, finivano sedotti dal sole cocente e dalla brillantezza del mare. Perfino il serioso Jean-Paul Sartre, che condannava la svendita di Roma ai turisti, ammise poi di essersi trovato in Italia in “flagrante delitto di turismo”.

Nel novecento, scrittori e artisti hanno continuato a visitare l’Italia cogliendone, tra miseria e povertà, il lato ludico. Però, nella capitale, romani e visitatori hanno sempre sognato il mare. Quando nel 1957 lo scrittore statunitense John Cheever visse qualche mese a Roma, il giorno dopo la nascita del figlio si affacciò a guardare la città: “Mentre guardo giù in strada dal balcone bramo la libertà dei giovani maschi sulle decappottabili che vanno giù a Ostia a scatenare l’inferno, e noto che un uomo può ricevere quasi tutto ciò che il mondo ha da offrire e continuare ugualmente a desiderare altro”. Anche le città aspirano sempre a qualcosa che non hanno, Roma ha spesso sognato il mare.

Dov’è, e come si raggiunge il mare più vicino a Roma? Nell’attesa eterna della pista ciclabile che la colleghi al mare, è possibile arrivare in bicicletta a Ostia, la spiaggia più vicina? In che modo il tragitto fino al litorale è la parabola dell’Italia che si autorappresenta come meta della vacanza perfetta?

Partenza. L’acqua del Tevere

“Se devi forare, il tratto migliore è questo”. Lungo l’argine del Tevere che serpeggia per la città, la domenica mattina la ciclabile è un viavai di ciclisti esperti in tenute fosforescenti e muniti di attrezzi. Nessuno di loro va a Ostia. Accanto all’acqua che scorre, tra un pescatore e l’altro, pedalano da Castel Giubileo a Primavalle, e ritorno. Per chi invece decidesse di puntare verso il mare, non resta che montare sui pedali molto presto e, da qualsiasi punto della città, scendere fino al Tevere, dove corre la pista che fiancheggia il fiume.

Venendo da nord, prima di raggiungere l’isola Tiberina, in alcuni tratti si ha l’illusione di procedere alla velocità dei battelli, zigzagando tra i volti paonazzi di corridori solitari che fanno jogging con cuffie e misuratori di battiti cardiaci.
Dopo le rapide, i pioppi si mostrano addobbati di buste di plastica stracciate, decorazioni che evocano un Natale sciatto e spoglio. Il sole filtra dalle loro creste alte, mentre il percorso è foderato da un sottile strato di sabbia rimasta dalle piene invernali. Qualcuno affida la bici ai tronchi, si sfila il caschetto e si mette in posa per scattarsi selfie davanti al monumentale gazometro, simbolo di culto della città postindustriale.

“Arrivare all’Eur è stato un attimo, hai visto? Neanche un’ora e siamo già qui”.

La terza Roma: la riva di Ostia

È l’ultimo giorno dell’anno 1925. Al Campidoglio, Benito Mussolini pronuncia un discorso ambiguo e solenne che resterà nell’aria per decenni. È il progetto di espandere la città di Roma fino al mare. Una capitale dell’impero, per essere tale, deve avere una spiaggia e uno sbocco tra le onde. “La terza Roma” , annuncia Mussolini “si dilaterà sopra altri colli lungo le rive del fiume sacro sino alle sponde del Tirreno”.

L’idea è di estendere la città fino alla spiaggia di Ostia, che da un anno appena è collegata con una ferrovia, la Roma-Ostia (costruita in dieci anni di lavori). La frase di Mussolini sulla terza Roma continua così: “Voi toglierete la stolta contaminazione tranviaria che ingombra le strade di Roma, ma darete nuovi mezzi di comunicazione alle nuove città che sorgeranno in anello intorno alle città antiche. Un rettilineo che dovrà essere il più lungo e il più largo del mondo porterà l’ansito del mare nostrum da Ostia risorta fino nel cuore della città”.

La costruzione di questo anello di “nuove città” intorno a quella antica ha fatto interrogare a lungo storici e architetti. Cosa intendeva Mussolini? Voleva che Roma dilagasse fino alla sabbia marina, o che sorgessero piccoli nuclei autonomi, come poi è avvenuto? All’epoca l’unica borgata esistente tra la città e la battigia era Acilia.
Tra l’altro, il discorso di Mussolini era in linea con il progetto dell’ingegnere Paolo Orlando che “dall’inizio del secolo aveva creato comitati e società e bussato invano a tutte le casse possibili per collegare la città al mare con porti, canali, ferrovie, autostrade, zone industriali, quartieri balneari” (Italo Insolera, Roma fascista).

