17 agosto 2017 16:03

“Per ore siamo stati disturbati via radio dalla nave C-Star, la cosiddetta nave dei fascisti, che ci si è affiancata. Poi è arrivata una motovedetta della guardia costiera di Tripoli e ci ha chiesto se avevamo l’autorizzazione per stare a 27 miglia dalle coste libiche”, spiega Riccardo Gatti, coordinatore della nave Golfo Azzurro della ong spagnola Proactiva Open Arms. Il 15 agosto la guardia costiera libica ha minacciato di aprire il fuoco contro la nave spagnola con venti membri di equipaggio a bordo, e ha obbligato la Golfo Azzurro a fare rotta su Tripoli, scortata dai libici.

“Ci hanno detto che stavamo violando la sovranità libica perché non avevamo l’autorizzazione di Tripoli, ma in realtà noi eravamo oltre le 24 miglia, in acque internazionali”, dice Gatti che il 15 agosto intorno alle 19 ha allertato la centrale operativa della guardia costiera di Roma e il quartier generale della missione navale europea EunavforMed.

“Da Roma mi hanno detto che non potevano fare niente per aiutarci, perché avevano diramato qualche giorno fa l’allerta sulle mutate condizioni di sicurezza in quel tratto di mare”, afferma Gatti. La nave Golfo Azzurro, dopo aver ricevuto diverse minacce da parte dei libici ha fatto rotta verso est, a bassissima velocità.

“Nel frattempo ero al telefono con le autorità italiane ed europee per chiedere aiuto, eravamo sotto attacco e siamo stati sequestrati in acque internazionali per quasi due ore”, racconta Gatti. Poi a un certo punto, la motovedetta libica via radio ha dato ordine all’equipaggio della Golfo Azzurro di fare rotta verso nord, di allontanarsi dalla zona Sar (search and rescue, ricerca e soccorso) e di non fare più ritorno. “Ci hanno detto che se torniamo in quella zona ci sparano addosso, ma questa è una situazione di completa illegalità”, conclude Gatti.

Msf ha annunciato per prima la sospensione delle operazioni dopo le minacce ricevute dalla guardia costiera di Tripoli

“Siamo rimasti in pochi”, afferma Nicola Stalla, 38 anni, di Alassio, coordinatore della missione di Sos Méditerranée sulla nave Aquarius che in questo momento sta facendo rotta su Pozzallo per sbarcare 112 migranti soccorsi il giorno di ferragosto dalla nave Phoenix del Moas e poi trasferiti sull’Aquarius. L’imbarcazione di Sos Méditerranée e di Medici senza frontiere è una delle poche rimaste nella zona Sar davanti alla Libia, dopo che la guardia costiera di Roma la scorsa settimana ha diramato un’allerta sicurezza per tutte le imbarcazioni che operano soccorsi nell’area.

Il 12 agosto l’ong Medici senza frontiere (Msf) ha annunciato per prima la sospensione temporanea delle operazioni della nave Prudence, a causa delle minacce ricevute dalla guardia costiera di Tripoli. Il giorno successivo anche Save the children e Sea Eye hanno preso la stessa decisione. Infatti il 10 agosto Ayoub Qassem, il portavoce della guardia costiera libica, aveva detto che le imbarcazioni delle ong non sono autorizzate a operare nella zona di ricerca e soccorso oltre le 12 miglia dalla costa.

“In generale non rifiutiamo la loro presenza, ma chiediamo più cooperazione. Devono dimostrare più rispetto per la sovranità del paese”, ha detto Qassem. Il 7 agosto una seconda nave della ong spagnola Proactiva Open Arms è stata attaccata da un’imbarcazione della guardia costiera libica, che ha accusato l’organizzazione umanitaria di collaborare con i trafficanti di esseri umani e ha aperto il fuoco per allontanare la nave dalla zona. Dopo questo episodio e l’annuncio della guardia costiera libica di voler estendere il proprio controllo sull’area di ricerca e soccorso al di fuori delle acque territoriali libiche, le autorità italiane hanno diramato un’allerta per tutte le navi delle ong attive nell’area.

Un’esercitazione svolta dagli operatori di Sos Méditerranée, luglio 2017. (Narciso Contreras)

“Il 12 agosto la guardia costiera italiana ha comunicato alle navi umanitarie che battono bandiera italiana che le condizioni di sicurezza al largo della Libia sono cambiate, poi il giorno successivo questa comunicazione è arrivata anche alle altre imbarcazioni come la nostra che non battono bandiera italiana”, ha confermato Stalla, a bordo dell’Aquarius. “Noi andiamo avanti malgrado tutto, anche se abbiamo un regolamento di sicurezza in caso di attacco da parte della guardia costiera libica”, ricorda.

Il 17 agosto la centrale operativa della guardia costiera di Roma ha ordinato alla nave Phoenix del Moas di coordinarsi con la guardia costiera di Tripoli, prima di intervenire in soccorso di due imbarcazioni in difficoltà con 235 persone a bordo. È stata la prima volta dall’inizio dei soccorsi in mare nel 2013 che la Libia ha assunto il comando delle operazioni.

