Nell’hotel Venezia di Kiev si diffonde il pianto di un neonato. In una grande sala con la volta che poggia su semicolonne riccamente ornate ci sono 46 lettini e altrettanti neonati che i genitori non hanno fatto in tempo ad andare a prendere prima dello scoppio della pandemia. Come all’opera, la sala è illuminata da un grande lampadario di cristallo e da lampade a muro.

“Qui ci sono bambini di tutti i paesi: Stati Uniti, Italia, Spagna, Regno Unito, Cina, Francia, Germania, Bulgaria, Romania, Austria, Messico e Portogallo”, spiega un’infermiera nel video che qualche tempo fa è stato diffuso dai mezzi d’informazione di tutto il mondo, suscitando un nuovo dibattito sulla pratica della gestazione per altri, che in Ucraina è perfettamente legale.

Nel filmato, con l’accompagnamento di una musica rilassante, si vedono tate con le mascherine protettive che si prendono cura dei neonati. Con voci carezzevoli assicurano che la salute dei bambini è nelle mani di pediatri e infermiere. “Cari genitori, se non potete attraversare le frontiere e venire in Ucraina a prendere ora il vostro bambino, non perdetevi d’animo! Alcuni paesi hanno già cominciato a collaborare con i propri cittadini e stanno avviando la procedura legale per la consegna dei neonati”, informa una voce.

Non si sa quanti bambini nascano ogni anno in Ucraina grazie alla gestazione per altri. Gli esperti parlano di circa cinquemila nascite legali. Ma le cifre reali non le conosce nessuno. Secondo Ludmila Denisova, commissaria del governo di Kiev per i diritti umani, prima che il paese riaprisse le frontiere, a metà giugno, i bambini in attesa di essere consegnati ai genitori erano quasi mille.

La legge ucraina prevede che genitori legali di un bambino nato da una donna portatrice debbano essere un uomo e una donna, sposati e in possesso di un documento medico che attesti la loro impossibilità fisica a concepire. Il bambino dev’essere geneticamente imparentato con almeno uno dei due genitori.

“La nostra legislazione ha delle lacune che è facile aggirare. Mancano leggi sulla responsabilità per gli abusi e sugli obblighi delle agenzie che operano in questo settore. E non è possibile controllare tutte le cliniche, che stanno letteralmente spuntando come funghi”, afferma Serhyj Antonov, esperto del Centro per il diritto medico e riproduttivo, un’organizzazione che offre consulenza legale in materia.

La BiotexCom, per esempio, l’agenzia che ha pubblicato il video dell’hotel Venezia, è una società moldava che opera legalmente sul territorio ucraino e si pubblicizza come una delle più grandi cliniche di medicina riproduttiva d’Europa. “L’infertilità totale non esiste, ve lo assicuriamo”, si legge sul loro sito.

“Il video con i neonati, diventato molto popolare in rete, è pura pubblicità”, sostiene Antonov. “La realtà non è così rosea. Le donne portatrici hanno imparato a difendersi da questa agenzia grazie al passaparola. La BiotexCom è stata registrata con diversi nomi ed è nota per le sue truffe: è coinvolta nella maggior parte degli scandali che riguardano la gestazione per altri. Ricordo ancora il caso di una coppia afroamericana che si è vista consegnare un neonato bianco, anche se lo sperma era stato prelevato dal padre”.

A luglio del 2019 la procura generale di Kiev ha aperto un fascicolo sulla BiotexCom, accusata di traffico di esseri umani per un caso del 2011, quando i test condotti dalla polizia italiana avevano rivelato che un bambino nato grazie alla mediazione dell’agenzia non aveva legami biologici con i genitori. In altre parole alla coppia italiana era stato dato un neonato non suo. Il bambino è finito in una casa famiglia e la coppia è stata accusata di falsificazione di documenti.

Anche se la procura ha assicurato che non si tratta dell’unico caso di questo genere che coinvolge la BiotexCom, finora l’agenzia è riuscita sempre a farla franca. Come per magia, le inchieste a suo carico non sono mai approdate a nulla.

Bella, sana, senza vizi

Nonostante la pandemia, la richieste di gestazione per altri continuano ad aumentare. Da quando mi sono iscritta alle chat di gruppo su Viber delle donne portatrici ucraine, sul mio telefono arrivano in continuazione nuove offerte.