Uscita di sicurezza dalla città

Il punto più pericoloso del tragitto in bicicletta Roma-Ostia è dove la città si esaurisce. Le ultime anse cittadine del fiume sono circondate da pratoni e baracche. La vegetazione ha provato a volte a invadere la pista che corre rossastra sotto il cielo di aprile, ancora incerto se offrire nuvole minacciose o il sole pieno. Ma poi, quando gli ultimi palazzi rivestiti di parabole e i tanti autolavaggi sono già un ricordo, sotto al grande raccordo anulare, il percorso si fa davvero misterioso. Meglio chiedere.

“Sa come si procede? Stiamo andando a Ostia”.

“La via del mare è troppo pericolosa. Rischiate di morire”.

“Quindi dove si va?”.

In tutti i viaggi, dai più avventurosi a quelli di città, nei momenti di esitazione, si palesa sempre un viaggiatore esperto. Una persona del luogo che conosce scorciatoie, strade segrete e itinerari ignoti anche alle mappe. Nel momento di sconforto, l’angelo del viaggiatore aggiunge immancabilmente: “Se volete, potete seguirmi per un tratto”.

La sua maglia gialla riflettente acceca gli automobilisti, la sua bici da corsa sembra appena uscita da una gioielleria. Si getta con destrezza da una carreggiata all’altra su una rampa che monta su uno snodo fatto di corsie ad alta velocità. Stende il braccio, attraversa, consiglia di affiancarsi il più possibile al guardrail. “Io ora giro a sinistra, ma voi dovete andare avanti e girare alla prima a destra. Dove è indicata Vitinia. Ci saranno un po’ di saliscendi bruschi. Vi conviene scendere dalla bici”.

Eccoli, i colli di cui parlava Mussolini. Scartata la trafficata via del mare e l’itinerario che segue tutto il Tevere fino alla foce, infatti, non resta che arrampicarsi per la strada di Vitinia.

Scegliendo di tagliare per le borgate, nate una dopo l’altra, si affronta la prima salita. Aveva ragione l’angelo: è ripida al punto da far scendere dalle selle.

L’autostrada del mare

Il 28 ottobre 1928 Mussolini inaugura l’autostrada Roma-Ostia. Le automobili erano ancora poche. L’unica altra autostrada in Italia era la Milano-Laghi, secondo alcuni la prima autostrada al mondo. La Roma-Ostia univa simbolicamente il Campidoglio al mar Tirreno. Il cuore dello stato con la costa italiana. Il centro amministrativo con i castelli di sabbia.

Al primo congresso dell’Istituto di studi romani, Virgilio Testa, capo dell’ufficio studi del governatorato, propose l’espansione della capitale verso il mare.
Dieci anni dopo Mussolini approva il progetto della via Imperiale, l’attuale Cristoforo Colombo, realizzando il rettilineo che aveva annunciato nel discorso del 1925.

Ostia, agosto 2012. (Filippo Massellani, The New York Times/Contrasto)

Pecore (e centrali) elettriche

Un’auto nera identica a quella del telefilm Supercar, con la targa della Florida, è abbandonata da chissà quanti anni in un terreno chiazzato di prato e fango, con mucche e pecore che sognano beate fra i tralicci dell’alta tensione, in un terreno che va da Vitinia a Malafede.

In un passato remoto, queste aree non erano ben frequentate, restano nomi come Malafede o Ponte Ladrone. Un sentiero sterrato taglia il campo da parte a parte. Oltre un cancello di ferro la collina si arrampica in alto fino alla fila di case prefabbricate tutte uguali di un campeggio.

Il campo è recintato da una rete metallica completamente arrugginita, senza varchi. Una dopo l’altra, solleviamo le bici da terra e ce le passiamo in aria così che scavalchino la rete. Alla fine di un ultimo appezzamento di prato alcune pietre di un muro di tufo sono venute giù. Calando adesso le bici per un salto di un paio di metri si torna finalmente su un po’ d’asfalto. Via Marcello Mastroianni.

La lunga strada di sabbia

L’ultima scena di Otto e mezzo di Fellini è ambientata sulla spiaggia di Ostia. Mentre la Dolce vita celebra Fregene. Nell’estate del 1959 Pier Paolo Pasolini percorre tutta la costa italiana a bordo di una Fiat Millecento per scrivere un resoconto per la rivista Successo. È l’anno del suo secondo romanzo, Una vita violenta. Gli scritti del viaggio che va da Ventimiglia alla Sicilia e che dalla Sicilia risale fino a Trieste sono stati poi raccolti nel libro La lunga strada di sabbia. Quando Pasolini arriva sulla spiaggia di Forte dei Marmi, a giugno, la trova deserta: “La sabbia è liscia, sembra il pavimento di una sala da ballo”. Lì incontra Gianni Agnelli, perché la famiglia Agnelli ha una villa al Forte. Secondo Pasolini “l’acqua più bella d’Italia è sotto gli scogli tra Calafuria e la Quercianella. Anche a Capri”, aggiunge”ci sono degli scogli così fantastici e dell’acqua così trasparente: ma là qualche avanzo di pasti, qualche cartaccia c’è sempre”.

