18 maggio 2018 12:14

Ma cos’è questo contratto di governo? Un libro dei sogni o un elenco di misure foriero di incubi? Quello che “il signor Luigi Di Maio” e “il signor Matteo Salvini” si accingono a firmare, intanto, rappresenta già nella forma un’innovazione. Mai prima infatti nell’Italia repubblicana è nato un governo dopo un’estesa – ed estenuante – discussione tra i futuri partner sulle linee programmatiche dell’esecutivo. In passato l’oggetto delle discussioni tra le forze politiche era del tutto diverso, ci si concentrava sulle formule, sulle alchimie, sulla distribuzione delle cariche tra partiti (e correnti).

In quest’ottica il contratto rappresenta un indubbio progresso. Fa sapere ai cittadini in quali campi, con quali misure il futuro governo intende agire. E lo fa con un programma assai ambizioso, un programma che raccoglie il nucleo forte delle promesse elettorali del Movimento 5 stelle (M5s) e della Lega.

“Un governo del cambiamento”: è questo quello che cercano di far nascere secondo le parole di Di Maio mentre il Blog delle stelle parla addirittura della “più importante novità politica degli ultimi vent’anni”. Infatti misure come la flat tax o il reddito di cittadinanza, una volta realizzate, rappresenterebbero un forte cambiamento – un cambiamento, va subito aggiunto, che più che una sintesi rappresenta una sommatoria degli approcci politici delle due forze.

  • La flat tax. Piace tanto alla Lega, piace molto meno ai cinquestelle. È una misura da sempre tifata da forze di destra come i repubblicani statunitensi, da economisti ultraliberisti come Milton Friedman, una misura che favorisce palesemente i redditi medio-alti. Non a caso uno dei commentatori sul Blog delle stelle si lamenta del fatto che lui, dipendente, in futuro pagherebbe le tasse come prima mentre il suo datore di lavoro avrebbe un fortissimo risparmio, aggiungendo un sarcastico “Wow! Bello!”. È una misura che dà molto a tanti cittadini del nord, in proporzione assai meno a quelli del sud.
  • La revisione della legge Fornero. Anche questa misura è caldeggiata dalla Lega, e anche questa misura dovrebbe incidere più al nord che al sud, più in quelle regioni dove si concentrano lavoratori che possono raggiunger la “quota 100” (la somma tra età anagrafica e anni contributivi).
  • Il reddito di cittadinanza. È il cavallo di battaglia dell’M5s, è la proposta che ha permesso al movimento l’affermazione straordinaria al sud. Non stupisce che qualcuno abbia visto il reddito di cittadinanza come il classico intervento assistenzialista. “Vuol dire dare i soldi alla gente perché non lavori”, afferma Matteo Renzi, bollando la misura come aiutino ai fannulloni. Ma non è così. Il reddito di cittadinanza altro non è che un sostegno a chi il lavoro non ce l’ha, un sostegno vincolato a precisi doveri (accettare offerte di lavoro, partecipare a corsi di qualificazione, fare lavori socialmente utili), un sostegno che esiste nella quasi totalità dei paesi dell’Europa occidentale. È, se vogliamo, una misura “di sinistra” che colma una grave lacuna del sistema di stato sociale italiano.

Questa logica di scambio – a te la flat tax, a me il reddito di cittadinanza – pervade tutto il contratto di governo. Così la Lega può portare a casa come trofeo un bel po’ di misure contro l’immigrazione come il rimpatrio di massa di 500mila immigrati irregolari o la costruzione di nuovi centri di permanenza temporanea o – in un’ottica palesemente xenofoba – la concessione di posti gratuiti negli asili nido solo a famiglie italiane (come se gli stranieri non lavorassero, non pagassero le tasse). Invece i cinquestelle si possono rallegrare di alcune misure tese a rafforzare la legalità come il “carcere vero” per i grandi evasori, come la riforma delle prescrizioni, come (anche se definita in maniera fumosa) una legge sul conflitto di interesse.

Resta il segreto dei contraenti, cioè come Di Maio e Salvini pensano di fare queste cose insieme alla Germania, l’Austria o la Finlandia

Secondo una battuta tedesca “non si possono fare le due cose insieme, promettere e mantenere”: sta qui il grande punto interrogativo del contratto proposto da M5s e Lega. Quel cambiamento tanto sbandierato infatti costerà decine di miliardi di euro: la flat tax arriva a costare 50 miliardi di euro all’anno (anche presumendo un’economia rivitalizzata ne rimarrebbero comunque 25), il reddito di cittadinanza costerebbe sui 17 miliardi, la revisione della legge Fornero almeno 10 miliardi ma alcuni esperti parlano di una cifra ben più alta. Tutte le cose insieme si potrebbero fare soltanto in deficit – e qui siamo al problema Europa.

Accrescere il deficit, aumentare il debito vorrebbe dire andare subito in conflitto con l’Ue e l’Eurogruppo. Nessun problema: secondo il programma di governo “si ritiene necessario rivedere, insieme ai partner europei, l’impianto della governance economica europea (politica monetaria unica, patto di stabilità e crescita, fiscal compact, meccanismo europeo di stabilità eccetera)”. Resta il segreto dei contraenti, cioè come Di Maio e Salvini pensano di fare queste cose insieme alla Germania, ai Paesi Bassi, l’Austria o la Finlandia. E un secondo segreto: cosa intendono fare di fronte a un possibile no dei partner europei.

Lo stesso dicasi per le politiche di immigrazione. La futura coalizione vorrebbe cestinare l’accordo di Dublino (ha buoni argomenti dalla sua parte, come del resto sull’impianto della governance economica), ma di nuovo tiene per sé un eventuale piano B in caso di un probabile diniego da parte degli altri governi europei.

Di conseguenza un futuro governo giallo-verde ben presto potrebbe trovarsi in una posizione assai scomoda. Parte avendo creato aspettative molto alte con la sua promessa di cambiamento radicale, ma ben presto si scontrerà con il principio di realtà.

Chi tra le due forze rischia di più è l’M5s. Fra i suoi elettori, soprattutto al sud, ha creato aspettative spesso messianiche, ma allo stesso tempo Di Maio si è distinto per una promessa, rivolta ai partner europei, di responsabilità. Potrà trovarsi ben presto nel dilemma di dover deludere una delle due parti, o i suoi elettori o i partner europei. E a differenza della Lega non dispone di un partito strutturato con una classe politica navigata. Adesso i cinquestelle hanno l’opportunità di “cambiare l’Italia”. Ma probabilmente è la loro unica chance.

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