Ma i problemi non mancano, e non riguardano solo i neonati che, a causa delle frontiere chiuse, non hanno potuto essere ritirati dai genitori stranieri. Alcune ambasciate di paesi europei a Kiev, per esempio, sono poco propense a rilasciare i documenti di bambini partoriti per i loro cittadini da donne portatrici in Ucraina. Il risultato è che, per rendere più semplici le cose ai genitori, molte portatrici ucraine vanno a partorire nei paesi dell’Unione europea. Durante il lockdown alcune di loro sono rimaste bloccate all’estero. “Ragazze, sono a Cipro. L’agenzia ha garantito a me e ad altre sei ragazze un appartamento comune, ma ha detto che per il vitto dobbiamo arrangiarci da sole. Non avete idea di come siano i prezzi qui! Così ci facciamo fuori tutto l’onorario”, ha scritto una ragazza su una chat di cui faccio parte.

Dalle offerte che vedo nei gruppi su Viber risulta che per guadagnare dai 14 ai 20mila dollari mettendo a disposizione il proprio utero, una donna deve avere dai 20 ai 39 anni, essere bella, magra, sana e senza vizi. Se è sposata, alcune cliniche pretendono l’autorizzazione del marito. Altre invece cercano solo nubili o divorziate. Poi ci sono i bonus: visite mediche, versamenti mensili, un appartamento a Kiev per la madre e le persone che l’assistono a partire dalla ventottesima settimana di gravidanza, e perfino una baby-sitter per i figli che restano a casa, aspettando che la madre partorisca il figlio di altri. Se si fa il parto cesareo si possono guadagnare due o tremila dollari in più. Per la “limitazione degli embrioni in eccesso”, in caso di gravidanze multifetali e committenti che vogliono un solo bambino, si possono incassare altri trecento dollari.

Nei gruppi su Viber le ragazze si scambiano anche consigli sulle agenzie, postando addirittura la foto dei pranzi offerti nelle cliniche. Poi discutono dei problemi più vari. Una donna racconta di essere rimasta in piedi per ore nel corridoio dell’ospedale subito dopo il parto: il suo letto era stato pagato solo per la durata del travaglio. Quando ha telefonato all’agenzia, spiegando che era molto debole e che aveva bisogno di sdraiarsi, si è sentita rispondere: “Non sei morta durante il parto, non morirai ora”.

L’hotel Venezia, 10 giugno 2020 (Gleb Garanich, Reuters/Contrasto)

Ripensamenti

“Ero già decisa a farlo”, mi racconta una ragazza che chiamerò Julija durante una telefonata via Skype. “Ero stata scelta da una coppia spagnola. L’agenzia mi aveva detto che erano credenti. Anche io lo sono, per me era importante”. Per non farsi riconoscere, nel caso stessi registrando la conversazione, Julija indossa dei grandi occhiali da sole. È magra e ha i capelli castani. Ha 21 anni ed è originaria di Spartak, un paese vicino a Donetsk, nell’est del paese. “Non abbiamo più la nostra casa, l’hanno presa i separatisti filorussi. Sono scappata con mia madre e mio fratello piccolo all’inizio della guerra. Era impossibile vivere a Spartak. Bombe su bombe”, racconta. “La mia università si era trasferita da Donetsk a Vinnytsja, e volevo continuare a studiare, così ci siamo spostati anche noi. Abbiamo bisogno di denaro. Mia madre è malata, ce la facciamo appena. Ho trovato l’inserzione su internet, su un portale che offre lavoro agli studenti”.

Il suo contratto non è stato autenticato da nessun notaio. “Mi fidavo, erano tutti gentili con me. Ho firmato i documenti, ho passato le visite mediche e mi hanno comunicato la data dell’inseminazione. Ma a quel punto Julija ha cominciato a vedere neonati ovunque. Faceva caso ai parchi giochi, le sembrava che in tv ci fossero solo pubblicità di pannolini e pappe. “Una volta ho anche sognato la Madonna con il bambino. Allora ho capito che non ce l’avrei fatta psicologicamente, che non sarei riuscita a staccarmi dal neonato”.

Così ha deciso di rinunciare. E gli impiegati dell’agenzia hanno smesso di essere gentili. Telefonavano anche dodici volte al giorno. Le hanno detto che aveva fatto una promessa e che doveva farsi fecondare perché la famiglia spagnola stava già aspettando. L’hanno minacciata dicendole che avevano il suo indirizzo e che avrebbero appeso intorno a casa sua dei manifesti con la sua foto, accusandola di essere una trafficante di bambini. “Se scrivessero che sono una prostituta la gente la prenderebbe meglio: ‘Non solo è una profuga del Donbass, traffica pure neonati’. Mi sentivo braccata”, racconta Julija. “Ho minacciato di andare alla polizia. Si sono messi a ridere. Hanno detto che piuttosto lo avrebbero fatto loro, visto che non volevo rispettare il contratto. Mi hanno detto che avevano speso del denaro per le visite mediche e che avrei dovuto restituirlo, insieme a un indennizzo. Erano soldi che non avevo. Così sono scappata per qualche settimana da un’amica in un’altra città per trovare un po’ di tranquillità. Penso che non ci sia niente di male nel portare avanti una gravidanza per conto di altri”, continua Julija. “Mi sembra una buona azione, si aiuta una donna che non può diventare madre. Il punto è che io non sono adatta. E poi non ho dedicato abbastanza tempo alla ricerca di una buona agenzia”.