L’autore di Ragazzi di vita arriva a Fregene proprio mentre Fellini sta girando una scena della Dolce vita. Quando si ferma a Ostia piove. Scrive: “I villeggianti sono stretti nei bar, sotto i capanni, con la coda tra le gambe. Gli stabilimenti, vuoti, paiono immensi”. A Ischia vuole “fare il bagno dove nessuno lo fa. Mi arrampico fino dove si soffrono le vertigini, per una parete ch’è uno scoscendimento infernale. Il sole infuria”. Sull’isola, sul molo di Casamicciola, alza gli occhi e avvista Luchino Visconti. Ogni intellettuale italiano ha uno sguardo sul mare. Le finestre di Eugenio Montale sul mare ligure che “livido, muta colore”, la casa di Alberto Moravia tra le dune di Sabaudia.

Il viaggio di Pasolini prosegue verso sud e poi risale lungo l’Adriatico: “Lo sperduto Salento. Severo come una landa settentrionale, coi suoi paesi in sciopero secolare; poi l’esplosione di Brindisi, la più caotica, furente, rigurgitante delle spiagge italiane”. Alla fine entra in riviera, dove i bagnini fanno i galanti con le tedesche. Per Pasolini finiscono le scoperte e cominciano i ricordi, le sue villeggiature a Riccione: “Il gelato lo prendevo tutti i giorni, tutto era qui più assoluto e più eterno. Le giornate erano lunghissime. Delle entità dotate di vero valore e di vera durata: il periodo delle vacanze era un periodo della vita”. La sovrapposizione tra l’Italia e l’estate è totale, arrivato a Trieste: “Qui finisce l’Italia, finisce l’estate”. Si tratta dell’estate del 1959, il premio Strega è assegnato a una pietra miliare dell’immaginario sull’Italia: Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Da Malafede ad Acilia

Altri colli impietosi. Dopo le sorprendenti linee della chiesa ultramoderna di San Pio a Malafede, appare improvvisamente la borgata di Casal Bernocchi. La primavera ha ingentilito i lati delle strade, con specie diverse di pruni fioriti, tutti rosa o bianchi. Nei giardini le vecchie Cinquecento Fiat dormono scassate. Gommisti. Ricariche di aria condizionata. Un uomo in divisa militare affacciato a un balcone.

“Sai perché i balconi vengono costruiti con i muri pieni invece delle ringhiere?”.

“No”.

“Così si possono levare subito le impalcature e continuare i lavori”.

Andando da Roma a Ostia in bicicletta, superata la borgata Casal Bernocchi, la prima volta che si percepisce la presenza del mare è ad Acilia, a via di Saponara. Quando lo sguardo si spinge in avanti, l’occhio scopre all’orizzonte la terra che prende la tipica pendenza di quando sta per infilarsi sotto la superficie del mare. Manca ancora qualche chilometro, manca ancora qualche mese alla calura che porterà tutti sulle spiagge. Ancora qualche strada di borgata, con qualche aquila di pietra che sorveglia i cancelli. Ecco Acilia, il borgo urbano dove Federico Fellini girò Le notti di Cabiria. La borgata conserva ancora le tipiche “casette Pater”, bifamiliari di legno pressato e cemento. È decisamente il momento per fermarsi e bere.

Piccole vacanze

Il più grande cantore delle vacanze italiane è Alberto Arbasino. Ha raccontato tutte le spiagge e le tipologie di villeggiature. Nel suo primo libro, Piccole vacanze, racconta di biciclette, abbronzature, ville coperte di bougainvillee, farfalle notturne, birre bevute nelle terrazze del Grand Hotel, ombrelloni: “Addio bosco tennis piscina ore pungenti, giorni che da oggi rimpiangerò, addio legni marci graffiati coi chiodi, scritte di cuori e di evviva, cabine bucate per spiare le belle, addio orinatoio rugginoso, addio crocicchi illuminati, addio Casa Lunga, addio fiori scale orologio immobile giochi perduti”.

Nel suo romanzo più celebre, Fratelli d’Italia (del 1963), i personaggi sono presi da continui spostamenti per l’Italia, col risultato di un’epopea. Quando il romanzo si apre, l’estate sta per cominciare: “Siamo qui a Fiumicino aspettando due amici di Antonio che arrivano adesso da Parigi, un francese e un americano; e non abbiamo ancora avuto un momento per parlare della nostra estate”.