Una situazione illegale
“La nostra esigenza è di ripristinare un quadro di legalità nello scenario dei soccorsi nel Mediterraneo centrale”, afferma Gabriele Eminente, direttore generale di Medici senza frontiere. “Quando abbiamo cominciato a fare soccorsi nel 2015 le regole erano molto chiare, erano quelle del diritto del mare e del diritto umanitario e i soccorsi erano coordinati dalla centrale operativa della guardia costiera di Roma”, continua Eminente. Mentre al momento la situazione è confusa e pericolosa.

“La situazione ora è confusa e mai ci vorremmo trovare a essere costretti da militari armati a riportare in Libia delle persone”, afferma. “Vogliamo capire bene dalla guardia costiera italiana, dal ministero dei trasporti e dal ministero dell’interno quali sono le regole in vigore in questo momento nel Mediterraneo centrale”, conclude. Secondo alcune indiscrezioni giornalistiche, il ministero dell’interno vorrebbe convocare le ong a fine mese per riaprire un dialogo sul codice di condotta.

“Tutte le ong, sia quelle che hanno firmato il codice di condotta sia quelle che non lo hanno firmato, si trovano nella stessa situazione”, spiega Eminente. Infatti Save the children, che ha firmato il codice di condotta, è stata costretta a sospendere le operazioni per ragioni di sicurezza e Proactiva Open Arms (anche lei firmataria) si è trovata coinvolta nel braccio di ferro con i libici. “Viene da pensare che il vero obiettivo del codice di condotta fosse quello di creare una zona franca in mano ai libici, altrimenti il 15 agosto qualcuno sarebbe dovuto intervenire in difesa degli spagnoli minacciati in acque internazionali”, conclude Eminente.

Anche per Salvatore Fachile dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), l’intervento della guardia costiera libica contro la nave dell’ong spagnola è illegittimo: “La zona Sar è stata richiesta dalla Libia, ma non è stata ancora accordata dalle autorità marittime internazionali. Questo vuol dire che la nave Golfo Azzurro si trovava in acque internazionali che sono sotto il controllo dell’Italia da anni”.

Per Fachile “è gravissimo che il governo italiano abbia dato il consenso implicito al ripristino della zona Sar libica” in assenza di garanzie, e questo determinerà altri incidenti di questo tipo con la guardia costiera di Tripoli. “Ci sono gli estremi per chiedere il risarcimento contro lo stato italiano che non è intervenuto a difesa della nave spagnola”, conclude Fachile.

La diminuzione degli arrivi
Intanto durante la conferenza stampa di ferragosto al Viminale il ministro dell’interno Marco Minniti ha detto che “vede la luce alla fine del tunnel”, perché il numero dei migranti arrivati in Italia nel mese di luglio si è ridotto del 4,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

Per Minniti questa tendenza, confermata anche dall’Agenzia europea per il controllo esterno delle frontiere, Frontex, è frutto della collaborazione del governo italiano con le autorità libiche della Tripolitania. Gli esperti, tuttavia, non concordano sull’analisi di questo dato, in molti infatti fanno notare che le condizioni meteorologiche nel mese di luglio sono state particolarmente sfavorevoli alle partenze.

Altri analisti, come il portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim), Flavio Di Giacomo, hanno escluso che l’attività della guardia costiera libica giustifichi una diminuzione di questo tipo, perché in generale si registrano meno imbarcazioni che partono dalle coste libiche. Secondo Di Giacomo, questa diminuzione sarebbe legata alle politiche dell’Unione europea che ha finanziato molti paesi africani perché garantissero un maggior controllo delle frontiere, portando a una graduale riduzione dei flussi migratori verso la Libia.

“In realtà non sappiamo bene cosa stia succedendo”, ha ammesso Di Giacomo in un’intervista alla France-Presse. L’aumento degli arrivi di migranti in Spagna dal Marocco nelle ultime settimane farebbe pensare all’apertura di nuove rotte. Ma è presto per dirlo così come è presto per stabilire se la diminuzione degli arrivi è un dato stabile o solo temporaneo. Su un punto, però, gli analisti concordano: l’attività della guardia costiera di Tripoli potrebbe essere illegale. “Riportare le persone in Libia in questo momento è come rimandarle all’inferno”, ha detto il viceministro degli esteri Mario Giro in un’intervista alla Stampa.

“In Libia non esiste alcun sistema giuridico in grado di garantire un’azione penale indipendente verso i presunti trafficanti di esseri umani e tutelare i fondamentali diritti umani”, ha scritto l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) in un comunicato. Anzi, secondo una lettera degli esperti dell’Onu, il Dipartimento di contrasto all’immigrazione illegale e la guardia costiera libica sono direttamente coinvolti nelle violazioni dei diritti umani. Per questo “il rinvio in Libia dei migranti viola le convenzioni internazionali sul soccorso in mare”.

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