“Il problema principale nasce dal fatto che nei contratti di molte agenzie n0n ci sono clausole sui rischi personali e sul risarcimento di eventuali danni”, spiega Svetlana Burkovska, direttrice di un’associazione che aiuta le donne portatrici a far valere i loro diritti. “Attualmente stiamo aiutando una ragazza che ha avuto un aborto. L’agenzia non vuole pagare perché sostiene che sia stata colpa sua”.

Nelle offerte che passo in rassegna su Viber mi capita di rado di trovare informazioni su eventuali risarcimenti. Alcune agenzie offrono fino a 1.150 dollari nel caso di una gravidanza extrauterina o di perdita del collo dell’utero, somma che sale a 5.800 dollari in caso di asportazione totale dell’utero. Ma sulle conseguenze di un eventuale aborto spontaneo o della morte del feto non ci sono informazioni. Solo un’agenzia menziona l’ammontare del risarcimento in caso di morte della portatrice: 11.600 dollari.

“Lo faccio per mantenere i miei figli”, dice Inna di Charkiv. Per suoi intende ovviamente i figli di cui è madre naturale. Oltre a quelli ne ha portati in grembo altri due: le gemelline di una coppia di statunitensi. “Erano persone per bene. Non dei ricconi”, racconta. “Negli Stati Uniti la gestazione per altri è legale, ma costa duecentomila dollari. E loro non ce li avevano. Grazie a me, in Ucraina, gli è costata cinque volte di meno. E com’erano felici che fossero due gemelline! Anche io ero contenta: ho avuto duemila dollari in più”.

Poi Inna mi racconta, quasi a volersi giustificare, che per una madre sola e con due figli è difficile trovare lavoro.

Da sapere
La gestazione per altri in Europa

◆ La gestazione per altri è vietata dalla legge nella maggior parte dei paesi europei: Austria, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Norvegia, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera e Ungheria.

◆ In alcuni paesi non ci sono leggi specifiche in materia, e in assenza di un quadro giuridico preciso le situazioni sono molto diverse. In Albania la pratica non è regolamentata, ma è largamente tollerata e aperta agli stranieri. In Belgio la gestazione per altri dietro compenso, cioè non altruistica, è in una zona grigia non regolata dalla legge. A Cipro la pratica è piuttosto comune, anche se gli accordi tra le parti sono nulli e non applicabili. In Irlanda una proposta di legge per regolamentare la materia è stata presentata nel 2017. Anche in Repubblica Ceca non ci sono leggi e gli accordi tra genitori e donne portatrici sono nulli e inapplicabili. In Polonia la materia non è esplicitamente regolata, ma secondo la legge la madre è sempre la donna che partorisce, e gli accordi di gestazione per altri non sono validi.

◆ Ci sono poi i paesi dove la gestazione per altri è consentita, anche se in modi e forme diversi. In Georgia la pratica può essere effettuata dietro compenso in denaro e da coppie eterosessuali, anche straniere. In Grecia possono accedervi le coppie eterosessuali e le madri single, anche straniere, ma non può esserci un pagamento in denaro. Nei Paesi Bassi è legale esclusivamente la forma altruistica. Anche in Portogallo la gestazione dev’essere altruistica ed è riservata alle coppie in cui la donna non può concepire per problemi medici. Nel Regno Unito la forma altruistica è legale, ma gli accordi tra portatrice e genitori non sono tutelati dalla legge. In Russia la gestazione per altri dietro compenso è legale per coppie eterosessuali e genitori single, anche stranieri. In Ucraina la situazione è simile ma i genitori devono essere eterosessuali e sposati.