Dal dopoguerra in poi, più ci si avvicina al boom e agli anni sessanta, più il mito del mare e delle vacanze diventa una delle chiavi per trasmettere il livello di benessere del paese. È tutta una vacanza romana a bordo di una Vespa che finisce con bagni nel Tevere. Nella pellicola Il sorpasso di Dino Risi (del 1962), la decappottabile sorpassa gli altri italiani sull’Aurelia, nel giorno di ferragosto.

Avvistare il mare

Dopo quaranta chilometri, la mattina è al culmine. Di colpo, sulla sommità di una strada in leggera pendenza si può gridare di stupore: “Il mare, il mare”. Nel canale dei Pescatori l’acqua brilla e motoscafi e gommoni, ancora avvolti dai teloni, promettono l’arrivo della stagione estiva. Prima ancora di arrivare sul lungomare, altri ciclisti, venuti da chissà dove, si rifocillano nella piazzetta del villaggio dei Pescatori, un piccolo centro con case simili a quelle del vecchio quartiere di Garbatella. A quest’ora i camerieri servono gamberi e calamari non surgelati.

Nel viaggio da Roma a Ostia, oltre alle file di eucalipti, si incontrano tutti gli ostacoli e le contraddizioni italiane. Nel paese delle meraviglie, la strada per raggiungere la bellezza deve sempre divincolarsi tra rifiuti, abusi edilizi, cattiva manutenzione, tante bottiglie di plastica e un interminabile filo spinato che recinta tutta la penisola. È lo squallore che fece inorridire tanti viaggiatori. Dopo la sua visita italiana, lo scrittore statunitense Nathaniel Hawthorne concluse: “Io detesto Roma e sarò contento di salutarla per sempre”.

Ostia, il traguardo fasullo

Ostia non è Coney Island, la spiaggia di New York. Eppure, guadagnando con le ultime forze la sua mitica rotonda, l’insoddisfazione di aver raggiunto la meta può dare la stessa delusione dei ragazzi del libro di Sol Yurick, I guerrieri della notte. Dopo una notte di scontri con le bande rivali per tornare nel loro quartiere, all’alba i Warriors emergono dalla metropolitana alla fermata Coney Island e si guardano intorno. La vasta spiaggia desolata è dominata dalla ruota del luna park. “Bisognerebbe andarsene per sempre”, dice il protagonista.

Lo sconforto può prendere forme diverse. Arrivati sulla spiaggia di Ostia, i ragazzi del film di Nanni Moretti Ecce bombo, aspettano tutta la notte al freddo per vedere il sole sorgere dal mare. Ma la mattina all’orizzonte non compare e la luce li sorprende alle spalle.

Dopo aver cenato al ristorante Pommidoro nel quartiere San Lorenzo di Roma, Pier Paolo Pasolini, la notte tra il 1 e il 2 novembre 1975 non rientra a casa. I carabinieri incrociano una Giulia 2000 Alfa Romeo Gt grigia sul lungomare Duilio di Ostia. C’è un inseguimento, il ragazzo a bordo cerca di fuggire. È l’auto di Pasolini. Alle sette del mattino arriva la comunicazione dal commissariato di Ostia: è stato trovato un cadavere all’Idroscalo. Nessuno sa se Pasolini avesse mai frequentato l’Idroscalo. Nella biografia scritta da Enzo Siciliano, Vita di Pasolini, si legge: “Il paesaggio di baracche, pozzanghere, immondizie pare intoccato: un luogo di rifiuto e di emarginazione, un luogo di macerie. Nel suo orrore, l’Idroscalo è anche un luogo di pietà, un luogo religioso. I suoi connotati sono ormai solarizzati dal destino che vi si è compiuto”.

Il mare di Roma

Dalla rotonda di Ostia al mare sono pochi passi. Legate le bici, la spiaggia è spruzzata di rifiuti e corpi ancora vestiti, carni bianche, venditori ambulanti, lavori in corso. In un primo pomeriggio ventoso, molte famiglie e pochissimi bikini. Sullo sfondo, le esercitazioni delle scuole di vela. Per essere attratti dall’acqua bisognerebbe nuotare fino a laggiù, o camminare verso sud, dove sono le dune e un mare più ospitale. Da maggio in poi ogni fine settimana la spiaggia si riempirà molto più di così, fino a sparire.

“È spaventoso questo mare vicino Roma”, dice il narratore di Fratelli d’Italia. I protagonisti la mattina si svegliano tardissimo e passano all’Eur. Si lanciano sulla Cristoforo Colombo con le spider a centocinquanta all’ora. Arrivati: “Il mare è biancastro, sabbioso, tante volte sporco, con sabbia quasi nera e delle erbe ripugnanti che vengono su per le gambe, che schifo. Un giorno sì e uno no la sabbia è addirittura piena di meduse morte”.

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