Le chiedo cosa ha provato quando ha dovuto separarsi dai neonati che aveva portato in grembo. “Solo gioia, nient’altro”, racconta. “Quando ho visto le lacrime di felicità e l’amore dei genitori ho provato un’incredibile soddisfazione. Forse per chi è al primo parto può essere psicologicamente difficile. Ma io ho sempre cercato di tenere presente che non erano figli miei, che i miei mi aspettavano a casa. È strano quando nella pancia senti muoversi dei figli che non sono tuoi”, ammette Inna. “Accarezzavo la pancia, gli parlavo quando scalciavano troppo forte. Gli dicevo: ‘Presto conoscerete i vostri genitori, che vi amano molto’. I genitori sono stati molto presenti, per tutto il periodo della gravidanza ho comunicato con loro con l’aiuto di Google Translate. In questo modo non mi sono sentita sola. Qualche tempo fa mi hanno proposto di mandarmi delle fotografie ma io li ho pregati di non farlo. A volte mi fanno gli auguri per le feste. Da una parte li invidio, dall’altra li compatisco. Anche se sono una madre sola, ho dei figli adorabili. Mentre loro per anni hanno provato invano ad avere un bambino. Sono contenta di averli aiutati”.

La storia di Brizzy

In Ucraina, però, c’è anche una bambina la cui nascita non ha fatto felice nessuno. È di Zaporižžja ed è stata partorita per una coppia statunitense da una donna che era fuggita da Donetsk a causa della guerra del Donbass. Qualcosa è andato storto e la donna ha partorito alla venticinquesima settimana di gravidanza. Erano due gemellini. Il bambino è morto, ma la bambina, che pesava appena 870 grammi, aveva evidentemente una gran voglia di vivere.

Il suo nome è Bridget Irmgard Pagan-Etnyre, ma il personale dell’ospedale l’ha chiamata Brizzy. Il nome è l’unica cosa che ha avuto dai genitori statunitensi. Perché si sono rifiutati di prenderla. Dopo il parto hanno scritto all’agenzia che aveva fatto da intermediaria: “È in stato vegetativo. Non c’è nessuna possibilità che sia una bambina normale e che esca da una condizione che rende impossibile la vita quotidiana”. Hanno chiesto che venisse staccata dal respiratore artificiale. Ma la legge ucraina non lo permette finché non viene accertata la morte cerebrale.

“Non le davano alcuna speranza. Dicevano che sarebbe stata cieca, sorda, che non sarebbe mai stata in grado di mangiare da sola. A un certo punto, però, mi sono accorta che la bambina reagiva ai suoni”, racconta Maryna, l’infermiera dell’ospedale dove Brizzy è nata, in un film che ricostruisce la storia della bambina, realizzato dalla tv australiana Abc. È stata lei a occuparsi di Brizzy dopo la nascita: per aiutarla nella riabilitazione, restava con lei ben oltre l’orario di lavoro. Gli effetti del suo impegno si vedono nei filmati dove Maryna gioca con una bambina bionda e sorridente. Oggi Brizzy ha quattro anni, gattona e sa mettersi a sedere, canta le sue canzoncine preferite e mangia da sola. È stata trasferita in un orfanotrofio dove Maryna va sempre a trovarla.

La donna che l’ha portata in grembo, dopo il parto non si è più interessata a lei. Del resto non ha nessun diritto legale sulla bambina. Brizzy non ha neppure il diritto alla cittadinanza statunitense. Per i suoi primi tre anni di vita è stata apolide: solo da poco ha ricevuto i documenti ucraini.

La clinica BiotexCom, quella del video girato nell’hotel Venezia, nega di aver a che fare con la nascita di Brizzy, anche se il suo nome compare nei documenti processuali. Maryna ha contattato i genitori e li ha informati che la loro figlioletta è viva e cresce. Ma non ha avuto risposta. “Hanno trattato Brizzy come un prodotto fallato. L’hanno rifiutata perché così non gli andava bene”, dice nel film.

In attesa

Il capo della BiotexCom non risponde alle mie telefonate. Evidentemente rivelare alla segreteria dell’agenzia che lavoro per un settimanale cattolico è stato un errore.

Julija mi assicura che non contatterà mai più un’agenzia di gestazione per altri. A meno che – aggiunge – non si dovesse trovare in una situazione disperata.

Inna mi racconta che, finché i suoi figli sono piccoli, ha intenzione di partecipare ad altri “programmi di surrogazione”. La preoccupa solo il fatto che la maggior parte delle agenzie non accetta donne che hanno partorito più di quattro volte. Quindi dovrà per forza mettersi in contatto con una società che non richiede questi requisiti. La BiotexCom, per esempio.

Secondo la legge ucraina Brizzy non può essere adottata da una coppia straniera fino al raggiungimento del quinto anno di età. Ma le sue possibilità di trovare genitori adottivi sono minime. Se nessuno si farà avanti, quando avrà sette anni sarà portata in un centro per persone con disabilità mentali, dove potrebbe trascorrere il resto della vita. Per il momento rimane in orfanotrofio, in attesa di genitori pronti ad amarla. ◆ dp

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Questo articolo è uscito sul numero 1365 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati